La migliore attrice dell’anno? Se la giocano Emma Stone per La La Land, Isabelle Huppert per qualsiasi cosa decida di fare, la Portman per Jackie (sfortuna, con il ruolo perfetto, avere incontrato sulla propria strada per gli Oscar l’irresistibile Emma), la Golino non vedente ne Il colore nascosto delle cose ma anche, tra i volti nuovi, la Caramazza di Cuori puri e la Pugh di Lady Macbeth. Miglior non protagonista la Williams per una sequenza di Manchester by the Sea. Premio simpatia alla Gerini per Ammore e malavita.
Miglior attore? Direi Sunny Pawar (5 anni) nella prima parte di Lion e Claes Bang per The Square. Ryan Gosling mai così ironico e in parte come in LLL. Miglior attore non protagonista? Edoardo Pesce per Fortunata e Cuori puri. Premio simpatia a Mahershala Ali in Moonlight. Menzione speciale per il miglior cast collettivo al venezuelano-colombiano El Amparo. I peggiori attori dell’anno? Senza dubbio Servillo ne La ragazza nella nebbia (emoticon con strizzata d’occhio...). Peggior performance collettiva: Gli asteroidi, Omicidio all’italiana. Menzioni speciali per tutto l’illustre cast di The Place e per il casting sprecato de La tenerezza. Il miglior film d’animazione? Beh, Loving Vincent. Vedi anche: I film più belli del 2017 e I film più brutti del 2017
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Saltando dall’altra parte dello steccato, ci sono una manciata di film francamente brutti, quelli che ad un certo punto mi hanno fatto chiedere se non stessi perdendo il mio tempo (ammesso che andare al cinema non sia sempre una perdita di tempo) seguendoli fino alla fine. Non sono necessariamente film malfatti (ma a volte anche sì). In questa categoria ci sono film che proprio non mi sono piaciuti (come l’immaturo GLI ASTEROIDI, l’esagerato OMICIDIO ALL’ITALIANA, lo stucchevole PARIGI PUO’ ATTENDERE), altri variamente velleitari (come IN DUBIOUS BATTLE o LA RAGAZZA NELLA NEBBIA), altri che ho trovato inutili (come MIA CUGINA RACHEL, IL VIAGGIO, RITRATTO DI FAMIGLIA CON TEMPESTA, QUELLO CHE SO DI LEI): finiscono nel mucchio, ahimè, anche film di autori riconosciuti, di temi importanti, di buone intenzioni. Una categoria a sé merita MOTHER! di Aronofsky (di cui avevo apprezzato molto tanto The Wrestler che Il cigno nero), talmente brutto e sgangherato da meritare un’analisi (io stesso gli ho dedicato un pro in Hollybloog e un contro in Face/Off), e da diventare per alcuni un cult movie. Con Mother! entriamo in realtà in altro campo, quello delle delusioni, cioè quei film ai quali mi ero accostato con delle aspettative, spesso nutrite dal rispetto e a volte dall’ammirazione che provo (uso il verbo al presente, tutti possono sbagliare; anch’io, naturalmente) verso i loro autori. In questa lista si trovano ad esempio l’irritante LA TENEREZZA, film postumo ma non per questo meno insalvabile di un regista stimato come Amelio; lo stesso BLADE RUNNER 2049, al quale ho dedicato un saggio di critica schizofrenica ma che ho trovato comunque assai poco inventivo dal punto di vista visivo, assai fiacco nello sviluppo drammaturgico (Ryan Gosling che cammina; mi state odiando?), e poco stimolante dal punto di vista teorico-filosofico-metalinguistico; horror assolutamente blandi e spuntati come l’acclamato GET OUT o SPLIT di Shyamalan; il noir di Amendola IL PERMESSO; il ritorno in patria di Ozpetek con ROSSO ISTANBUL; il terribile tonfo metafisico di Genovese, dopo l’ottimo Perfetti sconosciuti, con THE PLACE; il convenzionale e smunto ALLIED che smentisce la fama di inventore di Zemeckis; il noiosissimo SILENCE del maestro Scorsese; l’esangue (letteralmente) rilettura femminile de La notte brava del soldato Jonathan operato dalla Coppola con L’INGANNO; il tedioso SIERANEVADA, proveniente da una cinematografia, quella rumena, che è una di quelle che più mi aveva incuriosito e dato soddisfazioni in passate stagioni; l’inedito (e si capisce) MY HINDU FRIEND di Hector Babenco, mortifero e imbarazzante... Vedi anche I film migliori del 2017 e I migliori e i peggiori attori e attrici del 2017. La fine dell’anno è tradizionalmente tempo di classifiche. A me non piace dare voti e non mi piace mettere in fila i titoli dicendo che un film è un pelino più o meno bello di un altro. Non ne sono capace e magari il giorno dopo cambierei idea. Si tratta poi spesso di paragonare “mele con pere” e non mi sembra un esercizio utile.
