Nell’estate del 2017 abbiamo visitato il Sud-Ovest dell’Inghilterra, partendo e arrivando a Bristol e passando per Somerset, Dorset, Devon, Wiltshire, Cornovaglia e toccando il punto più occidentale dell’isola (Land’s End) e quello più meridionale (Lizard Point; quello settentrionale, John O’Groats, l’avevamo già toccato in un precedente viaggio in Scozia...). Ecco il nostro diario del viaggio, avvenuto tra il 15 e il 24 agosto 2017:
Giorno 1: Bristol, Bath, Wells Abbiamo volato con RyanAir su Bristol, l’unico aeroporto del sud-ovest ad essere collegato direttamente con l’Italia (biglietto a circa 200 euro ciascuno). Abbiamo commesso l’errore di prelevare un po’ di sterline direttamente da un atm dell’aeroporto: malgrado il cambio ufficiale della giornata fosse 0,91 sterline/euro, il prelievo di 200 euro ci è costato l’esorbitante cifra di 257 euro (commissioni escluse), contro i circa 220 preventivabili. In realtà poi praticamente tutto si può pagare con carta di credito, per cui alla fine ci siamo riportati a casa buona parte delle sterline prelevate, insieme a quelle che avevamo portato da casa, avanzate da precedenti vacanze, che, essendo andate fuori corso, dovremo cercare ora di farci cambiare spedendole alla sede londinese della Banca d’Inghilterra. In aeroporto, proprio di fronte all’uscita, abbiamo prelevato la macchina prenotata con la Hertz. Avevamo prenotato la più piccola, ma ci è stata assegnata una Vauxhall Corsa turbo a 5 porte, un’ottima macchina, scattante e con un bel cruscotto touch screen, (202 euro per 10 giorni, oltre a 44 euro di assicurazione per l’eliminazione delle franchigie). In Internet si trovavano macchine anche a prezzi più bassi, ma le pessime recensioni lette ci hanno indotto ad andare sul sicuro. Dall’aeroporto siamo andati direttamente a Bath e poi a Wells, con un traumatico battesimo del fuoco su strade strettissime (suggerite dal navigatore) e naturalmente guida a sinistra. Il tempo, grigio al mattino e con pozzanghere al suolo, migliora e ci regala una bella giornata con sole e fotogeniche nubi bianche. Bath è una bella e vivace cittadina, attraversata dal fiume Avon, famosa soprattutto per la presenza dei bagni romani, un complesso dove scorrono ancora le acque termali nelle piscine e negli ambienti costruiti nel primo secolo DC. Al di sopra degli edifici romani si sono sovrapposti costruzioni settecentesche, creando un bizzarro insieme architettonico. In alcuni ambienti retroproiezioni su teli animano in modo suggestivo gli ambienti con personaggi con costumi (o senza, siamo alle terme) da antichi romani. Il biglietto d’ingresso è piuttosto spropositato (17£), anche perché i reperti romani conservati all’interno del museo per noi italiani non sono particolarmente nuovi o esaltanti. Il centro cittadino è comunque bello e ricco di belle vedute, tra la spettacolare abbazia gotica (osservate sulla facciata il curioso particolare degli angeli che si arrampicano su scale a pioli), gli scorci sul fiume (attraversato da un ponte affiancato da edifici che ricorda il Ponte Vecchio di Firenze – ma con minor fascino) e su bei giardini e un vivace centro pedonale. Dal centro ci siamo spostati a vedere The Circle e The Royal Crescent, complessi residenziali georgiani curvilinei molto inglesi. A Wells abbiamo visitato la bella cattedrale gotica, dagli esterni ornati da trecento statue, che spicca sul fondo di un bel prato all’inglese. Sul lato sinistro un orologio astronomico, tra i più antichi al mondo, con statue mobili che battono le ore ad ogni quarto. I dintorni della cattedrale sono molto suggestivi, tra le rovine del palazzo vescovile, edifici medievali, giardini e corsi e specchi d’acqua.
