Si approssima la 33a edizione del festival del cinema milanese che più amo, il FESCAAAL, ovvero il Festival del Cinema d'Africa, d'Asia e d'America latina. Una preziosa occasione di lanciare lo sguardo verso altri mondi, altre culture e verso altri modi di fare cinema; poiché anche nel mondo globalizzato (dove spesso i cineasti d'altrove si formano in Occidente e non ignorano certo i modelli occidentali), esistono senz'altro delle specificità di temi, di ambienti, di linguaggi e di paesaggi che rendono l'esperienza del Festival sempre molto interessante, sorprendente ed istruttiva, oltre che emozionante. Inutile dire poi del valore del confronto culturale, che anima il Festival fin dalla sua nascita, in un mondo che appare attraversato da catastrofiche divisioni e conflitti, ad un livello di tensione e di pericolosità difficilmente immaginabile solo qualche anno fa. Rispetto agli anni scorsi il Festival si sposta di qualche settimana ma rimane sempre nel periodo primaverile, con un'edizione caratterizzata dal numero 3: la 33a edizione inizia il 3 maggio, con 3 sezioni competitive (Finestre sul Mondo con lungometraggi dai 3 continenti, cortometraggi africani ed Extr'a, dedicata alle opere italiane sui temi dell'interculturalità e delle migrazioni), e con un logo dove la familiare zebra prismatica si fa in 3. Il Festival si ripresenta nella sua forma ibrida, in sala a Milano alla Cineteca Arlecchino, al Godard di Fondazione Prada e nella sede tradizionale dell'auditorium San Fedele; ma anche on line (sulla piattaforma MyMovies) per quelli che, dovunque vivano, non vogliono o non possono essere fisicamente in sala. Come sempre il programma prevede nell'arco di dieci giorni la proiezioni di lungometraggi (spesso in prima italiana, europea o mondiale, oltre a proiezioni di film fuori concorso già premiati o acclamati dalla critica), cortometraggi, documentari, ma anche un ricchissimo calendario di incontri con gli autori e di eventi collaterali. Costole del Festival sono anche lo spazio di riflessione Africa Talks, con un focus su arti visive e creatività in Africa, e il MiWY, un festival nel festival rivolto interamente alle scuole e dedicato alla conoscenza e all'approfondimento delle cinematografie e alle culture di Africa, Asia e America latina e all'educazione interculturale, con proiezioni a Milano, a Lecco e on line, sempre su MyMovies. La Giuria Internazionale sarà composta dal regista filippino Lav Diaz (Presidente), dall'iraniano Ali Asgari (co-regista di Kafka a Teheran), e dalla distributrice Anastasia Plazzotta, mentre la Giuria Premio della Critica, in collaborazione con Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani, sarà presieduta da Nicola Falcinella. E' già stato reso noto il titolo che venerdì 3 maggio inaugurerà il Festival al Cinema Godard di Fondazione Prada: si tratta di Fremont, di Babak Jalali, la storia di una rifugiata afghana a Fremont, una cittadina californiana chiamata Little Kabul, in equilibrio tra passato e presente, tra sensi di colpa e ricerca dell'amore, tra il lavoro come scrittrice di bigliettini per i biscotti della fortuna, insonnia e psicoterapia.
Il film, scritto con Carolina Cavalli, ha avuto la sua prima mondiale al Sundance Film Festival 2023 e si è già aggiudicato numerosi premi, tra cui il Premio alla Miglior Regia al Karlovy Vary IFF e il John Cassavetes Award agli Independent Spirit Awards e sarà distribuito in Italia da Wanted Cinema. Il regista Babak Jalali sarà presente alla Cerimonia di apertura. Insomma, preparate le valigie. Si va a conoscere il mondo.
