LE DELUSIONI D'ANNATAAdesso vengono le note dolenti, perché sto per parlare maluccio di film che molti di voi amano, anche tanto.
Ok, partiamo: C'era una volta a Hollywood mi è sembrato un film vacuo, lunghissimo e gracilissimo dal punto di vista strutturale, e tutto sommato poco ispirato. Brad Pitt vince il premio mondiale per l'attore più figo e Margot Robbie quello per l'attrice più stupenda. Green Book fa dell'antirazzismo color pastello, vintage, facile (Spike Lee aveva spaccato poco prima con l'irriverente, arrabbiato BlakKklansman), basato sul solito meccanismo del contrasto tra caratteri opposti che poi imparano a conoscersi e rispettarsi. Copia originale o Black Panther non meritavano le candidature agli Oscar. Pinocchio è forse un film sentito dal suo autore, Matteo Garrone, ma che è difficile da sentire per lo spettatore, al quale produce in genere di un film senz'anima anche se di bella calligrafia. A proposito di bambini, Cafarnao è forte ma forse un po' troppo costruito e melodrammatico (ma la bimba è fantastica). Al secondo film, dopo Il figlio di Saul, il Sunset di Laszlo Nemes è già un film di maniera, oltre che confuso e oscuro. Lo storico Peterloo di Mike Leigh è interessante quanto noiosissimo. Non mi sono piaciuti i sudamericani Il segreto di una famiglia (di Pablo Trapero, un autore che seguo con interesse) e lo stimato La vita invisibile di Euridice Gusmao, due tentativi a mio parere non riusciti di aggiornare materiali da telenovela. Zemeckis con Benvenuti a Marwen continua a non azzeccare più un film, Ang Lee si dimentica di essere un autore e gioca con la cgi nel bruttissimo Gemini Man, e l'altrove interessante Audiard fa un passo falso con il western I fratelli Sisters (già il titolo non si prende sul serio). Non ho capito Tesnota, davvero. Non ho capito Martin Eden, che per me è un film sgangherato e brutto, con un Martinelli che – un po' per vocazione sua, un po' per colpa di Marcello – sbrocca e si mette a recitare come il cattivo di Jeeg Robot. Ho paura a dirlo, ma per me è uno dei film più brutti dell'anno. Il molto atteso (da me almeno) Mademoiselle di un altro grande coreano, Park Chan-wook, è finalmente arrivato sui nostri schermi, ma mi è sembrato un pasticcio manierista e di una morbosità un po' grottesca. La trasferta francese del nipponico Kore'eda (Le verità) non dice molto, malgrado la presenza di dive plurigenerazionali come la Deneuve e la Binoche), e a proposito di storie famigliari mi è sembrato sopravvalutato (e lungo) anche Marriage Story di Baumbach, anche se ammetto l'impegno molto Actors Studio della Johansson e di Driver e dei bravi non protagonisti come la Dern, Alda e Liotta. Loffio e dejavu il francese Il mistero di Henri Pick con il solito Luchini. Debole Atlantique, premiato a Cannes come gesto politico, un zombi-movie senegalese, e non mi ha entusiasmato Dov'è il mio corpo?, film di animazione francese anch'esso premiato a Cannes (Settimana della critica). Questi due film sono presenti su Netflix, alla quale va dato atto comunque di scelte produttive e distributive coraggiose e stuzzicanti. Interessanti ma per vari motivi non riusciti due horror italiani come Il signor diavolo di Avati e L'uomo del labirinto di Carrisi. Non parliamo del remake (o non remake) di Guadagnino che si ispira in qualche modo al Suspiria di Argento. Inutile nella rilettura, velleitario nelle sue pretese storiche e autoriali e inefficace come film di genere. Letto fin qui? Arrabbiati? Non siatelo. Ricordate una profonda verità, che di solito si suole esprimere con questa formulazione: i gusti sono gusti. Non accusatemi nemmeno di aver liquidato film importanti in poche parole: la maggior parte dei film citati sono recensiti con argomentazioni su questo sito. Trovate i link nella colonna qui a fianco, se non mi sono scordato di metterli. Salto tutto il resto, o perché non l'ho visto o perché l'ho visto e non mi ha detto molto. Ho seguito il Festival del Cinema d'Africa, d'Asia e d'America Latina di Milano, che mi pare che quest'anno avesse in concorso molti film interessanti, ma che sono rimasti inediti in Italia. Un altro inedito interessante è Bacurau, una sorta di ufo brasiliano premiato a Cannes e visto al Noir in Festival. Chissà se prima o poi atterrerà dalle nostre parti. Meno male che Tolo Tolo è uscito il 1° gennaio. Così ne parliamo più avanti. E, se hai letto fin qui, vuol dire che ti meriti di meglio: clicca qui per i film più belli o più interessanti del 2019 secondo Into the Wonderland.