Giorno 2: Stonehenge, Salisbury, Bournemouth Dopo aver lasciato Bristol tra paesaggi di campagna abbiamo visitato Stonehenge. Arrivati al centro visitatori si lascia la macchina al parcheggio: si pagano 5£ che vengono scontate al momento dell’acquisto del biglietto, che ne costa 17. Secondo alcune guide il biglietto deve essere preacquistato on line, ma noi l’abbiamo in realtà comprato al momento in biglietteria, senza nemmeno fare troppa coda; il consiglio è comunque quello di arrivare abbastanza presto la mattina, perché poi il numero dei visitatori aumenta. Al centro visitatori c’è un piccolo museo con alcune curiosità; da qui il sito vero e proprio può essere raggiunto con una comoda navetta gratuita. Quando arriviamo il cielo è coperto da ammassi di nuvole scure e intorno e sopra alle pietre del monumento svolazzano i corvi che lo considerano evidentemente casa loro. Direi che è la giusta atmosfera, romantica e misteriosa; poi il cielo si schiarisce e permette qualche foto meno contrastata. Si fa una passeggiata ad anello intorno al cerchio dei monoliti (non vi si può entrare all’interno) eretti nella disposizione che vediamo oggi circa 2500 anni fa: il sito è troppo famoso e già visto per riservare grandi sorprese però da quel momento si potrà affermare “Ci sono stato”. Tra i misteri legati a Stonehenge a noi affascina il meno mistico: come abbiano fatto (e perché lo abbiano fatto) migliaia di anni fa i costruttori a trasportare qui le blue stones (usate per la prima costruzione e pesanti 4 tonnellate ciascuna) dal Galles, a centinaia di chilometri di distanza... La strada A344 che a quanto pare correva proprio nelle vicinanze del sito è stata chiusa; ce n’è un’altra poco distante da cui probabilmente si può avere (in corsa) una veduta del monumento. In realtà abbiamo scoperto che attraversando i campi ci si può avvicinare abbastanza anche senza pagare il biglietto, ma si può avere un'unica prospettiva. Da qui ci siamo spostati a Salisbury, una bella e animata cittadina, anch’essa bagnata dal fiume Avon. Il tempo è bello, con cielo azzurro e nuvole bianche. Dal parcheggio si può raggiungere il centro con una bella passeggiata lungo canale. In città abbiamo visitato una bella chiesa gotica dedicata a Thomas Beckett, che ospita uno dei più grandi affreschi d’Inghilterra (il Giudizio Universale), la cattedrale con il bellissimo chiostro su cui si affaccia la Sala Capitolare dove si può vedere la copia meglio conservata della Magna Charta (la costituzione inglese del 1215) e Market Place. La città vanta altri monumenti medioevali e caratteristiche case a graticcio. Ripartendo da Salisbury abbiamo raggiunti Boscombe, una cittadina costiera dove ci siamo fermati per la notte. Da Boscombe, passeggiando lungo una bella spiaggia di sabbia, si può raggiungere la più famosa Bournemouth, di cui la prima costituisce in realtà un sobborgo, dominata da una grande ruota panoramica e con un lungo molo che si protende nel mare. Cena in un ristorante che si vanta di cucinare il miglior fish & chips della nazione. Ritorno con ombrellino sotto la pioggerella.
Giorno 3: Lulworth Cove, Durdle Door, Exeter, Torquay Poche miglia oltre Bournemouth abbiamo raggiunto la Jurassic Coast (cosi chiamata per il rinvenimento di numerosi fossili) a Lulworth Cove, dove abbiamo lasciato la macchina in un grande parcheggio per intraprendere la passeggiata verso Durdle Door. Il parcheggio può essere pagato in anticipo lasciando il bigliettino sul parabrezza (pay and display), ma se non si sa quanto tempo ci si trattiene si può anche pagare quando si lascia il parcheggio. Poiché c’è un altro parcheggio, che si incontra arrivando più in alto sulla collina e più vicino a Durdle Door, una possibilità, se non si ha voglia di fare troppa salita, è lasciare qui la macchina, visitare Durdle Door con una breve camminata, e riportare poi la macchina nel parcheggio più in basso se si vuole visitare anche Lulworth Cove. Il biglietto d’ingresso in un parcheggio vale anche come biglietto d’uscita per il secondo parcheggio. Abbiamo letto racconti di visitatori che hanno trovato molto duro e impegnativo il tragitto, con salite e discese, da Lulworth a Durdle Door: si tratta in realtà di una bella passeggiata panoramica su un largo e comodo sentiero alla portata di chiunque non abbia difficoltà di deambulazione; dalla