UN RACCONTO MORALE
Un padre, una figlia
Il medico Romeo sogna per la figlia Eliza un futuro migliore lontano dalla corrotta Romania. La figlia ha la possibilità di frequentare una prestigiosa università inglese, ma alla vigilia degli esami di scuola media superiore, nei quali deve ottenere una media sufficientemente alta, viene sessualmente aggredita per la strada. Scioccata psicologicamente e ferita ad un braccio, rischia di fallire agli esami. L’idealista ed onesto Romeo, allora, decide di venire a patti con la propria coscienza e di cercare una raccomandazione, per il bene della figlia ingiustamente offesa.
Mungiu articola la propria narrazione intorno ad un dilemma insidiosamente architettato. E’ giusto che Romeo tradisca la propria coscienza cercando un modo fraudolento per favorire la propria figlia? Che ne sarà allora dei principi morali che lo rendevano diverso dal contesto corrotto e malato che lo circonda e che la sua generazione non è riuscito a cambiare? E che ha cercato di trasmettere ad Eliza per farne una persona migliore, che possa vivere in un futuro più pulito ed onesto? Ma: e se una violenza ingiusta e immotivatamente subita rischia di compromettere qualsiasi sforzo, qualsiasi merito reale, qualsiasi principio positivo? E se tutto rischia di venire perduto non per proprie colpe o mancanze, ma per conseguenza di una casualità assurda e brutale? Non diventa allora lecito correggere il destino con un piccolo aiuto, per una volta nella vita? O quest’unica trasgressione può distruggere per sempre un’integrità faticosamente costruita e mantenuta, per lasciarla in eredità ai propri figli?
Anche Romeo ai suoi tempi è emigrato all’estero (il tema del desiderio di fuga verso Occidente è costante nel cinema di Mungiu), ma è tornato in patria dopo il crollo del comunismo nella speranza di costruirvi un mondo migliore. I suoi sforzi e quelli dei suoi coetanei sono falliti; al paesaggio architettonico plumbeo e degradato della Romania d’oggi corrisponde un contesto sociale dove domina la corruzione e il mancato rispetto delle regole, un virus diffuso in qualsiasi ambito della società, compresi quelli che sul rispetto delle regole dovrebbero vigilare. Commissioni d’appalto, organi di polizia, ospedali, scuole, uffici politici: a tutti i livelli il cancro corrode e smangia, lasciando una società cariata come gli edifici e i paesaggi in cui le persone si trovano ad abitare. La tematica della portata pervasiva della corruzione che grava sulla società “civile” supera la realtà locale (anche se il rapporto protettivo genitore/figlio che si esprime attraverso atti di corruzione riflette Il caso Kerenes, Orso d’oro rumeno alla Berlinale 2013), ed è stata oggetto di rappresentazioni cinematografiche in tutt’altri contesti, come, per citare solo alcuni tra gli esempi più recenti, l’italiano Suburra o il russo Leviathan.
Mungiu, fedele al proprio stile di rappresentazione e corroborato dalla produzione dei Dardenne (sarebbe facile immaginare “il padre” Olivier Gourmet nel ruolo qui affidato a Adrian Titieni), racconta il dipanarsi del conflitto e del dibattito morale con uno stile essenziale e realistico, che privilegia i piano-sequenza statici, spesso imperniati su confronti tra due personaggi presenti nella stessa inquadratura, a scapito del classico campo-controcampo, intervallati da alcune riprese che pedinano il protagonista con la camera a mano.
A dispetto del dualistico titolo italiano, l’attenzione narrativa del film è tuttavia accentrata su Romeo, il padre apprensivo, costantemente in scena. Se Bacalaureat si può tradurre in italiano in “maturità”, o “esame di maturità”, questi termini sarebbero da riferire prima ancora che alla figlia, che deve effettivamente sostenere la prova scolastica, a Romeo, che si trova ad affrontare (in un momento in cui le biglie degli anni già vissuti, per stare alla metafora presente nel film, sono più numerose di quelle degli anni che ancora rimangono), una vera e propria inattesa crisi di maturità, quando gli ideali della giovinezza si trovano a fare definitivamente i conti con una realtà dolorosa e brutale.
Per scongiurare il pericolo di un film a tesi (cosa che Bacalaureat comunque in parte rimane, non possedendo la tensione implacabile, geometrica e simpatetica insieme, del suo capolavoro 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni) e per evitare la monotonia narrativa di un film forse troppo lungo, Mungiu dissemina una serie di altre piste narrative, corollari morali alla situazione principale. A tali corollari appartengono, ad esempio, il rapporto con la moglie, usurato e schermato dalle vere o presunte malattie della donna, che si rivelerà comunque di una tempra morale più integra, o quello con l’amante Sandra (che ha già un figlio, un bambino di cui Romeo nulla vuole sapere e che si presenta con una maschera sul viso), che mette in discussione su un altro versante la moralità del protagonista; o ancora le deviazioni o le sottotrame quasi gialle che riguardano gli attentati a sassate che a più riprese subiscono le proprietà di Romeo o la ricerca dell’aggressore di Eliza (con inseguimenti notturni, agguati della polizia, confronti all’americana) e l’indagine di Romeo sul ruolo avuto dal suo ragazzo durante e dopo l’aggressione.
Mentre Mungiu porta a positiva conclusione il dibattito dialettico sul caso di scuola al centro del film, per contrappasso tutto il resto rimane avvolto da un’ambiguità irrisolvibile: così Eliza non riconosce il proprio aggressore, malgrado tutto faccia pensare che sia stato catturato dalla polizia; i dubbi che pesano sul comportamento del suo fidanzato rimangono tali; non si saprà mai chi lancia i sassi contro i vetri di Romeo (anche se un’eco risuona quando il figlio di Sandra dice di prendere a sassate i prepotenti). E se alla fine Romeo riacquista la luce dei suoi occhi riconquistando il rapporto incrinato con la figlia, rimane cieco di fronte alla taciuta evidenza dell’aborto cui con rassegnata disperazione si è sottoposta la sua amante, rendendolo orfano di un figlio, nella sua più assoluta indifferenza, nel momento più autenticamente straziante del film, proprio mentre si illude di tornare padre.
L’ultima inquadratura è tuttavia per la foto di gruppo della classe di Eliza: un pugno di ragazzi fiduciosi e spauriti, fermati per essere consegnati all’eterno presente di un’immagine, con la vera maturità ancora tutta da cercare e da costruire in un futuro che probabilmente li stritolerà o li corromperà - e con alle spalle un passato in cui i padri, comunque abbiano agito, e per quel che possono e riescono, devono fare i conti con la coscienza del proprio fallimento.
Mauro Caron
L'articolo è pubblicato sul numero 202 di "Segnocinema", attualmente in libreria. Sullo stesso numero anche un altro mio articolo, "La strada delle donne", che prende spunto dai film Questi giorni e Indivisibili.