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Il meglio dell'annataPerché adesso? Mah, forse perché non l'ho fatta prima. Forse perché non avevo tanta voglia di farla. Perché ne sono uscite tante di classifiche, e parecchie le ho lette, e gira e rigira i titoli che circolano stavolta sono un po' uguali per tutti. Che poi io di classifiche non ne faccio e mi rifiuto di dare i voti e di mettere qualcuno al primo posto, al secondo, al terzo e così via. Anche perché magari il giorno dopo cambierei idea. Se per voi va bene metto in fila solo un po' di mie riflessioni. Bisognerebbe anche dire prima di tutto quanti film si è visti, quali, e soprattutto quali non si è visti. Non lo fa nessuno; a me piacerebbe farlo ma mi astengo per motivi di tempo e – presumo – per mancanza di vostro interesse.
Farò quindi per iniziare un paio di titoli che mi sono sembrati passare un po' in sordina. Uno è Ancora un giorno, in cui il giornalista e scrittore polacco Ryszard Kapuściński, uno dei più grandi conoscitori dell'Africa, della sua storia e dei suoi eterni problemi, resuscita, anche se solo come personaggio animato, per raccontarci della guerra “civile” in Angola. Un film d'animazione (ma con interviste ai veri testimoni delle vicende narrate) che trasuda storia, politica, etica, umanità, visionarietà. Che è più di quanto ci si aspetti da un film “normale”, figurarsi da un film d'animazione. Quel tipo di film che farei vedere nelle scuole (di cinema, di cinema d'animazione, di giornalismo, di storia, di politica) e che magari ai rispettivi studenti potrebbe piacere. Coproduzione variegatamente europea, dirigono Raúl de la Fuente e Damian Nenow. Il cinema europeo come andrebbe fatto. Tutto francese invece La belle epoque, di Nicolas Bedos. Ci sono Auteil e la Ardant, e sarebbe già un motivo per vederlo, ma è anche romantico, disincantato, divertente, struggente. Ed è una delle più formidabili riflessioni metalinguistiche sul fare cinema e sull'esperienza spettatoriale. Mi aspettavo di vederlo citato in tutte le classifiche stilate da critici professionisti, invece no. Strano. Poi ovviamente due film sud-coreani, che sono un po' tanti a ben guardare. Personalmente sono un appassionato della nouvelle vague coreana dalla prima ora, mi vanto di aver scoperto Bong Joon-hoo vedendo in anteprima The Host, senza averlo mai sentito nominare prima, e conosco il cinema di Lee Chang-dong. Sono i registi rispettivamente di Parasite (che di The Host conserva la freschezza narrativa, la stupefacente commistione dei generi, il portato politico, l'umanità nel trattare i personaggi) e di Burning. Ovvero una corrosiva commedia nera metafora della società classista e un raffinato thriller dell'anima sospeso tra Antonioni, Hitchchock e Cortazar. Notevoli entrambi. Poi Joker. Se non avesse vinto il Leone d'Oro a Venezia probabilmente l'avrei snobbato, come faccio con tutti i cinecomics che il Dio del cinema manda in terra e sugli schermi. E invece. Invece l'inaffidabile Todd Phillips ha spiazzato un bel po', ha parlato dei nostri tempi rancorosi e virulenti e ha portato un sacco di spettatori giovani e ignari a vedere un film girato con gli stilemi del film d'autore, resuscitando i fantasmi scorsesiani di Taxi Driver e di Re per una notte. Poi c'è lo spettacolo di Joaquin Phoenix che ride, e lì veramente c'è poco da ridere. A proposito di Scorsese, The Irishman è un signor film, che chiude e suggella un percorso d'autore che attraverso Goodfellas e Casino ha attraversato un bel pezzo di storia del cinema e dell'America. Ho visto che tanti hanno duramente criticato e sbeffeggiato i ringiovanimenti posticci a base di cgi degli attori protagonisti, ma questo film NON si sarebbe potuto fare senza De Niro (e Pesci). Perciò così è. Roma è del 2018? Eh già, se no sarebbe stato uno dei migliori film del 2019. Cuaron è un grande regista, l'aveva dimostrato perfino con Gravity, anche se molti non se ne erano accorti. Mi è piaciuto anche La favorita di Lanthimos. Cinico e