BLONDE di Andrew DominikL’intento di Dominik appare chiaro fin dai primi minuti. La madre toglie una bimba dal letto, la prende in braccio, attraversa i corridoi invasi da un pulviscolo di piccoli fiocchi bianchi. Esce all’aperto e si avvia verso la macchina e la luce rosata del cielo, tra i fiocchi che vorticano nell’aria. Ma non si tratta di neve, e non è la luce del mattino quella che occhieggia all’orizzonte. I boschi vicino alla città sono in fiamme e arrossano, e quella che rotea nell’aria è cenere. La madre guida nervosamente verso le colline, verso il cuore dell’incendio, con a fianco la bambina sempre più terrorizzata. All'improvviso vuole che la figlia conosca il padre sconosciuto, che abita in cima alla collina. Un poliziotto ferma la macchina che corre sulla strada in mezzo alle fiamme e la rimanda indietro. La madre frenetica riporta la bambina a casa, la fa spogliare e le prepara un bagno, poi cerca di annegarla nella vasca. Non riesce, e stramazza al suolo. La bimba, Norma Jeane, esce dalla vasca e nuda e bagnata va dai vicini a cercare aiuto, mentre intorno balenano i bagliori dell’incendio non così lontano. E’ un incipit agghiacciante e ipnotico, che pone subito le basi sia tematiche che estetiche di Blonde, tratto non dalla biografia (o dalle varie biografie) di Marilyn Monroe, bensì dall’omonimo libro (di oltre mille pagine) in cui la scrittrice Joyce Carrol Oates ne reinventa la vita e la storia. Norma Jeane è collocata in un inferno, che ha i connotati visivi (e sonori) dell’inferno, abitato da creature tormentate e infernali. E' un partito preso da cui Dominik non derogherà mai, nel corso dei 167 minuti del film. Qualunque cosa accada, chiunque incontri, qualunque dolore o qualsiasi inimmaginabile successo tocchi la vita di Norma Jeane/Marilyn, la sua e la nostra percezione rimangono quelle di un incubo continuo, senza requie e senza consolazione. I coniugi vicini di casa che l'anno accolta, mentre la madre viene ricoverata in un'ospedale psichiatrico, l'abbandonano ben presto disperata e piangente in un orfanotrofio; il produttore cui si presenta quando decide di tentare la carriera cinematografica, la sbatte a faccia in giù su un tavolo e la violenta; i suoi tentativi di diventare madre falliscono uno dopo l'altro; la sua ascesa nel mondo del cinema è avviene dei panni della dumb blonde, l'oca bionda tutta corpo e senza cervello; la madre ricoverata in clinica non è più in grado neppure di conoscerla e suo padre le rimarrà per sempre ignoto; le relazioni e i matrimoni (con giovani figli di celebrità, con campioni dello sport, con grandi intellettuali, con sommi uomini politici – i nomi di Joe Di Maggio, di Arthur Miller, di JF Kennedy non vengono mai esplicitamente nominati nel film) vanno regolarmente in rovina, minati dalla sua fragilità e da uomini di volta in volta cinici, maneschi, egocentrici, ciecamente fallocrati. Dominik ci conduce a seguire Marilyn (raramente vediamo le cose attraverso gli occhi della protagonista) in un mondo distorto, allucinato, deformato da una percezione sempre precaria e compromessa, ben prima che gli psicofarmaci diventassero indispensabili per tappare le falle della coscienza della diva o per aiutarla a togliersi dall'impiccio di una vita troppo pesante per le sue spalle candide e tornite. E' un partito preso che può trovare o non trovare d'accordo (ma la biografia della Monroe, che da una parte tocca un successo dopo l'altro fino a renderla la diva più amata, ammirata, desiderata, idolatrata, riprodotta in immagini fino a renderla eterna e indimenticata, dall'altra è una specie di monumento all'insoddisfazione e all'inquietudine, all'insicurezza e alla frustrazione), e che può rispecchiare o meno la reale personalità della protagonista. La raffigurazione della Monroe come una pura vittima dei propri fantasmi e del brutale desiderio delle masse maschili, agnello sacrificale del nascente voyeurismo di massa, non rende forse onore al suo carattere, che pure ebbe la forza di portare un'orfana indigente ad intraprendere con determinazione una carriera che malgrado mille difficoltà ed ostacoli la portò al culmine del successo (in campo cinematografico, teatrale e musicale), e anche a fondare una propria casa di produzione, nel tentativo di riprendere il controllo della propria