Dopo aver parlato dei film migliori della stagione, per me, passiamo a parlare delle delusioni. Delusioni d'autore, intendiamoci, quindi film che suscitavano aspettative positive. So in questo modo di andare a toccare nervi scoperti e di suscitare malcontenti perché nominerò film che a voi magari saranno piaciuti molto, che avrete amato o che considerate dei capolavori, ma mi assumo ovviamente la responsabilità dei miei gusti (eventualmente discutibili) e delle mie (opinabili) preferenze, tanto più che in questa temporanea black list finiscono anche autori che altrove ho amato, e anche molto, e che spero di tornare ad ammirare in futuro. Non è che liquido lapidariamente i film in due parole: di molti titoli (quelli evidenziati con link o che trovate nella colonna qui a destra), trovate se avete voglia recensioni più ampie e ragionate. La maggior delusione in casa nostra è decisamente rappresentata in questo senso dai Tre piani di Nanni Moretti. Il film concentra i tre racconti alla sua origine in un'unica narrazione sovraccarica di temi drammatici. Nanni Moretti incarnò al massimo livello la propria generazione anagrafica con un cinema satirico, geniale ed urticante. Ma Tre piani mi è sembrato un'opera senile (simile forse a quanto Nanni avrebbe detestato da giovane), mal scritto, non sempre ben recitato, un po' asfittico. Due opere senili e un po' polverose mi sono sembrati anche Boys, di Davide Ferrario, con una fasulla nostalgia per la purezza del rock e un quartetto di attori in età tenuti sempre sotto le righe, e Comedians, ritorno alle origini di Gabriele Salvatores, che torna a rigirare in una prospettiva forse più filologica, ma senile e un po' lugubre, l'opera teatrale che aveva già portato brillantemente in palcoscenico negli anni '80 e che aveva poi poi espanso sullo schermo in Kamikazen. Un film sulla comicità, interpretato da comici, che si impone di non far ridere; e purtroppo ci riesce. Cinema medio e dignitoso (come altri film di cui parlo qui, potrebbe senza troppo sforzo fare un salto di lista e andare ad accodarsi ai titoli più graditi), sentito ma senza sostanziali novità, in 3/19, ultimo titolo firmato da un altro regista milanese, Silvio Soldini, con la professionista arrembante (la Smutniak) che rivaluta tutta la sua vita a causa di un incidente in cui si trova coinvolta. Un'altra delusione da un autore con cui scoccò il colpo di fulmine, tanti anni fa, con Rosso sangue: da allora Carax non mi ha mai più convinto, e Annette è un'altra cocente delusione; non funziona come musical (il trailer saggiamente ne nasconde accuratamente la natura), è discutibile come atto di autoanalisi, non contiene (a mio parere, e contrariamente a quanto altri hanno scritto) particolari pregi in termini di visionarietà dal punto di vista visivo, tiene la Cotillard in disparte per toglierla d'impaccio a metà film, elimina l'altro comprimario, riduce la figlia a una (letterale) marionetta e lascia tutto lo spazio ad un insopportabile e dilagante Adam Driver. Forse ci fosse stato Denis Lavant il film avrebbe conquistato un pizzico più di pietà, ma così è solo un lungo irritante tormento. Non so se Julia Ducournau possa essere considerata un'autrice, ma la Palma d'oro a Cannes sembra elevarla verso questo rango. In Titane però conserva tutta la sua enfatica voglia d'epater les bourgeois già dimostrata ampiamente in Raw, ma perde la coerenza (se così si può chiamare) del film precedente; Titane infatti, oltre a cercare di accumulare tutte le tematiche cronemberghiane in un film solo, è in realtà tre film in uno – un horror-thriller con una serial killer psicopatica; in cyberpunk erotico e gravidico; e un melodramma grottesco con un impossibile riconoscimento tra padre e figlio/a - non ben amalgamati e nessuno dei quali ben riusciti. Non mi ha soddisfatto nemmeno Il potere del cane, opera di un'autrice storica come Jane Campion, che firma un western revisionista totalmente privo di “veri” uomini, lento e velenoso, problematicamente collocato tra l'epoca della Frontiera e la modernità. A proposito di atipici western a firma femminile (ma anche qui i protagonisti sono tutti di sesso maschile), non mi ha detto praticamente nulla First Cow, modesta storia di mungitori abusivi di mucche in un West decentrato e compresso in un formato antipanoramico, che gode di un consenso critico che mi risulta (problema mio?) del tutto incomprensibile. Dopo Parasite il cinema coreano (ma in realtà si tratta in questo caso di una storia di emigrati coreani negli Usa) attinge di nuovo agli Oscar, ma con il modestissimo Minari, la cui ideologia sostanzialmente conservatrice è stata benevolmente accolta al pubblico in nome dell'esotismo bucolico (tra parentesi, una radicata propensione per l'esotico ha portato a premiare anche a Locarno l'indonesiano Vengeance Is Mine, All Others Pay Cash, visto al Noir In Festival: un bel titolo da spaghetti western, ma nei fatti un pastrocchio che mischia melò, arti marziali e iconografia vintage, con un eroe impotente e un'eroina romantica che mena peggio di Bruce Lee). Poco mi hanno convinto anche due tentativi di trasportare poetiche rohmeriane in Estremo Oriente, come ne The Woman Who Ran del coreano Hong Sang-soo (visto alle giornate coreane a Sesto San Giovanni) e ne Il gioco del destino e della fantasia, del giapponese Ryusuke Hamaguchi, entrambi film episodici, inerti e verbosi, con pochissima regia. Non ho ancora visto Drive My Car, sempre di Hamaguchi, ma il fatto di ritrovarlo nelle prime posizioni in quasi tutte le classifiche che vedo, mi ha convinto a vederlo appena possibile. Molto premiato e gradito anche il danese Un altro giro, di Vinterberg, su un gruppo di professori che per esperimento si dà all'alcol. Chiaramente l'esperimento sfugge di mano, ma la morale rimane ambigua fino all'ultimo. Programmaticamente fiacco Sull'infinitezza, dello svedese Roy Andersson, che persegue una sua poetica minimalista in cui l'accumulo di episodi poco significanti dovrebbe dar luogo ad un affresco della condizione umana. Eppure sembra essere il momento del cinema scandinavo (ben presente anche nell'edizione 2021 del Noir in Festival): ha riscosso gradimento critico anche il norvegese La persona peggiore del mondo, di Joachim Trier, presentato a Venezia, ritratto femminile ad episodi, tra commedia e dramma; il riferimento potrebbe essere lo statunitense 500 giorni insieme, ma il risultato è nordicamente meno brillante e divertente. Da parte sua, il cinema anglo-americano infila una serie di flop con The Midnight Sky, un depresso film di fantascienza apocalittica ma intimistica di e con George Clooney, che altrove si era impegnato in progetti ben più pregnanti sia cinematograficamente che politicamente; con Notizie dal mondo, in cui un ottimo regista di cinema d'azione e con sottofondo politico come Paul Greengrass si cimenta infelicemente (in compagnia di Tom Hanks) con un western buonista e inerte; e con La donna alla finestra, con cui Joe Wright si impegola in un thriller psicologico di dichiarate ascendenze hitchcockiane, ma senza spremerne nulla di più di qualche risaputa citazione. Anche l'altro regista inglese di nome Wright, Edgar, non centra del tutto il bersaglio con Ultima notte a Soho, in cui, amante dell'ibridazione, mescola commedia nostalgica, bullismo, cinema fantastico, viaggi nel tempo, psicodramma, zombi, horror. Numi tutelari tra gli altri Polanski e Hitchcock, e forse Argento, ma la carne al fuoco è decisamente troppo e raggiungere un equilibrio anche precario si rivela pressoché impossibile. Quest'anno ho visto pochi veri horror; tra gli altri L'uomo invisibile e Antebellum. La fattura media del secondo è parzialmente riscattata da una forte svolta a sorpresa nella sceneggiatura; non inedita, ma politicamente significativa. Cambiando completamente genere, mi ha deluso anche Soul, film di punta del 2021 targato Pixar. Filosofia piuttosto involuta, storia contorta, poco jazz in un film con protagonista jazzista ma soprattutto personaggi ridotti (letteralmente) a evanescenti silhouette. Uno dei più prolifici (e anche apprezzati) autori francesi di oggi, Francois Ozon, gira con Estate 85 il suo tempo delle mele in chiave omosessuale e con sovrastruttura melodrammatica. Direi complessivamente inattuale e di scarso interesse.