Però non resisto alla tentazione di dire la mia e di dare qualche consiglio sui film da vedere o (anche) da evitare in una visione retrospettiva dell'annata. Mettendo i titoli in colonne di merito direi che il bilancio dell’anno è comunque piuttosto buono. Ho preso in considerazione i titoli non per data di uscita o di produzione, ma ho preso in esame i film che ho visto io al cinema dal 1° gennaio al 31 dicembre 2017 (una novantina, proveniente dall’incredibile cifra, contando anche le coproduzioni, di oltre 40 Paesi diversi). Le colonne in cui ho distribuito i titoli sono del resto molto permeabili e mi sono trovato più volte a tracciare frecce che spostavano un titolo da una colonna all’altra. Partiamo dall’alto. Il primo titolo che mi viene in mente per le primissime posizioni per me rimane l’adorabile LA LA LAND, vincitore morale dell’Oscar e di qualsiasi altra cosa. Nell’autorevole rivista con la quale collaboro, Segnocinema, nella classifica stilata da 33 critici, LLL si è piazzato al 2° posto assoluto (dopo Elle), ma è anche l’unico della cinquina sul podio a figurare nella classifica dei 50 migliori incassi di stagione (al 17° posto): quello che si può definire un (raro) successo di critica e pubblico. Se dopo il musical più bello degli anni 2000 volete ancora divertirvi con un filmetto di genere e passare una serata adrenalinica e divertente, c’è l’action romantico e musicale di BABY DRIVER. Poi due capolavori (politicamente scorretti): lo scandinavo THE SQUARE è uno dei film più intelligenti e stimolanti dell'anno, un film che ha davvero qualcosa da dire sul mondo in cui viviamo e addirittura anche qualcosa di profondo sul rapporto tra arte e società, il tutto con un umorismo spiazzante (si ride a denti stretti, e magari dopo un po’, passata la tensione o l’imbarazzo); AMMORE E MALAVITA è a sua volta un capolavoro pop kitsch, in miracoloso equilibrio tra action (poliziottesco+camorra movie+hongkong), musical, sceneggiata napoletana, love story, film di truffa, satira, melodramma e chi più ne ha più ne metta, con la parodia e l’autoparodia già incorporata. Se volete vedere un po’ di nuovo cinema italiano con facce e storie nuove vi consiglio CUORI PURI e A CIAMBRA. Storie un po’ marginali: se volete proseguire su un piano impegnato suggerisco il russo LOVELESS, sull’egoismo contemporaneo, il libanese L’INSULTO, una riflessione sulla difficoltà di conciliazione storica che parte da un pretesto banale, o l’iraniano IL CLIENTE, con Fahradi che ancora non sbaglia un colpo con i suoi psicologicamente intricati e coinvolgenti drammi sociali e famigliari. Tra gli inediti mi piace segnalare EL AMPARO, intenso dramma sociale latinoamericano con un ottimo cast e grande tensione. Appena più in giù metterei un bel po’ di film interessanti per vari motivi. Tra le cose più intriganti ancora due italiani che mescolano i generi in modo piuttosto ardito, GATTA CENERENTOLA (animazione+fantascienza+camorra movie+fiaba+film musicale ecc.) e SICILIAN GHOST STORY, che adotta toni onirici e legati al mondo oscuro delle fiabe per raccontare una delle più atroci storie (vere) di mafia. In campo fantascientifico mi è piaciuto (lo sto per dire! eresia! più di Blade Runner 2049...) GHOST IN THE SHELL, mentre il cupo e filosofico ARRIVAL mi ha fatto uscire piuttosto sconcertato, ma alquanto riflessivo. ELLE è un ammaliante ritorno al Verhoeven delle origini; merito anche della Huppert, impeccabile sia qui che ne Le cose che verranno (Happy End non l’ho ancora visto); alcuni autori, vecchi e nuovi e di vario calibro, si confermano con film non tra i loro migliori ma sempre interessanti (Kaurismaki con L’ALTRO VOLTO DELLA SPERANZA, Allen+Storaro con LA RUOTA DELLE MERAVIGLIE, Nolan con il kolossal intimista di DUNKIRK, Boyle con il seguito di TRAINSPOTTING, Soldini con IL COLORE NASCOSTO DELLE