scogliera da cui si ammira Durdle Door per scendere alle spiagge ci sono della scalinate più ripide. Il tempo è bello, con un po’ di vento. Durdle Door è il nome di un promontorio roccioso che si protende nel mare formando un suggestivo arco naturale. Da un lato e dall’altro del promontorio si stendono belle spiagge e più in là si ammirano scogliere di roccia bianca. Lulworth Cove è una bella manciata di case sul fondo di una baia molto raccolta, contornata da una bella spiaggia dalla quale abbiamo assistito ad un operazione di salvataggio con un elicottero. Nel pomeriggio abbiamo raggiunto Exeter: meno bella delle cittadine viste in precedenza, vanta però anch’essa una ragguardevole cattedrale gotica che spicca al centro di un prato verde (le cattedrali erano generalmente al centro di un close, cioè un ampio spazio verde intorno al quale si disponevano le mura o le altre costruzioni) e dove si può trovare quella che viene ritenuta la volta più lunga del mondo. Sotto le mura cittadine c’è la zona del Quay, cioè i moli, con locali, ristoranti e la possibilità di passeggiate a piedi e in bicicletta e gite in barca e canoa. Ci siamo quindi diretti verso Torquay dove abbiamo pernottato. Siamo su quella che viene considerata la Riviera inglese, con le località balneari più famose, ma anche Torquay, come già il giorno prima Bournemouth, non ci sembra particolarmente esaltante.
Giorno 4: Looe, Polperro, Falmouth Proseguendo il nostro itinerario verso ovest, entriamo in Cornovaglia e facciamo tappa lungo la costa per visitare i due caratteristici paesini di Looe (accolti da pioggia e grandine, poi sostituiti dal sole, poi dalle nuvole, e così via), disposta sui due lati della foce di un fiume, e Polperro, dove facciamo una bella passeggiata su un sentiero su uno dei promontori rocciosi che chiudono la serrata baia in cui sorge la cittadina. Erano entrambi paesi di pescatori ma oggi sono sostanzialmente convertiti al turismo, con ristoranti, negozietti, ecc., pur mantenendo un aspetto tipico e gradevole. Qui, in un bel giardino, abbiamo deciso di provare una delle tradizioni locali: il cream tea pomeridiano che consiste in tè accompagnato da scones (focaccine alte e leggermente dolci) semplici o con uvetta da mangiare con marmellata di fragole e burro cremoso. La nostra meta finale di giornata è Falmouth, una cittadina all’ingresso di una profonda insenatura, non particolarmente bella ma la più simpatica e animata tra quelle in cui abbiamo passato le nostre serate. Abbiamo alloggiato sul crinale della collina che attraversa la città: da un lato c’è l’abitato e il porto; dall’altro una bella spiaggia di sabbia dorata. In fondo alla penisola il castello di Pendennis, circondato da mura. Serata in un bel locale vicino al porto (“5 Degrees West”), con buon cibo e musica dal vivo (Motown Pirates).
Giorno 5: Marazion, Porthcurno Beach, Land’s End, Sennen Cove, Mousehole, Falmouth Partiamo verso l’estremo ovest, facendo una sosta per guardare dalla riva Mount St. Michael, fratello gemello del Mont-Saint-Michel normanno (sono stati gli stessi frate benedettini, attraversata la Manica, a costruirlo). Anche questo monastero, come il suo omologo, è costruito sul cocuzzolo di un’altura in mare, ed è raggiungibile a piedi durante la bassa marea, mentre con l’alta è necessaria la barca. Contiamo di visitarlo l’indomani, così ci limitiamo a fotografarlo dalla costa di Marazion, dove c’è un comodo parcheggio panoramico che chiede di pagare anche per la vista (cosa che non facciamo trattenendoci solo pochi minuti). Quindi, ancora più a ovest, saliamo al Minack Theatre, un’arena panoramicissima scavata nella roccia a imitazione dei teatri greci. Non lo visitiamo, ma lasciamo lì la macchina e per un sentiero (c’è un accesso più semplice da un parcheggio situato più in basso) che offre bellissime viste sulla costa, con spiagge incastonate nelle scogliere, raggiungiamo la spiaggia di Porthcurno. E’ una spiaggia molto bella, con sabbia chiara (che secondo me non sfigurerebbe in Sardegna o alle Baleari), che si incunea a triangolo tra le pareti rocciose. Qui per la prima e ultima volta esibiamo i nostri costumi da bagno (nelle vicinanze dovrebbe esserci anche una spiaggia nudista): la giornata è bella e soleggiata, ma per ripararsi dal venticello fresco è opportuno comunque sistemarsi a ridosso delle