Passando in Italia, piuttosto freddo mi ha lasciato un'opera celebrata come Il buco di Michelangelo Frammartino, impasto di facili metafore (la discesa speleologica nelle viscere della terra che si contrappone all'ascesa del boom economico) e retorica sul rapporto uomo-natura. Olmiano, ma lontano dalle mie corde. Antinarrativo, ma con un taglio più sociologico, per così dire, è Atlantide di Yuri Ancarani, dove giovani che non sembrano avere molte prospettive sfrecciano nella laguna veneziana a bordo di barchini veloci. Basico nella (non)narrazione e nella (non)recitazione, si risveglia all'improvviso a storia già finita, con un trip attraverso i canali veneziani che sembra in piccolo quello oltre Giove e l'infinito di 2001: Odissea nello spazio. Si esce un po' frastornati, con un decimo di stupore ammirato dopo nove decimi di insofferenza. Leggi anche: 2021: IL MEGLIO DEL CINEMA D'AUTORE (secondo Into the Wonderland...) 2021: I FILM ITALIANI DI GENERE (da Freaks Out a Diabolik)
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PREMESSA Non mi piacciono molto le classifiche, così opto per una rassegna (s)ragionata a volo d'uccello sull'annata cinematografica, non necessariamente in ordine di gradimento, ma per libere associazioni d'idee e per assonanze, lasciando in coda una breve rassegna sul cinema italiano che si potrebbe definire di genere. Parliamo di nuovo di una stagione anomala, con uscite ritardate di progetti bloccati dal Covid, con i cinema aperti a singhiozzo, guastata da una pandemia che non molla il colpo, ibridata dalle uscite su piattaforme di film inediti o quasi nelle sale. In attesa di scoprire se e fino a quando potremo continuare a vedere cinema al cinema, con le sale già in sofferenza tendenziale e oggi prese a mazzate dall'emergenza sanitaria, o se le sale da proiezione (e tutti i lavoratori che vi sono impegnati) sono destinate all'estinzione come l'umanità intera in Don't Look Up. Sia per i migliori che per i più deludenti, parto da quelli che si possono definire Autori, e che quindi suscitavano le aspettative più alte. Si potrebbe cominciare con delle domande. Ci sono ancora gli autori? Cioè registi paragonabili ai grandi autori del passato? E chi ci sta dentro e chi no? Se ne potrebbe discutere a lungo. Nel frattempo vi propongo la mia selezione, tra conferme e disillusioni, riscoperte e irritazioni, gloria y dolor. Ci sono autori che perseguono tenacemente un proprio percorso e una propria poetica, declinandola attraverso situazioni, personaggi e generi differenti. Una coerenza che talvolta viene letta come ripetitività e mancanza di idee. Può darsi che a volte sia così, ma è per l'appunto la caratteristica per cui li chiamiamo autori, e che li differenzia dagli anonimi professionisti capaci di passare da un genere e da un tono all'altro senza lasciare traccia riconoscibile del proprio pensiero o del proprio stile. Nella colonna a destra ci sono i film di cui trovate una recensione argomentata qui Into the Wonderland (o, più semplicemente, cliccate sui link quando li trovate sui titoli dei film nel testo); di alcuni film, come Rifkin's Festival, Madres paralelas, Una donna promettente, Pieces of a Woman, No mataras, 3/19, Atlantide, Sesso sfortunato o follie porno, The Shift (oltre che di altri film come Borat, Nomad, Mank), ho scritto più o meno ampiamente sull'annata 2021 di SegnoCinema. UN ANNO DI CINEMA D'AUTORE: CONFERME E SCOPERTEAl primo posto della mia personalissima classifica (che una classifica non è) metto Woody Allen, un autore di capolavori (comici e no) assoluti, ma dalla filmografia talmente sterminata da includere per forza di cose anche film che abbassano la media. Ma, visto dopo la dolorosa pausa del lockdown, Rifkin's Festival ha suscitato in me grande affetto e tenerezza. Forse lo smalto di un tempo si è un po' appannato, ma Rifkin's è Allen allo stato puro, cinefilia + umorismo + malinconia, più un nichilismo razionalista ma profondamente umanista, nel quale mi ritrovo in pieno. Lunga vita ad Allen. Altro autore dai molti titoli Pedro Almodovar, che nel 2021 ha portato addirittura due film sugli schermi: La voce umana, ispirata a Jean Cocteau con Tilda Swinton in un fiammeggiante one-woman-show e Madres Paralelas. Il secondo mi è piaciuto molto. Temi classicamente almodovariani (identità, rapporto con la madre, famiglie non tradizionali) ma allargati stavolta in un discorso che guarda anche alla storia e alla politica. Non sono, come qualcuno ha obiettato, due film in uno; c'è un tema comune, la perdita, e le soluzioni esplicitate: la memoria e l'affetto empatico e solidale. Ottima Cruz e promettente la Smit (già vista nell'interessantissimo No mataras, se lo trovate su qualche piattaforma dategli un occhio e leggete la mia recensione su Into the Wonderland o su SegnoCinema). Sorrentino torna a dividere, pur con un film in teoria nettamente meno divisivo del passato. E' stata la mano di Dio è una storia autobiografica, un'educazione sentimentale ambientata nella Napoli cui l'arrivo di Maradona conferì un inaspettato stato di grazia. Gli viene rimproverato di essere un film spezzato in due (in modi diversi sembra una caratteristica di molti film recenti), ma racconta di un evento spartiacque; di essere un racconto frammentario ma racconta dell'adolescenza, un'età dove si accumulano le esperienze più disparate (comprese quelle più imbarazzanti e inconfessabili), tra le quali alcune si disperderanno nel nulla, altre saranno seminali nell'andare a formare il carattere e indirizzare la propria esistenza. Per me il miglior Sorrentino dopo La grande bellezza. Anche Paul Schrader sembra incapace di fare film che non declinino in forme diverse i suoi personaggi e i suoi temi abituali: l'Eroe colpevole in cerca di Redenzione; l'Innocente da salvare; il Mondo Corrotto; il malvagio Corruttore che diventa l'incarnazione del Male, da punire e da fermare. Il collezionista di carte ne è l'ennesima declinazione, ricca di tematiche, di coerenza e di stile; ma Schrader, come altrove, non è in grado di sostenere registicamente la soluzione finale, rischiando anche stavolta di inficiare negli ultimi minuti tutto il lavoro meticolosamente costruito. Wes Anderson è un autore che non mi sta particolarmente a cuore (stucchevole ossessione per la simmetria e umorismo spesso puerile) e il suo The French Dispatch è stato accolto con freddezza e insofferenza dalla critica, rimproverato di vuoto formalismo, manierismo