COSE, ecc.). Il cileno Larrain riesce a non snaturare il proprio cinema con una difficile trasferta americana e con il confronto con la storia e il mito di JACKIE e dei Kennedy. Due commedie sulle quali non avrei scommesso nulla e che si sono rivelate meno superficiali del previsto sono l’italiano NOVE LUNE E MEZZA, sul tema della maternità, e l’israeliano APPUNTAMENTO CON LA SPOSA, sul tema del matrimonio. Spietato invece quasi quanto Loveless sulle dinamiche famigliari e di coppia il belga DOPO L’AMORE. Efficace e assai poco materna la dark lady del formalistico LADY MACBETH. Tra le storie famigliari, ci sono ancora LION, che vanta una prima parte molto bella, e MANCHESTER BY THE SEA, che avrebbe potuto e voluto essere straziante ma che non mi ha preso fino in fondo. Temi sociali invece al centro del francese 120 BATTITI AL MINUTO, tra film politico e tragedia individuale, e del ceco THE TEACHER, tra dramma, commedia, film giudiziario e satira. Fuori categoria LOVING VINCENT, debole nella drammaturgia ma stupefacente nelle immagini che animano le creazioni di van Gogh, e il bel documentario MEXICO! sulla romantica figura di un anarchico resistente dell’esercizio cinematografico (Sancassani). Sul tema razziale non mi ha convinto molto Moonlight, reo anche di aver usurpato l’Oscar a LLL; meglio LOVING, o, ma con forme molto più convenzionali e prevedibili, IL DIRITTO DI CONTARE. Un’altra storia di emarginazione etnica, ma a una latitudine insospettabile, è quella al centro di SAMI BLOOD, sull’oppressione del popolo lappone nei paesi scandinavi. Alla lista dei buoni si potrebbero aggiungere altri titoli che nella mia scelta sono finiti in una zona di medietà, visibili ma anche perdibili. C’è dentro un po’ di tutto, cinema d’autore, commedie, film di cinematografie “altre”, blockbuster poco entusiamasti, film blasonati e film sconosciuti. Non sto ad annoiarvi con un elenco. Un titolo solo, così per rendermi magari antipatico: FORTUNATA. Vedi anche I film peggiori del 2017 e Attori e attrici: i migliori e i peggiori del 2017. LA RUOTA DELLE MERAVIGLIE di Woody AlenE’ curioso come il nuovo film di Woody Allen ripeta alcuni elementi strutturali del film precedente. Entrambi si potrebbero raccontare così: America, prima metà del secolo scorso, nell’ambiente dell’intrattenimento di massa e con sullo sfondo il mondo della malavita; due giovani, uno dei quali con velleità artistiche, sono attratti l’uno dall’altra, ma uno ignora che l’altro ha già una relazione con una persona più anziana, che ha oltretutto un rapporto di parentela con uno dei due, cosa che renderà impossibile realizzare il loro rapporto d’amore. In Café Society il giovane protagonista che vuole farsi strada nella Hollywood degli anni ’30 scopre che la ragazza di cui è invaghito è l’amante di suo zio, potente produttore cinematografico; ne La ruota delle meraviglie, nel divertimentificio popolare di Coney Island, nel 1950, un giovane aspirante drammaturgo si invaghisce ricambiato della figliastra della donna con cui ha già una relazione. Se là l’ispirazione letteraria veniva da Scott Fitzgerald, per temi e ambientazioni, qui siamo piuttosto dalle parti dell’ambiente proletario e velleitario alla Tennessee Williams. Difficile comunque pretendere ogni volte novità da un regista 82enne al suo 47simo film da regista e che, in uno stile sempre molto personale, ha frequentato il mondo del cinema e quello della moda, quello del circo e quello della musica, quello del vaudeville e quello del teatro, l’epoca napoleonica e il futuro da fantascienza, rendendo via via omaggi a Fellini e a Bergman, a Truffaut e all’espressionismo tedesco, a Cechov e a Dostoevskij, a I soliti ignoti di Monicelli come ai miti letterari e artistici della Parigi degli anni ’30, creando uno stile innovativo e inconfondibile di umorismo intellettuale di