pareti di roccia. Le onde sono insidiose: assistiamo allo spettacolo di una famiglia che cerca freneticamente di recuperare in pratica tutti i propri averi e masserizie portati via da un’ondata. Ci limitiamo a pucciare i piedi nell’acqua, che ovviamente è molto fredda, ma rinunciamo a fare il bagno (la maggior parte di quelli che entrano in acqua hanno la muta) e dopo un po’ risaliamo e ci dirigiamo verso Land’s End, la punta estrema della Cornovaglia e dell’Inghilterra. Anche qui ovviamente il parcheggio è a pagamento (6 sterline per la giornata). A parte la presenza importuna e criticatissima di un centro commerciale e di divertimenti (ma leggendo ce lo immaginavamo molto peggio: in effetti basta evitare di entrarci, e da fuori non impatta poi più di tanto sul paesaggio), c’è la possibilità di percorrere diversi sentieri (alla portata di chiunque) lungo le scogliere di fronte all’Oceano. Purtroppo il cielo si è coperto e ingrigito, ma i panorami sono molto suggestivi e di grande respiro; verso nord si può raggiungere Sennen Cove (dove ci fermiamo con l’auto sulla via del ritorno), con una bella e lunga spiaggia da surfisti; verso sud si raggiungono punti panoramici da cui si vede tra l’altro un bell’arco di roccia, riprodotto anche sulla copertina della guida della Lonely Planet. E’ appagante anche rivolgere lo sguardo verso l’interno, dove distese di erica in fiore, inframezzata da rocce e fiori gialli, forma bei tappeti ondulati color porpora. Di ritorno a Falmouth, ci fermiamo a visitare Mousehole, che, come il nome fa intendere, è un minuscolo paesino incastrato in un’insenatura della costa. Abbiamo parcheggiato gratuitamente sulla strada che porta al paese, al cui interno la circolazione automobilistica, negli stetti vicoli, è difficoltosa e sconsigliabile. Per la nostra seconda cena a Falmouth, il cui porto è animato da feste private e addii al nubilato sulle barche, ci concediamo, vista anche la monotonia dei menù, una trasgressione alla nostra regola di non mangiare cibo italiano all’estero. Oltre ad un pie contenente carne cotta nella birra, abbiamo mangiato quindi una pizza, farcita però con prodotti locali come salmone e sgombro affumicati. Buona!
Giorno 6: Lizard Point, Cadgwith, St. Ives, Trevarrian Da Falmouth ci dirigiamo verso il punto più meridionale dell’Inghilterra lungo la penisola di Lizard. La strada corre all’interno della penisola senza molte viste; quando arriviamo a Lizard Point il cielo è completamente coperto e piovigginoso. Nei pressi del faro parcheggiamo la macchina pagando assurdamente la tariffa giornaliera (non ci sono alternative né di posto né di prezzo) e passeggiamo lungo sentieri panoramici tra rocce e piante stillanti acqua. Sempre più immersi tra le nuvole che strisciano praticamente a terra, raggiungiamo Kynance Cove, che viene descritta come una delle più belle spiagge della Cornovaglia. Vorremmo almeno dargli un’occhiata, ma la pretesa di farci pagare un altro parcheggio a tariffa giornaliera, da parte di un’incaricata fradicia imbacuccata in un impermeabile con cappuccio, tra nuvole, pioggia e visibilità azzerata, ci fa desistere. Non ci arrendiamo del tutto e sull’altra sponda della penisola ci fermiamo a vedere Cadgwith, un tipico paesino costiero cornico. Parcheggio a pagamento e un tratto abbastanza lungo tra la vegetazione per raggiungere il paese. Piccolo, carino, con le casette con i tipici tetti di paglia, eccetera, ma in questo momento afflitto da un clima davvero inospitale. Ciò nonostante risaliamo un sentiero in costa oltre il paese, con impermeabili, cappuccio, ombrello, ma abbiamo sottovalutato il passaggio tra la vegetazione bagnata: alla fine abbiamo scarpe, calze e pantaloni fradici. Ci/li asciughiamo in macchina spostandoci verso St. Ives, una delle più note località balneari sulla costa settentrionale della Cornovaglia. Facciamo una piccola deviazione verso Marazion, per vedere di nuovo Mount St: Michael in diverse condizioni climatiche. Avremmo voluto visitarlo oggi, ma viste le condizioni del tempo rinunciamo. Nel parcheggio a pagamento il cartello che ti chiede se hai pagato per la vista, oggi, oltre che pretenzioso, suona anche ironico, visto che il monastero dalla base del promontorio in su è completamente obnubilato dalla bassa copertura nuvolosa. Anche a St. Ives il parcheggio centrale, ovviamente a