gratuito e autocompiacimento. Niente da obiettare, eppure paradossalmente a me il suo ultimo film ha suscitato simpatia: una vera e propria gioia per gli occhi (tutti da premiare scenografi, costumisti, truccatori, art director, fotografi, ecc.), che sarebbe stata tale anche se il film fosse stato parlato in marziano, un cast fantascientifico allegramente sprecato, e un commovente omaggio a Jacques Tati. Non gli ha giovato aver collocato in prima posizione l'episodio forse leggermente più gustoso, con i luminosi nudi integrali della Seidoux che illuminano lo schermo. Buono anche il risultato di Martone, con Qui rido io. Non conosco sufficientemente la storia del teatro napoletano e detesto cordialmente la canzone napoletana classica, ma il film mi è parso un interessante ritratto biografico e sociale con un Toni Servillo in grande spolvero. Ancora Servillo (già in Sorrentino) duetta/duella con Orlando in un altro film concentrazionario nei quali Di Costanzo sembra essersi specializzato, Ariaferma. Un carcere in via di dismissione diventa il palcoscenico in cui carcerati e guardie possono scoprire un nuovo modo di relazionarsi, come esseri umani, al di fuori dei ruoli prestabiliti. Un buon film, un po' programmatico e prevedibile, molto compreso in se stesso. Jonas Carpignano dipinge con adesione un ritratto di adolescente e un'educazione sentimentale sullo sfondo di un mondo permeato dalla malavita e da una complice e silenziosa connivenza in A Chiara. Il nome di Jan Komasa non dirà molto al pubblico italiano. In Polonia è una specie di divo grazie alle sue ricostruzioni storiche della Seconda Guerra Mondiale (Warsaw 44). Nel 2021 è uscito da noi Corpus Christi, su un giovane ex-detenuto che si spaccia per un parroco di campagna. Grande intensità drammatica ed emotiva, con un protagonista perfetto (Bartosz Bielenia). Il suo film successivo, The Hater, ha una tematica molto attuale e interessante (le fake news, l'odio in rete, l'uso distorto dei social), ma è meno bello e risolto. Alcuni dei film che mi sono piaciuti di più nel corso della stagione hanno paradossalmente in comune il tema della maternità: oltre al già citato Madres paralelas rientrano nella categoria il piccolo ma prezioso Petite maman, nuova indagine di Celine Sciamma nell'identità femminile; il Leone d'oro La scelta di Anne, di Audrey Diwan, con l'ottima Anamari Vartolomei, intensa e drammatica storia di aborto in un'epoca in cui l'aborto era un reato e una vergogna; Mai raramente a volte sempre, ancora un film sull'interruzione di gravidanza, racconto minimalista e delicato firmato da Eliza Hitman; e Pieces of a Woman, diretto da un regista maschio (di origine ungherese: Kornel Mundruczò) che l'ha però scritto insieme alla compagna, che racconta un lutto dolorosissimo, tra piano-sequenza virtuosistici (tra cui quello celeberrimo del parto) e un fitto impianto metaforico (ottima la performance di Vanessa Kirby); cui si potrebbe aggiungere il marocchino Adam, di Maryam Touzani, in cui lo sviluppo narrativo convenzionale naufraga e si disperde (positivamente) nella scoperta della maternità. Un'altra donna dietro la macchina da presa (Jasmila Zbanic) per raccontare di una madre che tenta disperatamente di salvare i propri figli: è la protagonista (interpretata da una febbricitante Jasna Duricic) di Quo vadis, Aida?, che agli Efa ha scippato il titolo a Sorrentino. Non un film eccelso, ma il tema (la strage operata dai serbo-bosniaci a Sebrenica, con più di 8000 civili maschi massacrati sotto gli occhi impotenti delle truppe delle Nazioni Unite; e il dovere della memoria) si impone da sé. Genitori invece alle prese con figlie forse assassine sia nel francese La ragazza con il braccialetto che nell'americano La ragazza di Stillwater, entrambi film di buona fattura drammatica. E' stato d'altra parte l'anno delle donne, che si sono imposte in quasi tutte le principali competizioni internazionali. Il premio Oscar è andato a Chloe Zhao, autrice sino-americana che continua a dedicare la sua attenzione a protagonisti e gruppi sociali marginali, per motivi etnici o socioeconomici. Bello il suo Nomadland, con la McDormand vagabonda on the road in un'America in crisi economica e morale. Viaggia in treno invece la protagonista finlandese di Scompartimento n. 6, che vanta varie candidature di prestigio. Un classico boy meets girl (anzi in questo caso girl meets boy), con diffidenza iniziale e conseguente attrazione, ma con un'ambientazione particolare tra vecchi vagoni e la lunga notte russa. Regia di Juho Kuosmanen, da segnalare la protagonista di Seidi Haarla. Un altro premiato (Orso d'oro a Berlino) che imposta un discorso ancor più corrosivo verso la propria società d'origine è Bad Luck Banging or Loony Porn. Il film di Radu Jude è tre o quattro film in uno, di genere e stile differenti (un prologo porno hardcore, una passeggiata per Bucarest che sembra girato in cinema-veritè, un catalogo enciclopedico, un farsesco processo scolastico) apparentemente disomogenei ma che finiscono per comporre un pamphlet critico assai preciso e circostanziato verso la società rumena - e non - contemporanea. Tra i film segnalati con premi negli ambiti di festival e concorsi spiccano almeno un altro paio di titoli, firmati da esordienti (ma con le spalle solide). Florian Zeller trasforma la sua piece teatrale The Father in un film maturo, compatto e intenso (malgrado il suo sviluppo apparentemente frattale e labirintico), avendo a disposizione un fuori classe come Anthony Hopkins, in un'interpretazione perfetta e calibratissima. Sul tema cinema e malattia, ha conquistato un paio di Oscar tecnici anche The Sound of Metal, primo lungometraggio di Darius Marder. Una donna promettente è stato segnalato soprattutto per la sceneggiatura, che mescola horror, romantic comedy, film sociale su machismo e #metoo, revenge movie. Ma Emerald Fennell, già sceneggiatrice e show runner per serie tv, compie anche un notevolissimo lavoro registico, tessendo in realtà un'opera raffinatissima anche nella composizione e nella simbologia visiva e nel commento musicale e costringendo Carey Mulligan a una performance mutante e proteiforme. Piuttosto bistrattato, mi ha abbastanza convinto anche Nuevo orden, del messicano Michel Franco, crudele rappresentazione di un mondo percorso da divisioni profonde dove può improvvisamente scoppiare la rabbia, all'apparenza incontrollabile ma utile al potere per instaurare un nuovo ordine ancora peggiore