Tempo più o meno presente, ambientazione in una città che potrebbe essere Londra (o i suoi sobborghi). Un uomo ancora giovane ha perso le persone più amate in un incidente automobilistico. Gli si offre però il modo di ricontrarli nella casa che un tempo avevano abitato insieme (in una dimensione fantasmatica ma realistica nella rappresentazione), per un periodo limitato di tempo: sarà l'(ultima) occasione per confrontarsi di nuovo con un lutto mai completamente elaborato e risolto, per congedarsi da loro, ma soprattutto per affrontare e cercare di sciogliere dei nodi esistenziali ed affettivi rimasti in sospeso dopo la prematura scomparsa. Nel frattempo il protagonista intraprende una nuova relazione sentimentale, che sembra indirizzare la sua vita verso un'evoluzione più positiva. Ma non tutto è come sembra, e l'esistenza reale di uno dei protagonisti (non dico di più per non rovinare quella che deve essere una sorpresa per lo spettatore) viene rimessa radicalmente in discussione. Nell'ultima immagine, gli amanti dormono abbracciati in un letto, in un'immagine malinconica ed enigmatica. Sembrerà impossibile, ma questa è la sinossi non di uno ma di due film, che per una straordinaria coincidenza escono sugli schermi cinematografici italiani a distanza di poche settimane l'uno dall'altro. A me è capitato di vederli a pochissimi giorni di distanza e mi hanno provocato un tale corto circuito mentale che devo davvero fare uno sforzo per distinguerli l'uno dall'altro. Sono rispettivamente Estranei (All of Us Strangers), del regista inglese Andrew Haig (Weekend, 45 anni, Charley Thompson), uscito il 29 febbraio, e Another End, dell'italiano Piero Messina (L'attesa), previsto in uscita il 21 marzo. Certo, le differenze, ovviamente, abbondano: in Estranei i famigliari defunti sono due, il padre e la madre (Jamie “Billy Elliot” Bell e Claire Foy), morti sulla strada quando Adam (Andrew Scott), oggi uno scrittore adulto che si confronta con la propria storia famigliare, aveva solo 12 anni. Adam si incontra con i loro fantasmi (“presenti” in modo realistico; ma con l'età che avevano quando sono mortie consapevoli di esserlo) nella casa dell'infanzia. Adam ha così modo di rivelare loro la propria omosessualità, che al momento della loro scomparsa era, in lui ragazzino, solo latente, e cerca disperatamente da loro comprensione, rispetto, accettazione. Il suo nuovo amante è quindi un uomo (Paul Mescal), l'estraneo del piano di sotto, bizzarramente l'unico coinquilino in un grande caseggiato nel sobborghi di Londra non ancora abitato. In Another End la persona cara scomparsa prematuramente è la moglie del protagonista Sal, che vive in una città non nominata, modernamente anonima, dove si parla inglese (anche se lui parla in spagnolo con la sorella: Garcia Bernal è di origine messicana, Berenice Bejo argentina). L'occasione per incontrare di nuovo la moglie morta è fornita a Sal dalla scienza, che è ora in grado di impiantare in ospiti volontari, per periodo limitati di tempo, la personalità e i ricordi appartenenti a cari defunti. L'operazione vanta un dubbio valore terapeutico: ovviamente Sal non riuscirà più a staccarsi dalla donna (c'è un punto in cui il film incrocia precisamente uno snodo de La donna che visse due volte), che è un po' la moglie (con la quale deve rielaborare il rimpianto di non avere avuto un figlio, a causa delle proprie paure), un po' una donna sconosciuta, che a sua volta ha avuto un lutto e ora deve faticosamente cercare una nuova ragione di vita. Non aggiungo di più sui rispettivi finali, che, pur non nelle rispettive differenze, adottano un analogo twist narrativo, con la rimessa in gioco dello statuto ontologico dei personaggi protagonisti, e si chiudono entrambi su un'immagine plastica praticamente sovrapponibile. Ho trovato assolutamente singolare comunque la consonanza dei due film nel trattare in modo immaginifico lo stesso pressoché identico tema, ovvero quello della possibilità di confrontarsi con i propri fantasmi affettivi e sentimentali, di dire finalmente le parole che non si sono mai dette, di risolvere questioni esistenziali che non si è saputo o potuto affrontare - anche perché è mancato drasticamente quel tempo che si credeva di avere a disposizione. Lo spunto da fantascienza o da ghost movie è solo un labile pretesto narrativo per mettere in gioco un teatro mentale dove si rappresenta la resa dei conti con se stessi e con i fantasmi della propria coscienza e della propria storia individuale e