OPPENHEIMER di Cristopher NolanMi capiterà (di nuovo) forse di farmi delle inimicizie parlando di Oppenheimer, di cui, a giudicare dalle reazioni critiche e dalle opinioni social, largamente positive quando non entusiastiche e reverenziali, forse non sono stato in grado di capire e riconoscere la grandezza. Con Tenet si era capito che la ricerca di Nolan sulla struttura del tempo era arrivato ormai ad un punto morto e di non ritorno, sull'orlo della ridicolaggine, dove un espediente puerile veniva messo al servizio di una risibile storia zerozerosettesca. Nolan reagisce quindi con un colpo di reni, e si dedica con il nuovo progetto ad indagare contemporaneamente in altre ambiziosissime direzioni: la coscienza umana, la Storia, la struttura stessa della materia e della realtà. Oppenheimer è dunque un meta-biopic che solleva grandi temi, come la comprensione dell’universo, i limiti della scienza (quelli oggettivi e quelli morali), la responsabilità dello scienziato, la sostenibilità della politica della deterrenza, la politicizzazione della ricerca scientifica e la caccia alle “streghe” comuniste, l’impegno intellettuale e politico e le conseguenze da pagare. La figura guida è quella di Robert J. Oppenheimer, scienziato/intellettuale il cui ritratto è da una parte immerso nel momento storico (dagli anni ‘30 della Guerra civile in Spagna alla Guerra mondiale contro nazisti e giapponesi, e al dopoguerra dove al nemico fascista si sostituisce quello dell’ex-alleato comunista), radicandone la formazione anche nella temperie culturale dell’epoca (psicanalisi, marxismo, avanguardie artistiche); dall’altro nel coacervo dei sentimenti umani in cui si mescolano amore, odio, ambizione, invidia, tradimento, gloria, frustrazione, rimorso. Eppure, la mia impressione è che Oppenheimer sia una montagna, o meglio un elefante, che partorisce un topolino. Dove l’elefante può essere appunto il tema della comprensione dell’universo, la bomba atomica che prefigura la possibilità di un annientamento totale dell’umanità, la questione morale riguardante un intervento “dimostrativo” (il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki per costringere il Giappone alla resa, comunque ormai imminente) al costo di oltre 200.000 vittime civili innocenti stimate. E il topolino può essere la vita privata di Oppenheimer, con gioie e miserie, ma ancor più la diatriba con Strauss, Presidente della commissione degli Stati Uniti d’America, che sulla base di presunti torti subiti complotta segretamente per scatenargli contro una campagna per screditarlo e denigrarlo, basando le sue argomentazioni sui passati contatti di Oppenheimer con organizzazioni comuniste statunitensi. Il problema non mi sembra – anzi - mischiare l’alto e il basso; il sublime della scienza e dei dilemmi morali con le bassezze delle passioni umane; la coscienza tragica di chi indagando la struttura profonda della materia è pervenuto ad elaborare un’arma in grado di distruggere potenzialmente tutta l’umanità e le vicende quotidiane; l’angelo sterminatore forte del proprio intelletto e della propria conoscenza e l’uomo comune alle prese con le beghe tra colleghi, le relazioni extraconiugali, i bambini che piangono (praticamente sempre): è semmai un problema di proporzioni. Nolan non rinuncia del tutto a giocare con il tempo - com’è suo solito: ne parlavo qui di recente, recensendo la sua opera prima, Following -, frammentando la narrazione (il montaggio è molto serrato anche nelle situazioni apparentemente più statiche), amplificandola, replicandola (ci troviamo ad assistere allo stesso episodio da più prospettive, e con differenti quantità di informazioni a nostro favore); è quindi perdonabile se a volte il processo può ingenerare qualche difficoltà di orientamento allo spettatore (non ci sono marche temporali, ma una fastidiosa alternanza di colore e bianco e nero, che ha l’effetto di segmentare il flusso narrativo rimettendo continuamente in gioco la credulità di chi guarda). Più problematica dal punto di vista drammaturgico è l’ampiezza spropositata concessa alla bega Strauss-Oppenheimer, prima con la commissione chiamata a giudicare a posteriori l’operato e la lealtà di Oppenheimer (cui assistiamo prima di sapere che è occultamente manovrata da Strauss e poi dopo che siamo portati a conoscenza della cosa), poi con la commissione