del precedente. Nulla di nuovo, forse, ma con una rappresentazione insieme secca, brutale e visionaria. Buon cinema latinoamericano anche in arrivo dal Festival del cinema africano, asiatico e d'America latina, ma non vale la pena darne conto perché purtroppo rimasto senza distribuzione italiana. Irrompe infine negli ultimi giorni dell'anno sugli schermi come una cometa impazzita Don't Look Up, imponendo ancora una volta un prodotto targato Netflix nel dibattito critico, mediatico e social, com'è successo solo negli ultimi mesi con Squid Game, Strappare lungo i bordi o l'ultimo film di Sorrentino. Adam McKay (La grande scommessa, Vice) dirige una commedia in cui l'apocalisse si trasforma in una commedia amara e grottesca e dove gli sberleffi continuano anche dopo la fine del mondo e i titoli di coda. Cast "spaziale" (Di Caprio, Lawrence, Streep, Lawrence, Chamelet, Ariana Grande) e indubbia aderenza allo spirito dei tempi; il modo in cui politica e media reagiscano in modo inadeguato, meschino e grottesco a tragiche emergenze che minacciano il genere umano (cambiamento climatico, pandemia) è già impietosamente sotto gli occhi di tutti. Leggi anche: 2021: LE DELUSIONI D'AUTORE 2021: I FILM ITALIANI DI GENERE (da Freaks Out a Diabolik...) Quindi nell'orribile anno 2020 ho visto complessivamente poco più di 120 film (tra cinema, piattaforme e canali in chiaro), di cui 16 erano ri- o re-visioni, oltre ad alcuni cortometraggi e a qualche serie tv. Qualche fa 120 erano mediamente i film che vedevo solo in sala, in genere novità e inediti. Ma i tempi cambiano (e ovviamente anche noi). Se non ho sbagliato i conti o dimenticato qualcosa, ho visto 48 dei film usciti in Italia da gennaio a dicembre 2020, in sala o sulle piattaforme. Di questi una quarantina li ho recensiti su Into the Wonderland e/o su SegnoCinema. E adesso tentiamo di tirare un bilancio. Non sono mai stato capace di fare le classifiche secche o di dare voti definitivi, per cui farò così: un volo d'uccello sulla maggior parte dei film visti quest'anno, divisi arbitrariamente per gruppi non omogenei. N.B.: nella colonna di destra che sarebbe dedicata alle categorie trovate, più o meno in ordine alfabetico i link alle recensioni estese della maggior parte dei film citati. Le serie Non amo le serie, diciamolo subito. Ho tentato di vederne diverse, in questo periodo di segregazione più o meno volontaria, e in genere non mi prendevano. Non dirò quelle che ho visto e abbandonato alla prima o seconda puntata, per non farmi dei nemici (ce ne sono di molto famose e amate). Se proprio devo, alle serie poi preferisco le miniserie. Quella che ci ha catturato, che ho visto per intero e con soddisfazione è LA REGINA DEGLI SCACCHI (Netflix). Altre due le ho viste quest'anno perché sono state trasmesse per la prima volta in chiaro: la quarta stagione di GOMORRA (in chiaro su TV8), che malgrado un po' di mono-tonia (in senso letterale) regge bene alla distanza. Ma il capolavoro assoluto è indiscutibilmente secondo me, e non solo, è CHERNOBYL, del 2019, trasmessa in chiaro da La7 nel 2020. Italiani Dei 18 film italiani visti, non ce n'è nessuno che mi abbia convinto al cento per cento. I tentativi storico-biografici, da Craxi (HAMMAMET) alla giovane MISS MARX a Ligabue (VOLEVO NASCONDERMI), al terrorismo anni '70 (PADRENOSTRO) non mi hanno entusiasmato. De Matteo fa un passo falso con il moralistico VILLETTA CON OSPITI, Emma Dante (LE SORELLE MACALUSO) non mi convince, Checco Zalone non fa ridere con TOLO TOLO, Muccino fallisce con GLI ANNI PIU' BELLI nel tentativo di rifare e aggiornare C'eravamo tanto amati, IL TALENTO DEL CALABRONE perde malamente l'occasione per fare del cinema di genere all'altezza della concorrenza internazionale, FIGLI si perde e fa perdere in un bicchier d'acqua. A giudicare da questa annata e dai film che ho visto io qualche impaccio nel leggere la propria storia e la realtà contemporanea c'è. L'INCREDIBILE STORIA DELL'ISOLA DELLE ROSE racconta la storia di un audace sognatore, ma poi non sa esattamente cosa dargli da sognare, mentre LA CONCESSIONE DEL TELEFONO è un coraggioso tentativo di dare forma cinematografica all'intraducibile (ed esilarante) romanzo di Camilleri. Alla fine a reggere meglio è il cinema all'italiana, all'interno delle dinamiche di coppia e di famiglie borghesi. MAGARI è un piccolo promettente esordio, LACCI è meno peggio di quanto mi aspettassi, COSA SARA' affronta temi importanti ed è un film più doloroso del previsto da vedere tra un lockdown e l'altro. Se dovessi eleggere il film italiano dell'anno, con qualche ritrosia indicherei FAVOLACCE, più per il progetto estetico complessivo che per l'effettiva realizzazione (la visione del film mi ha talvolta irritato, a cominciare dal sonoro inascoltabile). Gli altri Ci sono film da vedere, film che si possono perdere, e film che non saprei. Tra i blockbuster, 1917 mi è sembrato un esercizio di stile piuttosto inutile (per quanto stupefacente) e TENET è programmaticamente troppo complicato. BOMBSHELL punta tutto sul richiamo delle tre dive in cartellone, ma è troppo leccato per portare un reale contributo alla causa femminile e IL DIRITTO DI POPPORSI troppo convenzionale e datato per la causa razziale. Non male MA RAINEY'S BLACK BOTTOM, ma soffocato dalla sua natura teatrale. Tra white trash e black lives, Howard scontenta molti con la sua ELEGIA AMERICANA, ma peggio fa Spike Lee, che dopo l'ottimo Blackkklansman toppa clamorosamente con il bruttissimo DA 5 BLOODS. DIAMANTI GREZZI non è male, ma un po' troppo programmatico, mentre HONEY BOY sembra un po' una seduta di psicoanalisi per Shia LeBeouf. Tra gli americani l'oggetto più bizzarro è STO PENSANDO DI FINIRLA QUI, un progetto intrigante (con una narrazione deragliante un po' come in Madre!), che però non entra tra i miei preferiti a causa di un twist finale che mi ha lasciato più di una perplessità. Passando al cinema all'europea ma partendo dal Canada, Dolan ormai non è più un enfant e forse neppure un prodige, e continua a girare tra i suoi ragazzi ribollenti di desiderio (MATTHIAS E MAXIME). Il belga DOPPIO SOSPETTO è stato un grande successo in patria ma non mi ha fatto grande impressione. Ci sono un altro paio di film da cinefili, che non mi hanno conquistato: I MISERABILI (forse dovrei rivederlo in lingua originale per vedere se perde quella patina di naturalismo artefatto) e ROUBAIX, che dovrebbe essere un film concentratissimo e invece perde un