immagine e del proprio lavoro. Ma una volta adottato il proprio punto di vista, Dominik lo persegue con ostinata coerenza, imprigionando la sua protagonista in una serie di scatole visive e sonore (le musiche di Nick Cave e Warren Ellis riempiono di echi inquietanti qualsiasi situazione del film), utilizzando lenti deformanti, inquadrature impossibili, spiazzando continuamente le immagini dal bianco e nero al colore e viceversa, avvicinando l'esperienza di Blonde a quella della Hollywood tragica ed espansa dell'Inland Empire lynchiano o ancora prima, alle miserie e alle velleità, e infine all'isteria violenta e orgiastica de Il giorno della locusta di West e poi di Schlesinger. Sono impressionanti per fluidità e senso di spiazzamento le sequenze in cui Marilyn passa da una situazione reale ad una onirica, o da un ambiente spaziotemporale all'altro, in brevi ma geniali piani-sequenza, intesi a volte a passare dalla dimensione intima e privata della donna a quella pubblica e artificiosa della diva, come quando una Norma Jeane affranta e in lacrime nel suo camerino si trasforma, solo con il voltarsi verso lo specchio illuminato, nella diva perfetta dal sorriso sfolgorante e ammaliatore. Norma Jeane ha raggiunto una delle due cose che desiderava di più al mondo - la notorietà e il successo - trasformandosi in altro, nel proprio doppio Marilyn, nell'emblema, astratto e carnale insieme della femminilità secondo l'immaginario maschile; l'altro suo desiderio, quello di essere riconosciuta e amata per quello che era veramente e intimamente, non si avvererà mai. Come Kane nel Quarto potere di Welles, altro personaggio consumato dall'esposizione pubblica, ma irrisolto fino alla fine nella dimensione privata, Marilyn ritroverà prima della fine un oggetto della propria infanzia, quell'orsacchiotto che si stringeva al petto mentre la madre impazzita cercava di sbarazzarsi di una bambina che nessuno desiderava. Il film ricostruisce in maniera perfetta e perfezionistica, quasi feticistica, i set, le pose, gli ambienti dell'epoca, fino alle facce delle comparse nelle scene di massa. Ma soprattutto nel film ricorrono continuamente le riproduzioni in vivo, che sfiorano la perfezione, di quei fermo- immagine iconici che formano l'inesauribile galleria che l'immaginario collettivo ha raccolto e custodisce gelosamente in una sorta di profano (e profanabile) santuario virtuale; solo che tutte, regolarmente, ci mostrano intorno un contesto precario, instabile, si sporcano di insoddisfazione, di dolore, di frustrazione, mentre situazioni cinematografiche e parole delle canzoni che hanno scritto per lei sembrano spesso alludere in maniera involontaria e inconsapevole ma - a posteriori - non meno struggente e vertiginoso, alla sua condizione di solitudine e di infelicità. Se Mailyn Monroe/Norma Jeane Baker sono il doppio l'una dell'altra, la prima il riflesso disincarnato dell'emblema della carnalità, il riflesso sovrailluminato, dove l'eccesso di trucco e di luce (le prime immagini, prima ancora del comparire del titolo, mostrano il gigantesco riflettore dalla luce abbagliante che illuminerà Marilyn, ferma su una grata del marciapiede, la candida ruota del vestito sollevata dall'aria) e sono capaci di coprire e spazzare via tutte le imperfezioni, le fragilità, le insicurezze e i difetti della seconda, il personaggio si frantuma in altre dimensioni grazie alla stupefacente interpretazione di Ana De Armas, a volte talmente perfetta da confondersi icasticamente con il personaggio che deve interpretare, a volte distante in modo straniante, con la faccia arrotondata e quasi gonfia, le patetiche sopracciglia sbiancate per diventare fino all'ultimo pelo la blonde che tutti i maschi vorrebbero avere nuda, nel letto, come l'hanno già vista e desiderata nelle fotografie patinate delle riviste. Marilyn li accontenterà ancora un'ultima volta, distesa nuda tra le lenzuola, con la cornetta del telefono in mano e un flacone di barbiturici a fianco, morta e immortale, decisa a farla finita, e a non finire mai. Ma non tutti hanno amato Blonde: clicca qui per leggere in Face Off la controrecensione del perfido Oruam Norac...
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Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
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