pagamento, è abbastanza lontano dal centro e in posizione elevata (al ritorno è una bella salita). Il paese però è gradevolissimo, con un’aria piacevolmente turistica e una quantità di piccole gallerie d’arte (avendo tempo c’è anche una succursale della Tate Gallery londinese). Inoltre godiamo di una parentesi di bel tempo: prendiamo un gelato e lo troviamo inaspettatamente buono (uno dei miglioro rum raisin mai mangiati). Arrivati a Newquay, altra famosa località della costa nord, abbiamo una sorpresa: l’albergo che abbiamo prenotato non si trova in città, ma in un sobborgo isolato che si raggiunge dopo aver percorso una suggestiva strada che si arrampica sulle scogliere con viste su bellissime spiagge. La nostra destinazione, Trevarrian, però, è di nuovo completamente immersa nelle nuvole: dalla finestra della nostra stanza si dovrebbe vedere il mare ma in realtà bisogna solo immaginarselo dietro un impenetrabile muro nebbioso. Trevarrian è costituito da quattro case, un incrocio e un pub, dove andiamo a mangiare rinunciando a tornare a Newquay, viste anche le condizioni metereologiche.
Giorno 7: Bedruth Steps, Padstow, Tintagel, Lynton Partiamo con un tempo così-così, mentre tante squadre con mute colorate sulle grandi spiagge si preparano a entrare in acqua con le tavole da surf, sport per il quale questi paraggi sono rinomatissimi. Ci fermiamo poche miglia dopo per visitare la località di Bedruth Steps, una grande spiaggia ingigantita dalla bassa marea (pare che in realtà con l’alta marea la spiaggia scompaia) costellata di grandi faraglioni di granito scuro spesso ricoperti per un paio di metri (questo dà un’idea di quanto salga la marea) da colonie di cozze. Dopo una passeggiata sulla spiaggia risaliamo e proseguiamo verso Padstow. Parcheggiato in una delle rare vie residenziali e periferiche dove è possibile farlo gratuitamente, scendiamo verso il centro: anche questa è una cittadina piacevolissima, evoluzione di un paese di pescatori in una simpatica località turistica (in città pare domini il famoso – ma non per noi – chef Rick Stein), adagiata sull’estuario del fiume Camel. Oltre la città e il porticciolo (affollato come spesso accade di pescatori di granchi armati di retini e secchielli), ne seguiamo il corso prosciugato dalla bassa marea lungo una bella passeggiata (attenzione però ai malefici moscerini che infestano le panchine panoramiche) che conduce in vista del mare e delle spiagge, con grandi banchi di sabbia protesi nell’estuario navigabile. Anche se le colazioni all’inglese tengono lontana la fame fino a sera, assaggiamo per curiosità un pasty, una sorta di panzerotto al forno ripieno nel nostro caso di bacon e formaggio ma disponibile in varie versioni. Ancora poche decine di miglia verso nord-est e siamo a Tintagel. Il paese, turicistizzato e con qualche interessante edificio medioevale, si mantiene a una certa distanza dal mare, sul quale sorgono invece, in cima a promontori rocciosi ricoperti dall’erba, le rovine del castello che si dice sia stato di Re Artù e che rappresenta il motivo di visita del luogo. Si parcheggia in paese, pagando, e si scende lungo una ripida strada verso il fondo dell’insenatura. Anziché scendere fino al termine, al livello del mare, conviene invece prendere il sentiero sulla sinistra, più in quota, e una volta finito il percorso raggiungere il punto di partenza in basso, dove dei fuoristrada vi possono riportare in paese al convenientissimo prezzo di 2 sterline. Le rovine sono rovine, le leggende sono leggende, ma la collocazione su una sorta di alto isolotto circondato dal mare, tra brughiera, scogliere, onde e gabbiani è estremamente suggestivo. Il saliscendi tra scale, sentieri, ponticelli è abbastanza impegnativo soprattutto se si ha qualche difficoltà di deambulazione. La fatica in ogni caso è pienamente ripagata. Da Tintagel ci siamo diretti verso Lynton, un paesino in cima alla scogliera ai bordi dell’Exmoor National Park. A cena, in un accogliente locale con la veranda dal tetto di vetro, abbiamo assaggiato il ploughman’s lunch, cioè il pranzo del contadino, un invitante tagliere con prosciutto, vari tipi di formaggio, frutta, pie, confettura di cipolle. Dall’alto della stazione della teleferica, in fondo a un vicolo buissimo, guardiamo le stelle e la collana di luci allineate di fronte, lungo la costa del Galles.
