Francia, un condominio nella periferia di una città senza nome. Stemkowitz, inquilino misantropo, si rifiuta di partecipare alle spese per il rifacimento dell’ascensore, ma poi, temporaneamente ridotto in sedia a rotelle, si riduce a usare l’ascensore nelle ore notturne, per non essere visto, e a cercare cibo al distributore automatico dell’ospedale, unico posto aperto di notte: è qui che incontra un’infermiera del turno di notte, con la quale si spaccia improbabilmente per un fotografo che ha girato il mondo. Charly, un giovane che vive senza genitori, fa la conoscenza della nuova inquilina che prende possesso dell’appartamento di fronte al suo, un’attrice improbabilmente autoreclusasi in questo esilio periferico. John McKenzie, un astronauta americano, precipita improbabilmente con la propria navicella sul tetto del palazzo e viene accolto ed accudito, in attesa di essere recuperato dalla Nasa, a casa della signora Hamida, un’anziana di origine algerina il cui figlio si trova in carcere.Siamo nel regno della solitudine. C’è un misantropo che non vuole pagare le spese dell’ascensore, ma che poi finisce prigioniero di una sola rampa di scale; c’è un’infermiera di notte triste che fuma da sola; c’è un adolescente che vive in un appartamento senza genitori e senza fratelli; c’è un’attrice che fugge dagli uomini e dal mondo in una squallida casa di periferia; c’è una donna che vive sola perché il figlio amato sta pagando per i propri errori; c’è un astronauta che cade da un vuoto siderale sul tetto di una città sconosciuta. Sei solitudini, materiale per il formarsi di tre coppie tra le più atipiche. Un misantropo incontra una donna fragile dalla bellezza spigolosa e lei incontra un uomo che forse ha conosciuto il mondo al di là della periferia. Un ragazzo incontra una madre tardiva e selvatica e lei un ragazzo che le ricorda di essere stata giovane. Una donna trova un figlio dalla faccia pulita ed onesta e lui una mamma amorevole e un posto che somiglia ad una dimora. In ognuna delle tre strane coppie, c’è un elemento “residente” e un elemento fuori luogo, portatore di un altrove radicale eppure privo delle coordinate necessarie per orientarsi nel nuovo contesto. Nell’unica storia ambientata al di fuori del condominio, è Stemkowitz ad essere fuori proprio dal territorio, e a trovarsi ad offrire fallaci visioni di un altrove malamente inventato di sana pianta ad un’infermiera di notte, sul retro di un ospedale; Hamida, pur provenendo da terre lontane, è di casa nel palazzo, mentre l’estraneo è un astronauta americano precipitato per errore nel posto sbagliato, che porta nella sua dimessa ma dignitosa quotidianità domestica l’altrove radicale dello spazio extraterrestre e nello stesso tempo l’estraneità di un’altra lingua e di un altro mondo; analogamente, Charly è sul proprio territorio nel quale si muove con disincantata sicurezza mentre l’aliena è l’attrice di fama piovuta chissà come in questa periferia dimenticata con, come unico bagaglio visibile, l’altrove del cinema e dell’arte. Oltre che estranei, i membri delle coppie sono stranieri l’uno per l’altro. Parlano lingue diverse, provengono da mondi diversi. Ma alla fine, come in ogni commedia che si rispetti, e questa è una commedia della solitudine, gli estranei supereranno le barriere, si avvicineranno, arriveranno a conoscersi e, ciascuno a proprio modo, ad amarsi. In tutti e tre i casi, si tratta di un problema di comunicazione, di condivisione di una possibilità di comunicazione inizialmente negata. Visione, linguaggio, voce. Tutto all’inizio divide, tutto alla fine unisce. Tra Stemkowitz e l’infermiera l’ostacolo è falso, eppure determinante. Stemkowitz, dichiaratosi mendacemente un fotografo che ha viaggiato per il mondo, è per l’infermiera il portatore fantastico di un mondo immenso, ignoto e desiderabile. Ma se le false visioni dell’album fotografico non possono reggere il gioco di una finzione che non può comunque durare a lungo, sarà il riallineamento del suo sguardo (attraverso il mirino di una macchina fotografica probabilmente senza rullino) con la bocca ridente dell’infermiera ad infrangere il velo della menzogna che lo divide dalla donna. Stemkowitz e l’infermiera condividono ora la stessa visione, lo stesso sguardo. Ora possono baciarsi, come due amanti. Hamida e l’astronauta sembrano non avere niente in comune, e quando parlano non si capiscono perché non usano la stessa lingua. Eppure la convivenza in attesa dei soccorsi della Nasa li porterà a superare l’incomprensione. L’astronauta conosce la soap opera che Hamida guarda in tv; Hamida fa apprezzare al ragazzo americano il gusto diverso del cous cous; un po’ a gesti, un po’ a parole, estranee all’uno o all’altra, un po’ per la forza ineffabile del sentimento, i due si parlano e si capiscono. Hamida sente raccontare dell’immensità vacua dello spazio, l’astronauta riconosce con lo stupore la stanza del figlio come se potesse essere la propria. Hamida e l’astronauta parlano ora una lingua condivisibile. Salutandosi, possono stringersi in un abbraccio, come una madre e un figlio che parte per un viaggio da cui forse non ritornerà mai. Charly e Jeanne sembrano riflessi speculari ed opposti uno dell’altra. Lui è un giovane maschio, senza genitori, probabilmente non conosce altro mondo che il suo quartiere; lei è una donna matura, senza figli, che viene dal lontano mondo del cinema. All’apparenza sono incompatibili. La visione dei film di Jeanne li avvicina: anche lei è stata giovane, Charly ora la può sentire più vicina. Ma quando lei recita, usa una voce e un’intonazione che Charly ancora una volta non riconosce. Sarà lui ad aiutarla a cambiare voce, a modificare l’intonazione, fino a che lei non declamerà più come un’attrice di teatro, ma come una madre commossa che parla ad un figlio. Ora Charly e Jeanne parlano con lo stesso tono di voce. Ora possono riconoscersi, come una madre che non ha mai avuto figli, come un figlio che non ha più una madre. Tutti, sedicenti fotografi giramondo, astronauti, dive del cinema, alla fine tutti sono tornati tra l’umanità dei propri simili; sono tornati con i piedi per terra, sull’asphalte, o se si preferisce, in un condominio dove i cuori infranti possono trovare compagnia e umana consolazione.