IL RITORNO DI CASANOVA di Gabriele SalvatoresCasanova, il Giacomo Casanova realmente vissuto per buona parte del XVIII secolo, è un personaggio unico. Unico perché multiforme fino alla vertigine, un uomo capace di essere, nella stessa medesima vita, studente, seminarista, predicatore, carcerato, violinista, avventuriero, seduttore, viaggiatore, baro, impresario, indovino, spadaccino, spia, ricchissimo, poverissimo, drammaturgo, saggista, filosofo, storico, traduttore e infine sfrontato, minuzioso, sopraffino narratore della propria stessa incredibile vita. Il personaggio ben si presta quindi ad una storia di infinite duplicazioni, dove le opere, le citazioni e i personaggi si rimandano, rimano e si specchiano gli uni con gli altri. Tutto parte dalla vecchiaia: quella di Casanova (53enne nell'omonimo romanzo di Arthur Schnitzler, 63enne nel film); quella di Schnitzler stesso (56enne nel momento della pubblicazione del libro, nel 1918); quella degli interpreti, Servillo e Bentivoglio (circa 130 anni in due); quella infine (e soprattutto) del regista, Gabriele Salvatores, che, a 72 anni, sceglie come molti altri colleghi di diversa età e provenienza (Almodovar, Allen, Branagh, Cuaron, Inarritu, Spielberg, Mendes, Bruni Tedeschi, ecc.) di guardare indietro alla propria vita (di volta in volta infanzia, giovinezza, maturità, storia famigliare) e al proprio mestiere, cercando il senso dell'una e dell'altro - e del rapporto tra i due. Il ritorno di Casanova è innanzitutto, ed evidentemente, due film: un 8 ½ ambientato nel presente, ma in bianco e nero, e un Ritorno di Casanova di ambientazione settecentesca (ma rivisitata nel ‘900), assai fedele alla fonte letteraria, ma a colori (doppio impegno per il direttore della fotografia Italo Petriccione). Gli specchi in cui si riflettono i volti dei protagonisti (centrale la scena in cui Giacomo Casanova contempla quasi con perverso compiacimento il proprio volto deformato e invecchiato) si rispecchiano negli schermi e dei monitor in cui scorrono le immagini del film nel film e costituiscono la cifra non solo narrativa e stilistica, ma addirittura strutturale dell’opera. Tuffiamoci nella vertigine: il Casanova delle Memorie di Casanova si riflette nel Casanova del Ritorno di Casanova in un film che si riflette nei precedenti film su Casanova e nel precedente Il ritorno di Casanova del 1992 (al posto di Bentivoglio c’era Alain Delon); Casanova stesso nel film nel film “recita” il personaggio del seduttore e dell’avventuriero, che ormai teme in pericolo di anacronismo; intanto il regista Bernardi interpretato da Servillo specchia angosciato la propria vecchiaia in quella del proprio protagonista, ma anche in quella sodale dell’attore che interpreta Casanova; mentre Gabriele Salvatores specchia i tormenti della propria età in quella di Bernardi, il quale però rivede anche se stesso, come in uno specchio deformante, nella figura del regista concorrente, insieme doppio ringiovanito e temuto rivale, esattamente come lo è Lorenzi per Casanova nella novella e nel film nel film); e lo stesso gioco di rispecchiamento riguarda anche le figure (ancillari) femminili, dove all’Amelia e alla Marcolina del film/romanzo corrispondono la giornalista amante di Bernardi e la giovane Silvia. Tutto torna, insomma, nel film di un regista che con il precedente Comedians era già tornato sulle proprie orme, rifilmando, come se ne dovesse celebrare le esequie, il testo di Trevor Griffiths che già aveva portato sul palcoscenico del Teatro dell’Elfo (con un memorabile gruppo di attori) e poi sullo schermo, con il titolo di Kamikazen, ultima notte a Milano, nei lontani anni ‘80. Tornano anche gli attori e i compagni di strada del percorso di Salvatores, tra una schiera di volti familiari che vanno dallo stesso Bentivoglio (già in sei film del regista), a Catania (cinque film con Salvatores, ma già nel Comedians teatrale fin dall’86), a Balasso e Leonardi (già nel film Comedians), ai compagni storici dell’avventurosa fondazione del Teatro dell’Elfo (Elio De Capitani sullo schermo e Ferdinando Bruni voce narrante), a Bonadei (anche lui già nel Comedians cinematografico e attore di punta del nuovo Elfo in spettacoli memorabili come Nel guscio o Alla greca). Il gioco dei rimandi e dei rispecchiamenti non finisce qui: per delineare il suo ritratto di regista da anziano, con la relativa crisi professionale, artistica, sentimentale ed esistenziale, Salvatores rende un amplissimo omaggio al capostipite del genere, il Fellini che già dopo sette film e mezzo sente il bisogno di raccontare di sè medesimo in 8 ½, prima di rivolgersi a sua volta a mettere in scena e rileggere a suo modo il mito di Casanova.
Sia il Bernardi di Salvatores che il Guido Anselmi sono alle prese con un film interminabile perché i rispettivi registi non riescono o temono di dargli un senso compiuto e definitivo; entrambi sfuggono ai produttori esigenti, eludono le conferenze stampa, schivano i giornalisti o li affrontano con il fioretto spianato. Per entrambi vita e cinema si confondono e la confusione, della vita e del cinema, e del loro inestricabile rapporto di realtà e finzione, è precisamente il tema tanto di 8 ½ che de Il ritorno di Casanova. Nel suo rendergli un ampissimo (forse fin troppo) omaggio, Salvatores incontra sul suo percorso anche un altro autore, eclettico, innamorato del cinema, e che ha fatto di se stesso uno dei temi principali e degli ironici protagonisti del proprio cinema, Woody Allen, che ha spesso corteggiato il cinema felliniano. La smania di Casanova di tornare nell’agognata Venezia, e il desiderio nostalgico di Bernardi per la giovane Silvia e per una speranza di futuro, mi ha ricordato, forse a sproposito, lo ammetto, la corsa di Isaac Davis che in Manhattan si rende conto alla fine che l’unica cosa che conti veramente nella sua vita è il sorriso di Tracy. E la ronde (una figura che piaceva allo stesso Schnitzler), o danza macabra, o giostra delle vanità, che chiudeva 8 ½ nella scena onirica sul set echeggia nella scena finale del deserto del Bardo di Inarritu, ma si dilata nelle frivole atmosfere dei festival di San Sebastian e di Venezia, rispettivamente nel Rifkin’s Festival di Allen e ne Il ritorno di Casanova di Salvatores. Che finisce su una spiaggia, come La dolce vita di Fellini (o ancora Rifkin's Festival, dove una Morte uscita dal Settimo sigillo di Bergman spiega molto pragmaticamente all'angosciato protagonista il senso della vita e l'inevitabile caducità della vita). Ma lì il protagonista contemplava un mostro marino morto e dava l’addio con la mano alla giovinezza e all’innocenza, qui Bernardi ritrova la ragazza che quell’illusione di giovinezza e di futuro può ancora donarla al disilluso protagonista, emergendo come una visione dal mare notturno, portandola ancora sulla propria pelle bagnata e nel proprio ventre gravido di una nuova vita che verrà, mentre quelle vecchie, presto o tardi, se ne andranno via.
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BARDO - LA CRONACA FALSA DI ALCUNE VERITA' |
Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
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