Giorno 8: Lynmouth, Valley of Rocks, Exmoor National Park, Porlock, Glastonbury La mattina, dopo colazione, scendiamo da Lynton a Lynmouth, il paesino adagiato sulla costa proprio ai piedi della scogliera su cui sorge Lynton. Ci si arriva con una simpatica teleferica a propulsione idraulica composta da due cabine verdi che si muovono su e giù lungo una rotaia. Anche Lynmouth è carino: porticciolo, molo, negozietti per fare acquisti. Sole, nuvole, qualche goccia di pioggia. Risaliti, abbiamo imboccato il sentiero, poco sotto la stazione della teleferica, che porta nella Valley of Rocks. E’ una bella passeggiata in quota lungo la costa, priva di particolari difficoltà, che porta a formazioni rocciose torreggianti sul mare. Capre e bei panorami sul mare e sulle scogliere. Rientrando, abbiamo seguito la strada all’interno, che ci ha riportato giusta giusta nelle vicinanze della nostra guest house. Recuperata la macchina ci dirigiamo di nuovo verso est, sulla strada che corre all’interno dell’Exmoor National Park. Seguendo il litorale ci sono alcune varianti, tra cui una strada panoramica a pedaggio; ma direi che quanto a panorama non ci possiamo lamentare: si viaggia con colline purpuree d’erica sulla destra e scorci marini sulla sinistra. Ad un certo punto smontiamo dall’auto e ci inoltriamo per una passeggiata nella brughiera che digrada in una valle verso il mare, tra spettacolose distese di erica in fiore. Dopo una brevissima sosta a Porlock, dove visitiamo una graziosa chiesetta medievale (intitolata a St. Dubricius, amico di Artù) ci siamo diretti verso Glastonbury, altra cittadina leggendaria che vanta la pretesa presenza della tomba di Re Artù e della regina Ginevra, segnalata da una lapide in un prato tra le rovine dell’abbazia di epoca medioevale. Si tratta di un luogo suggestivo e romantico. Tra ruderi gotici, prati, frutteti e stagni, l’edificio meglio conservato, paradossalmente, è quello delle monumentali cucine. Glastonbury, ricca di leggende arturiane e di un’aurea mistica legata alla presenza del Tor, una torre in cima ad una collina punto di riferimento per culti celtici, è anche sede di un famoso festival rock in cui sono passati i gruppi inglesi più celebri degli ultimi decenni. Questo insieme di fattori gli conferisce una strana atmosfera, alternativa e un po’ più trasandata, che la differenzia da tutte le località visitate finora, con una quantità di negozi new age, qualche murales (i primi visti durante il nostro giro) e hippies davvero fuori tempo massimo. Dormiamo in una mansarda carina, dove i colori dominanti sono il bianco e il rosso, al Red Lion, un pub con alloggi qualche miglio fuori Glastonbury, in un edificio d’epoca in cui a piano terra ogni locale è puntualmente dotato di camino e in cui si raccolgono (ad agosto!) le prenotazioni per il pranzo di Natale.