po' l'equilibrio tra i personaggi e tra la prima e la seconda parte. Ci aggiungo in extremis anche UNDINE, in cui l'equilibrio tra fiaba nordica e melodramma è ricercato con modalità un po' teutoniche. Tra gli horror LIGHTHOUSE cerca di conciliare (senza riuscirci, ma il progetto visivo è notevole) minimalismo (di ambientazione, personaggi, sviluppo) e massimalismo (di temi, visioni, ecc.); più equilibrato è forse HIS HOUSE col suo più dimesso impasto orror-sociologico. Altrove Quest'anno è saltato il Festival del Cinema Africano, d'Asia e d'America di Milano e tutte le rassegne dai festival, che permettevano di gettare un'occhiata sulle cinematografie “altre” del mondo. Tra i film distribuiti al cinema, interessanti due film firmati da donne e provenienti dai continenti asiatico e africano, anche per il tentativo di adottare toni non necessariamente tragici per affrontare il discorso della condizione femminili in situazioni e Paesi ostili: l'arabo LA CANDIDATA IDEALE e il tunisino UN DIVANO A TUNISI. Più lontano ancora ci porta IL LAGO DELLE OCHE SELVATICHE, un noir cinese visivamente elegante e narrativamente stilizzato. Dimenticavo MEMORIES OF MURDER, che avevo cercato e visto in dvd parecchi anni fa, dopo il colpo di fulmine di The Host, visto fortunosamente in un festival. Che dire? Ormai Bong Joon-ho è stato consacrato addirittura con l'Oscar, e ormai non ha più senso vantarsi di essere uno dei suoi pochi fan. E Zodiac è arrivato dopo. I miei preferiti
Herzog invecchia ma non demorde. In tre mesi o pressapoco sono usciti tre suoi film. Io ho visto NOMAD, che riperocrre i percorsi paralleli e a volte convergenti suoi e di Bruce Chatwin. Non riesco inoltre a non provare una forte simpatia per un altro outsider, il progetto situazionista di BORAT e il suo SEGUITO DI FILM CINEMA, malgrado la sgangheratezza del film che a volte mi ha messo a disagio per il suo uso strumentale di materiali decisamente infimi. Un altro film programmato come il precedente per uscire a ridosso delle elezioni presidenziali americane, è IL PROCESSO AI CHICAGO 7, efficace e dialettico film politico su un processo politico nell'America della contestazione. All'opposto di Borat, è cinema “carino” ma che merita affetto ON THE ROCKS della Coppola; come Lost in Translation: c'è Bill Murray, ma purtroppo manca la Johansson. Un altro film del genere "carino" (ma con qualche crudezza; con la Johansson; con umorismo, e con Sam Rockwell nel ruolo di un altro dei suoi idioti sublimi: insomma parecchia roba) è JO JO RABBIT. MANK, paradossalmente, essendo un film parlatissimo, in cui la sceneggiatura ha un ruolo importantissimo fuori e dentro il film, mi ha colpito soprattutto per il fulgore visivo, nel suo smagliante bianco e nero. Altra storia americana, quella raccontata in RICHARD JEWELL. Non amo particolarmente Eastwood, e anche questo suo ultimo eroe civile è profondamente ambiguo dal punto di vista ideologico, ma il film tiene e ci sono due dei miei beniamini, Rockwell e Hauser. C'è poi il caso Lanthimos. Due suoi “vecchi” film sono usciti in Italia solo quest'anno. Mi ha impressionato in particolare KYNODONTAS (DOGTOOTH), col suo impasto di sociologia distopica e di mito greco. Benché non così originale come appare (vedi il messicano El castillo de la pureza, del 1972), insieme ad ALPS (uscito e visto anch'esso quest'anno) e a Il sacrificio del cervo sacro. forma un impressionante trittico sulla famiglia, che porta nella contemporaneità echi della tragedia classica. Ma se dovessi indicare un titolo, un solo titolo per tutto l'intera annata cinematografica, ecco quello che indicherei: SORRY, WE MISSED YOU, uscito nei primissimi giorni dell'anno. Che dire? Loach è ormai sull'ottantina (forse è questo l'elemento positivo) e insieme al suo sceneggiatore Laverty continua solitario, imperterrito, a fare il suo cinema politico (nel senso più positivo del termine), militante (nel senso di una Resistenza che non abbassa mai la guardia), umanista, necessario. Quello che meglio racconta gli uomini e le donne del nostro presente e la società contemporanea, chi siamo e dove stiamo andando. In direzione ostinata e contraria, a volte con un po' di foga retorica; ma stavolta no. Premio Into the Wonderland 2020. IL 2018 AL CINEMA - SECONDA PARTE: I MAGNIFICI 7 (+7+7): GLI IMPERFETTI, I COERENTI, I PREFERITI12/30/2018 GLI IMPERFETTI:Tralascio tanti film buoni o discreti, di cui è valsa comunque la visione. Passando a opere che mi hanno interessato di più, comincio da un gruppetto di film imperfetti per diversi motivi e in misura assai differente, che però mi sembrano meritevoli per differenti motivi. Dentro questo contenitore ci stanno film di autori che stimo moltissimo e altri di autori che non citerei mai tra i miei preferiti in assoluto. A cominciare, un po' per snobismo al contrario, da due registi italiani regolarmente bistrattati, ma autori di spicco in un cinema italiano medio che per fortuna vantano un buon seguito di pubblico: lo scombiccherato Napoli velata e il corale A casa tutti bene, rispettivamente di Ozpetek e di Muccino. Di scarso credito ha goduto anche Doppio amore di Ozon (un autore che ha altre volte ha avuto la critica dalla sua parte), a mio parere un intrigante thriller erotico che discende dalla linea Hitchcock-De Palma incrociato con Cronenberg. Tra gli italiani, anche se con un film in un certo senso di routine, mi sembra poi che Sollima abbia fatto un'ottima figura hollywoodiana dirigendo il seguito di Sicario, Soldado. Strampalato (forse meno di quanto sembra, come cerco di dimostrare nella mia recensione) ma simpatico anche Troppa grazia, di Zanasi (?). Kechiche persegue un'idea di cinema che mi intriga molto (penso di aver scritto una recensione di una certa sagacia interpretativa), ma con Mektoub perde decisamente la testa per i culi femminili. Affascinante, ma un po' stucchevole. Un altro capolavoro cercato, ma mancato: Cold War di Pawlikowski. Forse l'ho affrontato con aspettative eccessive, dopo aver apprezzato tanto Ida. Grande regia, fotografia e interpreti, ma su una sceneggiatura talmente ellittica da risultare lacunosa. Quindi: Gli imperfetti:
I COERENTI:Tra i film in certo modo più compatti e coerenti, anche se magari “minori” per ambizioni, citerei insieme Charley Thompson e Senza lasciare traccia, il primo di Andrew Haigh e il secondo di Debra Granik, due bei ritratti di adolescenti ai margini della società. Altre storie di giovani in Girl, diretto da Lukas Dhont e con Victor Polster lo stupefacente interprete di un gender-drama, e Sulla mia pelle, di Alessio Cremonini, che racconta con sobrietà la triste sorte di Stefano Cucchi. Moltissimi hanno stroncato Tutti lo sanno, ma secondo me Fahradi ha diretto un film molto buono, benché non folgorante come alcuni dei suoi precedenti. Se non fosse per le eccessive somiglianze con L'imbalsamatore, considererei Dogman di Garrone un film eccellente, prematuramente escluso dalla corsa agli Oscar. Tra i film di animazione (anche Coco e Gli incredibili 2 sono pixarianamente belli), citerei invece il film di un regista che invece in generale non amo molto: è L'isola dei cani, di Wes Anderson; lo stile freddo e un po' meccanico del regista (amante della simmetria e di un'impassibilità vagamente keatoniana) trova una sua ragion d'essere nell'incontro con la stop motion, con il mondo animale e soprattutto con l'”impero dei segni” nipponico. Quindi: I coerenti:
I MIEI PREFERITI:Siamo giunti ai magnifici sette. Li cito in ordine sparso. Inizio, in via eccezionale, con un film inedito in Italia ma passato per il Festival del cinema africano, d'Asia e America latina di Milano: si tratta di Matar a Jesus (titolo internazionale Killing Jesus), di Laura Mora Ortega: nato da uno spunto (purtroppo) autobiografico è un revenge movie anomalo che tratteggia con grande sensibilità e intensità il rapporto tra una studentessa colombiana e un coetaneo che lei sospetta possa essere il sicario che ha ucciso suo padre. Una sorpresa positiva (pur nella sua sgradevolezza) è stato Il sacrificio del cervo sacro, di un autore “antipatico” come Yorgos Lanthimos: malgrado un finale un po' deludente, forse il vero horror dell'anno, un algido incrocio tra film dell'orrore e tragedia greca, sulla scia di Haneke e di Kubrick. Craig Gillespie, che avevo perso di vista dopo l'interessante Lars e una ragazza tutta sua, ritorna alla grande con Tonya, un film che mi ha riconciliato con il genere biografico, che non amo molto: un cast eccellente su cui svetta Margot Robbie in un'interpretazione che vale una carriera, uno stile sulfureo, un ritratto acidissimo della società americana contemporanea. Altre sono conferme: non altrettanto capace di suscitare innamoramento quanto lo struggente La la land, il First Man di Chazelle è un'ottima conferma di un talento e di una poetica d'autore coerente e sentita. Martin McDonagh realizza quello che è forse il suo capolavoro, Tre manifesti a Ebbing, Missouri, con un cast eccezionalmente efficace e una sceneggiatura audace e strepitosa che scava nella violenza che cova nella società americana. Graditissimo ritorno alle vette di un cinema militante e nello stesso tempo estremamente divertente di Spike Lee con il suo Blakkklansman: una storia vera incredibile, una sceneggiatura imperfetta che si fa perdonare grazie alla passione politica, un culture study su cinema e blackness. Un'altra sorpresa imprevista è stata Summer (Leto), ancora un film biografico (ma tanto l'ho scoperto ai titoli di coda), in cui Kirill Serebrennikov resuscita con tenerezza echi di nouvelle vague cinematografica nel raccontare la new wave del rock russo degli anni '80, attraverso personaggi di ascendenza cechoviana. Quindi: I miei preferiti:
LE ATTRICI E GLI ATTORI:Protagonisti e no, conferme e scoperte (in ordine casuale):
Willem Dafoe (il Van Gogh definitivo in At Eternity's Gate) E poi... le mie delusioni d'autore. Tempo di bilanci?
Quest'anno ho visto un centinaio di film “di stagione” (ho guardato alle date in cui li ho visti e non a quelle di uscita in Italia), di cui una ventina visti in festival e rassegne e per ora inediti in Italia. Lasciamo da parte questi ultimi (tranne un'eccezione) e facciamo finta di eleggere i film migliori del 2018. Anzi, comincerò da quello che non è andato nell'annata cinematografica (cliccando sui titoli evidenziati in blu potete leggere le recensioni in Into the Wonderland). Un modo sicuro e relativamente semplice per rendersi impopolari. Beh, ci sono stati film francamente brutti. Per fare solo qualche esempio, tra i film che proprio non mi sono piaciuti ci sono titoli come Un figlio all'improvviso, Tito e gli alieni, Nome di donna, Ride (quello di Rondinelli, non quello di Mastandrea che ha dei motivi d'interesse), Molly's Game. Mettiamo che di questi e di altri non valga la pena parlarne. Poi però ci sono i film premiati e strapremiati, che non mi hanno convinto. La forma dell'acqua, Corpo e anima, Il filo nascosto, Chiamami con il tuo nome (e ancora meno, aggiungo, mi ha preso il remake di Suspiria firmato sempre da Guadagnino, in uscita il primo gennaio). Film tutti con motivi d'interesse, ovviamente. Ma che, direi, come dicono gli amici di Segnocinema, “non ho sentito”. Ci sono poi film che mi sono sembrati particolarmente deboli, ma che sono firmati da autori molto apprezzati (anche per l'impegno politico del loro cinema), ma che non sono mai stati tra i miei preferiti: alludo a titoli come Una questione privata dei Taviani o a La casa sul mare di Guediguian. Poi c'è una lunga serie di delusioni d'autore. Si tratta di opere di registi che ho molto apprezzato (sempre con i dovuti distinguo) in altre occasioni, e che perciò spero di vedere di nuovo al loro meglio. Parlo di Luchetti (Io sono tempesta), di Sorrentino (con l'ambizioso progetto di Loro), di Virzì (Notti magiche), di Van Sant (Don't Worry), di Soderbergh (decisamente meglio La truffa dei Logan che Unsane), uno Spielberg addirittura doppio e quasi agli antipodi, ma entrambi al di sotto delle aspettative (The Post, Ready Player One), di Cantet (L'atelier); e poi di un Polansky un po' stanco (Quello che non so di lei), un Haneke manieristico (Happy End), un Winding Refn ormai perso in un formalismo astratto e fine a se stesso (Neon Demon). ...ma anche... i miei magnifici sette... Ecco i dieci film che secondo me meritano, se non li avete visti, di essere ripescati nelle arene estive. Certo, ciascuno avrebbe la sua lista, diversa da quella di tutti gli altri. Questa è tendenziosamente mia e solo mia, ma magari potete trovarci qualche film che non avevate preso in considerazione e poi magari potrebbe diventare un film da ricordare. Potrebbero anche non essere nemmeno i film più belli, e probabilmente non quelli che vi aspettereste, ma ognuno di loro ha una necessità, un qualcosa di nuovo, un’originalità che me li ha fatti mettere in cima alla lista nella mia (quasi...) top ten.