famigliare. Another End (decurtando il titolo si ottiene l'espressione “not here”, poiché si ha a che fare con persone che non sono più qui, cioè tra noi, ma anche “the end”, come esplicita il trailer del film) in ossequio alla sua natura pretestuosamente fantascientifica, si apre con un paio di sequenze ad effetto. In una Sal si reca dall'anziana vicina per aiutarla a riparare un guasto domestico. Mentre la signora offre un tè a Sal e chiacchiera abilmente, il marito dorme sul divano, con il giornale aperto sulle ginocchia. Poi arrivano degli inservienti che cominciano a trafficare intorno all'anziano. Non sono badanti o infermieri: lo impacchettano in un involucro e lo portano via, nell'indifferenza della moglie, come se fosse un cadavere. Nella sequenza successiva siamo in un hangar gigantesco, dove sono stesi moltissimi corpi, chiusi in involucri simili. Poi i presunti cadaveri si risvegliano, aprono dall'interno le cerniere dei rispettivi involucri, si alzano e si incamminano. Ma la parte preponderante di entrambi i film si svolge in realtà in ambienti domestici, sottolineando la dimensione intimistica ed emozionale della narrazione, con pochissime sequenze girate all'esterno (in un'ennesima consonanza o rima visivo-narrativa, in entrambi i film c'è un'importante sequenza girata in discoteca). L'ambiente urbano è sempre impersonale e anonimo: in Estranei Adam (il primo uomo, in attesa di un compagno tratto dalla propria costola) vive in un grande condominio disabitato, e Londra è solo un remoto skyline visto alla finestra; in Another End Sal vive ormai solo nel suo appartamento, in una città senza nome dall'aspetto moderno e scostante. Gli interni (la casa dei genitori di Adam, quella di Sal) hanno invece una dimensione un po' vecchia, vagamente claustrofobica, dove si ascoltano vecchi vinili o si guardano film dal divano del salotto. Anche l'ambientazione è costantemente crepuscolare: il mondo di Another End è grigio e piovoso, mentre dalla finestra di Adam si vede incombere sul lontano skyline della città un sole costantemente rosso, come in un eterno estenuante malato tramonto.
Perfino le personalità dei protagonisti maschili hanno delle consonanze: se Adam è un gay (o queer - nel film si discute della definizione più appropriata) dichiarato, e chiaramente la parte passiva e più femminile della coppia che si viene a formare con il vicino Harry, Sal sembra rappresentare il lato meno virile del triangolo (o quadrilatero) formato con la moglie Zoe (interpretata da Renate Reinsve, che supera vistosamente anche in statura fisica il “piccolo” Gael Garcia Bernal) e con la sorella Ebe (ed eventualmente con Ava, “ospite” della personalità di Zoe). Entrambi i film infine adottano un twist finale che dovrebbe sorprendere lo spettatore con una rivelazione a sorpresa. E' un ribaltamento esistenziale-ontologico di cui Philip Dick fu un precursore in letteratura e che ormai abbiamo già visto più volte sullo schermo in diverse declinazioni (da Il sesto senso a The Others a Sto pensando di finirla qui). Evidentemente sono due film che, per i temi toccati e per il tono della narrazione - in entrambi i casi calibrato sulle emozioni dei protagonisti, sui loro rimpianti e rimorsi, sui loro sensi di colpa e sul desiderio di poterli fugare con un confronto postumo con le persone più importanti della loro vita, sul loro amore e sul bisogno di riceverne - toccano o possono toccare profondamente la sensibilità di spettatori e spettatrici. Con qualche veniale difetto. Ad Estranei imputerei soprattutto il rischio di sfiorare in qualche occasione il ridicolo involontario (v. le scene in cui i protagonisti discutono disinvoltamente della propria morte o dei tempi moderni che ne sono seguiti; o, peggio, quella in cui Adam, adulto, veste un pigiamino da dodicenne e si mette a dormire tra i genitori nel letto matrimoniale); a Another End (che deve superare nella fase iniziale la difficoltà di rendere comprensibile la situazione evitando l'effetto “spiegone”) qualche goffaggine in certi aspetti della narrazione (le parti del laboratorio o del bordello), una certa durezza della Reinsve ed un finale un po' troppo affrettato, non si sa se più ambiguo o più confuso. Direi che vale comunque la pena di vederli. Seguirà dibattito: inevitabilmente, principalmente con se stessi.
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I PREDATORI di Pietro Castellitto |
Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
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