I AM NOT YOUR NEGRO![]() I Am Not Your Negro, che ha aperto alla presenza del regista la 27a edizione del Festival del cinema africano, d'Asia e America latina di Milano, e che è attualmente in programmazione a Cinewanted e al cinema Beltrade, è probabilmente l'opera cinematografica più interessante e più stimolante per la riflessione e il dibattito tra i numerosi film sulla questione afroamericana usciti nelle ultime settimane sui nostri schermi (come Il diritto di contare, Moonlight, Loving e Barriere, alcuni recensiti in queste stesse pagine). Al contrario dei precedenti (tutti, tranne Barriere che era in origine un'opera teatrale, ispirati comunque a storie realmente accadute) anziché partire da uno spunto narrativo, I Am Not Your Negro è però interamente basato su un testo saggistico (“Remeber This House”), lasciato incompiuto alla morte (nel 1987) dallo scrittore afroamericano James Baldwin (tra i suoi romanzi “Gridalo forte” - “Go Tell It on the Mountain” - e “La stanza di Giovanni”; tra i suoi saggi destò scalpore “La prossima volta il fuoco”) e portato sullo schermo dal regista di origini haitiane Raoul Peck (tra i suoi fil più noti L'homme sur les quais e Lumumba). Anche questo film come quelli citati (con l'eccezione di Moonlight) affonda le proprie radici nel passato: il testo di Baldwin ripercorre infatti, anche in chiave autobiografica, dal momento che lo scrittore conobbe personalmente tutti e tre i personaggi, il periodo in cui vennero assassinati, uno dopo l'altro, i principali esponenti dei movimenti di emancipazione afroamericana: Medgar Evers, Malcom X e Martin Luther King. Prendendo spunto dai ricordi personali e dai sentimenti di dolore e frustrazione, lo scrittore innesca una riflessione a tutto campo che mette in discussione non solo la storia e lo stato dei rapporti tra bianchi e neri nella società americana, ma che si estende ai fondamenti e ai corollari ideologici e simbolici di tale rapporto. Da una parte quindi trattato di filosofia politica, dall'altro cultural study che ripercorre la costruzione di un immaginario, soprattutto cinematografico, che cela sotto la sua classicità e innocenza una mitopoiesi della Nazione americana che mistifica o occulta la realtà della schiavitù, dello sfruttamento della forza-lavoro, della discriminazione e dell'oppressione, così come anche il genocidio delle popolazioni native sterminate dai colonizzatori e l'espropriazione di territori e risorse. Peck sceglie di lasciare intatta e integra la letteralità del testo di Baldwin, cui si aggiungono le parole pronunciate dallo stesso scrittore in occasioni pubbliche (si dedicò anche all'insegnamento) di cui rimangono le riprese originali, ma compiendo un eccellente lavoro di ricerca di archivio e di assemblaggio che mette insieme un mosaico di filmati e fotografie provenienti da materiali documentari d'epoca, dalla pubblicità e dalla cinematografia, unendoli a riprese realizzate appositamente per il film e a reportage dei nostri giorni. Lasciando inalterato quindi un testo polemico ancora di grande e viva attualità, Peck anziché aggiungere parole commenta, chiosa e aggiorna il testo di Baldwin con la forza delle immagini, non solo esemplificative o illustrative ma a loro volta autonomamente portatrici di argomentazioni dialettiche. Così dall'immagine dei neri bonari e un po' tonti usati nelle réclame, dove l'esotismo viene esaltato e nello stesso tempo normalizzato dalle divise servili (che cancellano invece o sterilizzano o glissano sull'erotismo dei corpi), si passa alle manifestazioni di protesta dei nostri giorni o alle fotografie dei neri di oggi che ci interpellano con lo sguardo; dalle scene cinematografiche (ma anche fotografie dal vero del massacro di Wounded Knee) dello sterminio dei pellerossa (nella versione eroica alla John Wayne o in quella già critica di Soldato Blu) al pestaggio di Rodney King, massacrato di botte da un gruppo di poliziotti. Malgrado la visione del film sia piuttosto impegnativa dal punto di vista intellettuale e anche visivo, visto la quantità e l'eterogeneità dei materiali mostrati in un montaggio veloce e dinamico, non si potrà non notare il fascino sprigionato dalla voce profonda di Samuel L. Jackson, che assume l'onere e l'onore di dare voce alle parole di Baldwin.
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Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
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