Per gli amici di Milano e dintorni, anche qualche dritta su dove trovarli nelle arene più simpatiche della zona...
La migliore attrice dell’anno? Se la giocano Emma Stone per La La Land, Isabelle Huppert per qualsiasi cosa decida di fare, la Portman per Jackie (sfortuna, con il ruolo perfetto, avere incontrato sulla propria strada per gli Oscar l’irresistibile Emma), la Golino non vedente ne Il colore nascosto delle cose ma anche, tra i volti nuovi, la Caramazza di Cuori puri e la Pugh di Lady Macbeth. Miglior non protagonista la Williams per una sequenza di Manchester by the Sea. Premio simpatia alla Gerini per Ammore e malavita.
Miglior attore? Direi Sunny Pawar (5 anni) nella prima parte di Lion e Claes Bang per The Square. Ryan Gosling mai così ironico e in parte come in LLL. Miglior attore non protagonista? Edoardo Pesce per Fortunata e Cuori puri. Premio simpatia a Mahershala Ali in Moonlight. Menzione speciale per il miglior cast collettivo al venezuelano-colombiano El Amparo. I peggiori attori dell’anno? Senza dubbio Servillo ne La ragazza nella nebbia (emoticon con strizzata d’occhio...). Peggior performance collettiva: Gli asteroidi, Omicidio all’italiana. Menzioni speciali per tutto l’illustre cast di The Place e per il casting sprecato de La tenerezza. Il miglior film d’animazione? Beh, Loving Vincent. Vedi anche: I film più belli del 2017 e I film più brutti del 2017 Saltando dall’altra parte dello steccato, ci sono una manciata di film francamente brutti, quelli che ad un certo punto mi hanno fatto chiedere se non stessi perdendo il mio tempo (ammesso che andare al cinema non sia sempre una perdita di tempo) seguendoli fino alla fine. Non sono necessariamente film malfatti (ma a volte anche sì). In questa categoria ci sono film che proprio non mi sono piaciuti (come l’immaturo GLI ASTEROIDI, l’esagerato OMICIDIO ALL’ITALIANA, lo stucchevole PARIGI PUO’ ATTENDERE), altri variamente velleitari (come IN DUBIOUS BATTLE o LA RAGAZZA NELLA NEBBIA), altri che ho trovato inutili (come MIA CUGINA RACHEL, IL VIAGGIO, RITRATTO DI FAMIGLIA CON TEMPESTA, QUELLO CHE SO DI LEI): finiscono nel mucchio, ahimè, anche film di autori riconosciuti, di temi importanti, di buone intenzioni. Una categoria a sé merita MOTHER! di Aronofsky (di cui avevo apprezzato molto tanto The Wrestler che Il cigno nero), talmente brutto e sgangherato da meritare un’analisi (io stesso gli ho dedicato un pro in Hollybloog e un contro in Face/Off), e da diventare per alcuni un cult movie. Con Mother! entriamo in realtà in altro campo, quello delle delusioni, cioè quei film ai quali mi ero accostato con delle aspettative, spesso nutrite dal rispetto e a volte dall’ammirazione che provo (uso il verbo al presente, tutti possono sbagliare; anch’io, naturalmente) verso i loro autori. In questa lista si trovano ad esempio l’irritante LA TENEREZZA, film postumo ma non per questo meno insalvabile di un regista stimato come Amelio; lo stesso BLADE RUNNER 2049, al quale ho dedicato un saggio di critica schizofrenica ma che ho trovato comunque assai poco inventivo dal punto di vista visivo, assai fiacco nello sviluppo drammaturgico (Ryan Gosling che cammina; mi state odiando?), e poco stimolante dal punto di vista teorico-filosofico-metalinguistico; horror assolutamente blandi e spuntati come l’acclamato GET OUT o SPLIT di Shyamalan; il noir di Amendola IL PERMESSO; il ritorno in patria di Ozpetek con ROSSO ISTANBUL; il terribile tonfo metafisico di Genovese, dopo l’ottimo Perfetti sconosciuti, con THE PLACE; il convenzionale e smunto ALLIED che smentisce la fama di inventore di Zemeckis; il noiosissimo SILENCE del maestro Scorsese; l’esangue (letteralmente) rilettura femminile de La notte brava del soldato Jonathan operato dalla Coppola con L’INGANNO; il tedioso SIERANEVADA, proveniente da una cinematografia, quella rumena, che è una di quelle che più mi aveva incuriosito e dato soddisfazioni in passate stagioni; l’inedito (e si capisce) MY HINDU FRIEND di Hector Babenco, mortifero e imbarazzante... Vedi anche I film migliori del 2017 e I migliori e i peggiori attori e attrici del 2017. La fine dell’anno è tradizionalmente tempo di classifiche. A me non piace dare voti e non mi piace mettere in fila i titoli dicendo che un film è un pelino più o meno bello di un altro. Non ne sono capace e magari il giorno dopo cambierei idea. Si tratta poi spesso di paragonare “mele con pere” e non mi sembra un esercizio utile.