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Ho già parlato in un'altra scheda dei lungometraggi in Concorso nella sezione Finestre sul mondo. Parliamo quindi di corti. Il Concorso cortometraggi africani ha proposto una buona selezione di titoli, dieci in tutto, distribuiti tra produzioni europee, Maghreb, Africa nera e del sud. La giuria ha decretato la vittoria di MISTIDA, di Falcao Nhaga, girato nella periferia di Lisbona. Una donna e suo figlio, un giovane adulto, tornano a casa dopo aver fatto la spesa. Dalle loro chiacchiere emerge la loro diversa visione generazionale dell’integrazione e del rapporto con le radici, ma anche il profondo affetto e rispetto reciproco che li lega. Un film semplice e riuscito, già vincitore di diversi premi, che - trattandosi di un cortometraggio - avrebbe forse potuto essere ulteriormente asciugato senza perdere nulla della propria efficacia. Ma il trionfatore per simpatia è decisamente A.O.C., di Samy Sidali, girato in Francia, cui è andato il premio Multimedia San Paolo/Telenova. Una donna e i suoi due figli (una ragazza adolescente e il fratello minore), immigrati in Francia di origini arabe, decidono di approfittare di una legge realmente esistente per cambiare i propri nomi all’anagrafe, francesizzandoli, ai fini di una migliore integrazione. Il tema dell’identità culturale vine trattato con leggerezza e ironia, in un film che in soli 18 minuti delinea caratteri, storia, linee narrative diverse, inserendo perfino sequenze di cinema nel cinema e un numero da musical all’Ufficio Anagrafe. Irresistibile. Alle prese con la sfera della sessualità invece, ma sempre con una discreta dose di ironia, i protagonisti del sudafricano MIRROR MIRROR, di Sanduela Asanda e dell’egiziano MY GIRL FRIEND. Nel primo una sedicenne è alla scoperta della conoscenza del proprio corpo, della masturbazione e del piacere sessuale, che pure le sfugge. Tra amiche, pc, libri e riviste, alla fine troverà in uno specchio, e quindi in se stessa, la via per conquistare il proprio piacere, con un orgasmo festeggiato da effetti digitali. L’egiziano osa mettere in scena una storia di travestimento e confusione dei ruoli sessuali. Il progetto di due adolescenti di trovarsi a casa della ragazza per fare l’amore nella sua stanza, malgrado la presenza dei genitori di lei nell’appartamento, passa attraverso il camuffamento del ragazzo, che finge di essere un’amica della figlia. Lui ha i capelli lunghi, lei corti, le cose non vanno come previsto, lui forse ci prende gusto a truccarsi, e il padre di lei non sembra insensibile alle sue grazie. Tanta confusione sotto il cielo in una stanza, insomma. Audace e divertente, al Cairo Short Film Festival ha vinto cinque premi. Ancora Egitto e una casa familiare in OBJECTS ARE CLOSER THAN THEY APPEAR di Ahmed Sobhy, che gioca la carta dell’all in one, racchiudendo tutto il film in un unico piano sequenza, descrivendo una problematica situazione familiare ma senza che emergano tematiche di rilievo. E’ invece un conciso apologo politico BERGIE di Dian Weys (Sudafrica), che mostra un ausiliario delle forze dell’ordine che si trova costretto a spostare il corpo senza vita di un senzatetto per non ostacolare una gara podistica. Hanno a che fare con la gioventù e con il lutto sia il marocchino SUR LA TOMBE DE MON PERE (Premio Cinit per il valore educativo) di Jawahine Zentar che il ghanese TSUTSUE di Amartei Armar. Nel primo una ragazzina emigrata con la famiglia torna in Marocco per il funerale del padre, salvo scoprire che non le è possibile dargli l’ultimo saluto, in quanto femmina, e quindi tenuta ai margini delle esequie. Non ha nessuna intenzione di rispettare il divieto, e il film si chiude simbolicamente su una porta che si apre, anche se è quella di un cimitero. Bello. In Tsutsue (che si svolge in parte in una grande discarica di rifiuti, come il lungometraggio La hija de todas las rabias, ambientato dall’altra parte del mondo, cioè nel lontano Nicaragua, che appena la settimana precedente ha vinto il festival milanese dedicato alla cinematografia femminile Sguardi altrove) un bambino gioca alla fantascienza tra i rifiuti, in un paesaggio postapocalittico (e invece epitome di un’apocalisse in corso di svolgimenti), ma intanto aspetta che il mare gli restituisca il corpo del fratellino morto annegato. Anche il congolese MULIKA, di Maisha Maene usa una metafora fantascientifica per parlare dell’Africa contemporanea, mettendo in scena uno strano “afronauta” che nella sua tuta argentea cammina prima attraverso un desolato paesaggio vulcanico, poi per le strade di Goma, tra la curiosità, il divertimento e la paura dei passanti, fino ad incontrare un rappresentante degli antenati. Mulika ci parla di come anche il progresso e la tecnologia si traducano nel continente africano in nuovi materiali e in nuove forme di sfruttamento.
Si volge invece verso il passato BAZIGAGA di Jo Ingabire Moys, e cioè verso il Ruanda del 1994, insanguinato dalla persecuzione dei tutsi da parte degli hutu. Un pastore cristiano si rifugia insieme alla figlioletta nella capanna di Bazizaga, fino a quel momento disprezzata (ma anche temuta) come strega. Visioni diverse della fede e dei saperi tradizionali si confrontano mentre fuori la violenza e la morte bussano alla porta. Sui titoli di coda parla la donna che ha ispirato il film, e che ha salvato realmente centinaia di persone dalle violenze hutu. Menzione speciale della giuria del festival. Leggi anche le recensioni dei lungometraggi della sezione Finestre sul Mondo. FESTIVAL DEL CINEMA D'AFRICA, ASIA E AMERICA LATINA |
Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
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