senatoriale che dovrebbe portare alla nomina di Strauss a Segretario al Commercio e nel corso della quale il suo complotto viene smascherato. Una vicenda istruttiva, ma che poteva forse essere condensata, a favore di un film molto più breve. La ripicca di Strauss (a cui favore gioca un’interpretazione scavata e in bianco e nero di Robert Downey jr.) finisce per avere un peso equivalente se non superiore a quello dei grandi temi sollevati dal film, con un effetto che a me è parso di ripetitività, di ridondanza e di parziale irrilevanza. Per fare solo un esempio, in un film incentrato sulla creazione e l'impiego della bomba atomica, si parla delle tresche extraconiugali di Oppenheimer emerse durante l'inchiesta, ma non c'è una sola immagine (né dentro il film, né magari nei titoli di coda) che ricordi i reali effetti devastanti della bomba, o uno solo dei 220.000 giapponesi (uomini, donne, vecchi, bambini) vittime innocenti delle più gigantesche e mostruose singole azioni di sterminio di massa mai operate da esseri umani nella storia. Se Cillian Murphy (ottimo) nel ruolo del titolo sembra visivamente una citazione vivente de L’uomo che non c’era dei Coen (ma Oppenheimer c’era eccome, e non era certo il burattino nelle mani del destino cinico e beffardo raccontato dai fratelli terribili e fatalisti), e i due amanti che discutono nudi in poltrona sembrano provenire per direttissima da L’amant double di Ozon, sono in realtà un altro paio di titoli che mi vengono in mente parlando di Oppenheimer. Due paragoni che non escludo qualcuno potrà ritenere offensivi. Il primo è con Barbie, film cui Oppenheimer per tempistica di uscita è stato spesso accostato, dando luogo al fenomeno social Barbenheimer. Il film di Nolan mi è parso un po’ l’opposto di quello della Gerwig: se Barbie parte da un apparente grado zero intellettuale, usando un immaginario pop e kitsch, venale e puerile, per poi “alzarsi” ad imbastire un discorso piuttosto serio sulle tematiche di genere, Oppenheimer mette in campo invece ambizioni smisurate (alla Malick, si direbbe, per l’utilizzo insistito di immagini che tentano di evocare la struttura profonda e invisibile della realtà), cerca l’enfasi a tutti i costi (anche con il contributo dell’invadente pompatissima colonna sonora di Ludwig Göransson), accumula temi interessanti e personaggi storici (da Einstein al presidente Truman, con a disposizione un cast di extra-lusso), per poi concentrarsi in modo sproporzionato su una vicenda in fondo meschina (per quanto, come si diceva prima, significativa). Se quello con Barbie è un paragone per contrasto, me ne è venuto alla mente prepotentemente un altro per analogia, con un film che so pure essere stato molto detestato, il Blonde di Andrew Dominik (lancerò il fenomeno Blondenheimer?). Entrambi i film partono da biografie letterarie preesistenti (American Prometheus, ovvero Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato di Bird e Sherwin; Blonde di Joyce Carol Oates sulla vita di Marylin Monroe), entrambi hanno una lunghezza abnorme, entrambi sono film tendenziosi (con una connotazione non del tutto negativa: ovvero film a tesi, che perseguono una visione molto orientata del personaggio, basata su elementi psicologici e biografici privilegiati), entrambi ricorrono ad una narrazione estremamente frammentata e all’alternanza (a mio parere non sempre giustificabile) tra fotografia a colori e in bianco e nero, ed entrambi ricorrono anche ad immagini di tipo onirico. Azzardando sia nell’uno che nell’altro caso sequenze davvero di dubbio gusto: se molti si sono lamentati del feto parlante di Blonde, non ci sarà proprio nessuno (a parte me) che troverà ridicolo e fuori luogo far apparire Oppenheimer davanti alla commissione prima improvvisamente denudato, e poi scopato seduta stante (letteralmente) dalla sua amante nuda? O se molti avevano trovato inappropriata la scena della fellatio presidenziale di Blonde, a nessuno sarà sembrata grottesca la scena della scopata con contestuale e contemporanea lettura di testi sacri in sanscrito antico? Insomma; nel caso Nolan ci ripensasse, io sono qui e aspetto la versione director’s cut di Oppenheimer: quella lunga un’ora e mezza.
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Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
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