Però non resisto alla tentazione di dire la mia e di dare qualche consiglio sui film da vedere o (anche) da evitare in una visione retrospettiva dell'annata. Mettendo i titoli in colonne di merito direi che il bilancio dell’anno è comunque piuttosto buono. Ho preso in considerazione i titoli non per data di uscita o di produzione, ma ho preso in esame i film che ho visto io al cinema dal 1° gennaio al 31 dicembre 2017 (una novantina, proveniente dall’incredibile cifra, contando anche le coproduzioni, di oltre 40 Paesi diversi). Le colonne in cui ho distribuito i titoli sono del resto molto permeabili e mi sono trovato più volte a tracciare frecce che spostavano un titolo da una colonna all’altra. Partiamo dall’alto. Il primo titolo che mi viene in mente per le primissime posizioni per me rimane l’adorabile LA LA LAND, vincitore morale dell’Oscar e di qualsiasi altra cosa. Nell’autorevole rivista con la quale collaboro, Segnocinema, nella classifica stilata da 33 critici, LLL si è piazzato al 2° posto assoluto (dopo Elle), ma è anche l’unico della cinquina sul podio a figurare nella classifica dei 50 migliori incassi di stagione (al 17° posto): quello che si può definire un (raro) successo di critica e pubblico. Se dopo il musical più bello degli anni 2000 volete ancora divertirvi con un filmetto di genere e passare una serata adrenalinica e divertente, c’è l’action romantico e musicale di BABY DRIVER. Poi due capolavori (politicamente scorretti): lo scandinavo THE SQUARE è uno dei film più intelligenti e stimolanti dell'anno, un film che ha davvero qualcosa da dire sul mondo in cui viviamo e addirittura anche qualcosa di profondo sul rapporto tra arte e società, il tutto con un umorismo spiazzante (si ride a denti stretti, e magari dopo un po’, passata la tensione o l’imbarazzo); AMMORE E MALAVITA è a sua volta un capolavoro pop kitsch, in miracoloso equilibrio tra action (poliziottesco+camorra movie+hongkong), musical, sceneggiata napoletana, love story, film di truffa, satira, melodramma e chi più ne ha più ne metta, con la parodia e l’autoparodia già incorporata. Se volete vedere un po’ di nuovo cinema italiano con facce e storie nuove vi consiglio CUORI PURI e A CIAMBRA. Storie un po’ marginali: se volete proseguire su un piano impegnato suggerisco il russo LOVELESS, sull’egoismo contemporaneo, il libanese L’INSULTO, una riflessione sulla difficoltà di conciliazione storica che parte da un pretesto banale, o l’iraniano IL CLIENTE, con Fahradi che ancora non sbaglia un colpo con i suoi psicologicamente intricati e coinvolgenti drammi sociali e famigliari. Tra gli inediti mi piace segnalare EL AMPARO, intenso dramma sociale latinoamericano con un ottimo cast e grande tensione. Appena più in giù metterei un bel po’ di film interessanti per vari motivi. Tra le cose più intriganti ancora due italiani che mescolano i generi in modo piuttosto ardito, GATTA CENERENTOLA (animazione+fantascienza+camorra movie+fiaba+film musicale ecc.) e SICILIAN GHOST STORY, che adotta toni onirici e legati al mondo oscuro delle fiabe per raccontare una delle più atroci storie (vere) di mafia. In campo fantascientifico mi è piaciuto (lo sto per dire! eresia! più di Blade Runner 2049...) GHOST IN THE SHELL, mentre il cupo e filosofico ARRIVAL mi ha fatto uscire piuttosto sconcertato, ma alquanto riflessivo. ELLE è un ammaliante ritorno al Verhoeven delle origini; merito anche della Huppert, impeccabile sia qui che ne Le cose che verranno (Happy End non l’ho ancora visto); alcuni autori, vecchi e nuovi e di vario calibro, si confermano con film non tra i loro migliori ma sempre interessanti (Kaurismaki con L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA, Allen+Storaro con LA RUOTA DELLE MERAVIGLIE, Nolan con il kolossal intimista di DUNKIRK, Boyle con il seguito di TRAINSPOTTING, Soldini con IL COLORE NASCOSTO DELLE COSE, ecc.). Il cileno Larrain riesce a non snaturare il proprio cinema con una difficile trasferta americana e con il confronto con la storia e il mito di JACKIE e dei Kennedy. Due commedie sulle quali non avrei scommesso nulla e che si sono rivelate meno superficiali del previsto sono l’italiano NOVE LUNE E MEZZA, sul tema della maternità, e l’israeliano APPUNTAMENTO CON LA SPOSA, sul tema del matrimonio. Spietato invece quasi quanto Loveless sulle dinamiche famigliari e di coppia il belga DOPO L’AMORE. Efficace e assai poco materna la dark lady del formalistico LADY MACBETH. Tra le storie famigliari, ci sono ancora LION, che vanta una prima parte molto bella, e MANCHESTER BY THE SEA, che avrebbe potuto e voluto essere straziante ma che non mi ha preso fino in fondo. Temi sociali invece al centro del francese 120 BATTITI AL MINUTO, tra film politico e tragedia individuale, e del ceco THE TEACHER, tra dramma, commedia, film giudiziario e satira. Fuori categoria LOVING VINCENT, debole nella drammaturgia ma stupefacente nelle immagini che animano le creazioni di van Gogh, e il bel documentario MEXICO! sulla romantica figura di un anarchico resistente dell’esercizio cinematografico (Sancassani). Sul tema razziale non mi ha convinto molto Moonlight, reo anche di aver usurpato l’Oscar a LLL; meglio LOVING, o, ma con forme molto più convenzionali e prevedibili, IL DIRITTO DI CONTARE. Un’altra storia di emarginazione etnica, ma a una latitudine insospettabile, è quella al centro di SAMI BLOOD, sull’oppressione del popolo lappone nei paesi scandinavi. Alla lista dei buoni si potrebbero aggiungere altri titoli che nella mia scelta sono finiti in una zona di medietà, visibili ma anche perdibili. C’è dentro un po’ di tutto, cinema d’autore, commedie, film di cinematografie “altre”, blockbuster poco entusiamasti, film blasonati e film sconosciuti. Non sto ad annoiarvi con un elenco. Un titolo solo, così per rendermi magari antipatico: FORTUNATA. Vedi anche I film peggiori del 2017 e Attori e attrici: i migliori e i peggiori del 2017. Appassionanti, interessanti, ambivalenti, deludenti: ecco il mio bilancio di fine stagioneDirei che ormai la stagione cinematografica 16/17 può darsi per finita. Io ho visto circa 66 film usciti tra settembre 16 e luglio 17, più un tot di inediti (in particolare dal Festival del cinema africano d’Asia e d’America latina e dal Noir Film Festival). Non do voti e quindi non posso fare medie, ma mi è sembrata tutto sommato un’annata abbastanza buona, meglio la prima parte della seconda. Vi dico qui sotto cosa mi è piaciuto, e non solo.
Nel caso vorreste approfondire, poi, la maggior parte dei film di cui parlo sono recensiti nel sito: li trovate distribuiti in rubriche e in ordine alfabetico nella colonna qui a destra. I FILM DEL CUORE
CAPTAIN FANTASTIC, DOPO L’AMORE, LOVING, IL DIRITTO DI CONTARE, MISS PEREGRINE, UN PADRE, UNA FIGLIA, ROBERT DOISNEAU – LA LENTE DELLE MERAVIGLIE, T2 – TRAINSPOTTING, TOM A LA FERME, ecc. DELUSIONI D’AUTORE
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Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
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