cui resta l’indiscusso campione, ma elaborando nello stesso corpus di opere una filosofia della vita e del cinema profonda e coerente, e disseminando l’ultimo cinquantennio di pietre miliari del cinema e pure del metacinema (con titoli come Zelig, La rosa purpurea del Cairo, Harry a pezzi). Ormai il gioco critico consiste nell’etichettare ogni nuova uscita come “film minore” o “film maggiore”, dimenticando che in una produzione così copiosa l’alternarsi della qualità dei risultati è sempre stata presente. Negli anni ’70, ad esempio, sono presenti sia divertissement come Il dormiglione o Amore e guerra accanto a capolavori come Io e Annie o Manhattan, mentre ancora negli anni più recenti una caduta abissale di tono e di stile come To Rome with Love segue un gioiellino come Midnight in Paris e precede un buon film come Blue Jasmine. A quest’ultimo La ruota delle meraviglie può in parte accostarsi per lo spazio dato ad un ritratto femminile, qui affidato alla maturità espressiva di Kate Winslet (gli altri tre protagonisti del quadrilatero amoroso sono Justin Timberlake, Juno Temple e Jim Belushi). Tutto il film però risulta appesantito da un’impostazione teatrale, con sequenze abbastanza lunghe e complessivamente statiche, che coinvolge anche lo stile della recitazione, compreso quello della Winslet stessa, alla quale vengono offerti diversi monologhi e quasi degli a parte in cui la sua performance sembra isolarsi da quanto le sta intorno. Inoltre, si riproduce anche la situazione in cui l’amante più giovane scopre le gravi responsabilità di quello più anziano, come già era accaduto nel recente Irrational Man. Incredibile invece è la ricostruzione scenografica e illuministica degli ambienti e delle atmosfere. Già la panoramica d’apertura sull’affollata spiaggia di Coney Island dà un’idea della grandiosità dell’operazione. Tutto il film poi è letteralmente immerso nelle luci di Vittorio Storaro (alla sua seconda collaborazione consecutiva con Allen dopo Café Society; tra Storaro e Allen ci sono cinque anni di differenza, hanno iniziato a lavorare più o meno negli stessi anni, hanno firmato un numero quasi identico di pellicole e entrambi hanno vinto diversi Oscar) che si può a tutti gli effetti considerare un coautore del film. I colori sono pastosi e saturi (il poster pubblicitario molto buio non rende assolutamente onore alla ricchezza cromatica della pellicola), le luci naturali sono prevalentemente laterali, con numerosissime sequenze girate con la luce del tramonto a ramare la capigliatura della Winslet e a riscaldare le tinte, e con le luci artificiali spesso cangianti in un continuo alternarsi tra il caldo e il freddo della temperatura emotiva del film. Gli stessi personaggi si rendono conto della magia della luce: la frase che il protagonista dice alla ragazza, su quanto sia bella alla luce della pioggia – ma, come succede in almeno un’altra occasione, la luce aranciata del sole basso sotto le nuvole illumina i protagonisti anche durante la pioggia – viene riportata di bocca in bocca e diventa uno dei pretesti dello sviluppo drammatico della vicenda. Non sono un assiduo dei social, ma non ricordo di aver visto in precedenza una discussione così veemente sulla fotografia di un film, tra opposte fazioni di estimatori e detrattori. Capisco anche quelli che sostengono che la fotografia abbia in certo senso prevaricato il film; io stesso mi sono trovato in più di un’occasione a perdermi cogli occhi nei riflessi aranciati sui capelli della protagonista, mentre le orecchie seguivano con una certa distrazione le evoluzioni dei dialoghi e della drammaturgia. Ma tant’è. Diamo un quarto Oscar a Storaro (eguaglierebbe Woody) e non pensiamoci più. SAMI BLOOD di Amanda Kernell |
Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
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