cattivo come si conviene all'autore, ma temperato dal brio quasi comico di Emma Stone. Restando dalle parti di Netflix a me è piaciuto anche il western funebre dei fratelli Coen, La ballata di Buster Scruggs. I due fratelli non allentano la presa di una concezione del cinema e della vita cinica, beffarda e fatalistica. Aggiungo un altro film che non si è filato nessuno: The Rider – Il sogno di un cow-boy. La regista si chiama Chloé Zhao ed è di origine cinese, ma parla dei nativi americani, in un cortocircuito di spaesamento. The Rider è un film dolente, amaro, che parla della necessità di saper rinunciare ai propri sogni (che è esattamente il contrario della filosofia spicciola dell'american dream), e lo fa rappresentando una comunità antropologica sconfitta che già di suo è residuale e vive la propria condizione come un destino ineludibile. Bello. C'è poi una fila di autori che non hanno fatto quest'anno passato il loro film migliore, ma hanno rilasciato delle opere importanti e belle: Woody Allen, che con Un giorno di pioggia a New York torna svagatamente a raccontarci, x anni dopo Manatthan, come sia difficile trovare un motivo per cui valga la pena vivere (comunque); Pedro Almodovar che nel suo dolente e mesto Dolor y gloria (il suo 8 ½) ci dice che per lui il motivo è il cinema; Clint Eastwood che in The Mule – Il corriere a dispetto dell'età rimette in gioco la sua faccia grinzosa, il suo fisico segaligno, il suo mito e la sua icona per fare i conti con i temi della famiglia e degli affetti; Roman Polanski che sembra parlare anche un po' di se stesso ma imponendosi una sobrietà un po' autopunitiva riesumando la vergogna fin de siecle (ma assai attuale: rileggendo il J'accuse di Zola balzano agli occhi le analogie con casi come quelli del G8 di Genova o di Cucchi, o i tristi tempi razzisti, rancorosi e antisemiti delle nostre cronache quotidiane) del caso Dreyfus ne L'ufficiale e la spia; i Dardenne alle prese con il mistero del fanatismo religioso con L'età giovane; un Salvatores leggero che con Tutto il mio folle amore torna a parlare di fughe e di paternità disfunzionali, che sono tutto sommato i temi che gli riescono meglio, con un cast amichevole che comprende Abatantuono, la Golino, Santamaria, oltre alla rivelazione Giulio Pranno. Il film italiano che mi ha forse più intrigato è Il traditore di Bellocchio, che sfugge ai cliché dei film di mafia e gira uno strano film, teatrale e beffardo. A proposito, il mio premio per miglior attore non protagonista a Lo Cascio. Quello per il protagonista inevitabilmente a Phoenix. Quello per il cast a Parasite. Quello per il cast femminile a La favorita. Quello per la miglior attrice forse a Julianne Moore, che prende il posto della cilena Paulina Garcia in Gloria Bell, autoremake hollywoodiano di Sebastian Lelio. Bei film politici il palestinese Sarah e Saleem, lo spagnolo Il regno o il biopic statunitense Vice; interessanti alcune incursioni del cinema italiano nel film di genere, come l'esperimento pre-peplum de Il primo re di Matteo Rovere, con un tosto Alessandro Borghi, o 5 è il numero perfetto, il graphic-noir di Igort che tenta un'operazione analoga a quella di Sin City di Frank Miller; buono anche lo spaccato sociale de La paranza dei bambini, non malaccio Il grande spirito con la coppia Rubini-Papaleo; molto poetico nel campo dell'animazione 5 cm al secondo del maestro nipponico Makoto Shinkai; carina l'idea di Yesterday dove il mondo ignora l'esistenza dei Beatles, godibili i film musicali su Elton John (Rocket Man), un po' più inventivo del del tutto prevedibile Bohemian Rhapsody. A proposito di biografie, non male anche quella su Laurel e Hardy, malinconica e rispettosa. Nella colonna qui a fianco, se proprio vi volete togliere lo sfizio, i link a tutte le recensioni, o quasi. E non tutto è andato così bene: clicca qui se vuoi leggere delle delusioni d'autore. |
Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
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