Giorno 9: Bristol Rientriamo a Bristol, lasciamo i bagagli nella nostra guest house (priva di insegne) nel quartiere di Ashton Gate, di fronte a un bel parco che la separa dalle tangenziali, e ci dirigiamo in auto verso il Suspension Bridge. Il ponte si trova appena fuori città, e collega il prestigioso quartiere di Clifton con la campagna suburbana superando la gola in fondo alla quale, un’ottantina di metri più sotto, scorre il fiume Avon. Inaugurato nel 1864, ai tempi delle carrozze a cavallo, oggi il ponte sostiene il traffico di 12.000 veicoli al giorno. Percorriamo prima il ponte in auto, pagando un pedaggio di una sterlina, poi parcheggiamo nei dintorni, approfittando della mezz’ora gratuita concessa dai parchimetri. Appena arriviamo al ponte però il versante più panoramico ci viene chiuso sotto il naso per lavori, ma lo percorriamo comunque a piedi sull’altro lato e poi ci affacciamo sull’altro versante dalla terrazzina panoramica all’ingresso del ponte. Il paesaggio è suggestivo, ma il colore del fiume è decisamente fangoso. Per cercare di fotografare l’intera campata del ponte scendo un po’ lungo i giardini sul lato cittadino. La città comunque si intravede di scorcio; entrambi i versanti sono verdissimi di vegetazione. Recuperata la macchina ci spostiamo verso la zona del porto. In Jakob Wells Road troviamo un parcheggio a 3 sterline per 3 ore (ma poi bisogna spostare la macchina). Viste le indicazioni della Lonely Planet, individuiamo e seguiamo un percorso più o meno ad anello che ci fa fare una passeggiata lungo il Floating Harbour (vediamo da lontano il Brunel’s Great Britain, un transatlantico ottocentesco restaurato e visitabile, e la ricostruzione del Matthew, la nave con cui Caboto alla fine del ‘400 viaggiò da Bristol a Terranova, utilizzata anche per escursioni turistiche sull’Avon. Vorremmo traghettare dall’altra parte ma perdiamo l’occasione; quindi visitiamo la zona dei docks, dall’aspetto moderno, nei cui pressi si trovano il museo della scienza (At-Bristol), l’acquario, un centro di arte contemporanea (Arnolfini, ma in questo momento ci sono solo delle proiezioni di cortometraggi) e il museo cittadino (M Shed). Non visitiamo nulla di tutto questo ma in compenso assistiamo alla buffa scena di un gabbiano che ruba da sotto il naso (Alessandra lancia grida di avvertimento, ma è troppo tardi) un sandwich ad un giovane seduto sul molo in pausa pranzo. Passando accanto alla cattedrale, risaliamo verso l’Università, cerchiamo due edifici storici visitabili (Georgian House e Red Lodge) ad ingresso gratuito ma purtroppo entrambi chiusi; cerchiamo il Well Hang Lover, un dipinto di Banksy, e visitiamo il Bristol Museum, un eclettico e simpatico museo ad ingresso libero. C’è una piccola sezione egizia, una pinacoteca (dai primitivi italiani agli impressionisti francesi e ai preraffaeliti inglesi), animali impagliati, un’opera di Bansky (un angelo di pietra con un barattolo di vernice rosa rovesciato in testa), un biplano dei pionieri dell’aria. Ma le cose che ci hanno colpito di più sono dei grandi e stupefacenti bassorilievi assiri e il fossile di un ittiosauro (sea dragon) femmina incinta! Saliamo quindi in cima alla Cabot Tower, sulla Brandon Hill, coperta da un parco popolato di scoiattoli (panorama di Bristol), e discendiamo direttamente sulla Jakob. Dopo essere tornati alla guest house e aver riposato un po’ nel parco davanti a casa, scopriamo nel nostro quartiere una serie di murales uno più bello dell’altro (un grande ritratto di Lennon, un enorme gabbiano che fa capolino da un vicolo, la gallery naïf di due street artist, le icone del web reinterpretate, ecc.) La sera di nuovo in centro per cena, ma non c’è molta animazione. Scopriremo a casa che diverse cose di Bristol non le abbiamo viste, e che la Lonely Planet non ce le ha dette (v. capitolo “Cosa abbiamo visto e cosa non abbiamo visto”).
Giorno 10 All’aeroporto. Riconsegna senza problemi della macchina alla Hertz. Al banco informazioni per cercare di recuperare un oggetto che abbiamo perso sul volo all’andata. Scopriamo che in Inghilterra funziona TUTTO, tranne il servizio Lost&Found, che è veramente pessimo. Ma gli impiegati del banco informazioni sono molto british e simpaticissimi.