HIT MAN - KILLER PER CASO di Richard LinklaterLinklater è sempre stato interessato alla definizione dell’identità e alla sua evoluzione nel tempo, sperimentando forme eterodosse di narrazione. La trilogia Before Sunrise (1995), Before Sunset (2004) e Before Midnight (2013) racconta l’evoluzione della stessa coppia (interpretata sempre dagli stessi attori, Ethan Hawke e Julie Delpy) in un arco di tempo di 18 anni; Boyhood (2014) racconta in poco meno di tre ore la storia di un bambino/ragazzo dagli 8 ai 20 anni, girata nell’arco effettivo di 12 anni, con i personaggi che crescono o invecchiano realmente man mano che procede la narrazione, e l’uscita del suo Merrily We Roll Along è schedulata per il 2039 visto che Linklater ha intenzione di girarla nell’arco di 20 anni.
Ci mette molto meno tempo invece a trasformare la propria personalità Gary Johnson, il protagonista di Hit Man. Fin dall’inizio Gary ha una doppia vita e una doppia attività: come professore di Filosofia all’università di New Orleans, e come consulente tecnico della locale polizia. Ma la sua personalità diventa prima tripla e poi addirittura camaleontica nel momento in cui - prima per caso, poi per irresistibile, inaspettata vocazione - comincia ad impersonare assassini a pagamento in operazioni di polizia architettate per incastrare gli aspiranti mandanti di omicidi. Nella sua nuova veste il timido professore sfodera un latente, insospettabile, enorme talento per la recitazione e l’improvvisazione, ed un gusto sfrenato per il travestimento. Un assassino diverso per ogni mandante, una personalità sfaccettata e multiforme che ogni volta reinventa nuovi modi di vestire di parlare, di atteggiarsi. Non a caso i due gatti del protagonista si chiamano Ego ed Id (ovvero l'altro modo di indicare l'Es freudiano), a sottolineare scherzosamente la scissione tra le personalità di Gary, tra il ruolo professionale (Super-io), la timidezza del carattere (Io) e la sfrontatezza priva di inibizioni dei suoi finti killer (Es). E questo è il solo il prologo; le cose si complicano quando l’affascinante killer Ron (ovvero sempre il solito Gary) convince la bella e giovane Madison a desistere dai suoi propositi uxoricidi. Ed è, di nuovo, solo un inizio, perché dal loro rapporto scaturiranno conseguenze impreviste e assai pericolose, che li condurranno dentro un ulteriore gioco di specchi dove realtà e finzione si ingarbugliano sempre più inestricabilmente. Anche quella del tema dell’agente sotto copertura non è una novità per Linklater: ispirandosi ad un doloroso romanzo di Philip Dick, probabilmente molto più autobiografico che fantascientifico, aveva già girato in animazione rotoscope nel 2006 A Scanner Darkly, dove un poliziotto si infiltrava nel mondo della tossicodipendenza, finendo per cadere in un vortice dove realtà, finzione e allucinazione si confondono definitivamente. Linklater, che scrive la sceneggiatura insieme all’attore protagonista Glen Powell ispirandosi ad un personaggio realmente esistito, la prende qui con maggiore filosofia (letteralmente, anche se la riflessione filosofica è da sempre presente nella produzione, apparentemente leggera e svagata, dell’autore) e adotta in Hit Man un tono più disteso e scanzonato, mescolando la commedia romantica al noir, rileggendo in chiave pop classici del passato come Double Indemnity (cito non a caso il titolo originale del pur pertinente La fiamma del peccato, perché anche qui ci sono doppi e inoltre salta fuori un’assicurazione sospetta). Madison e Ron (lei è Adria Arjona) formano una coppia affiatata, anche nell’imboccare la strada del crimine e, mentre la rete delle indagini li stringe sempre più da vicino e la trama di menzogne e false identità comincia a cedere, nella gestione sempre più funambolica del rapporto tra verità e rappresentazione; mentre all’alter ego Gary spetta il compito di filosofeggiare, dalla cattedra e in voce fuori campo, sulle sorprese dell’identità e sulla necessità di interrogare e mettere alla prova se stessi, anche al fuori o a lato delle categorie morali tradizionali. Leggibile anche come una metafora del cinema (c’è anche una vorticosa cavalcata citazionistica attraverso le rappresentazioni degli assassini a pagamento nella storia del cinema) e del ruolo dell’attore (i mille travestimenti del mite Gary, che si conforma creativamente alle aspettative dei suoi committenti), Hit Man è un gioiello di sceneggiatura e di divertimento. Proiettato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2023 (non sia mai che una commedia entri nella selezione della competizione principale), dove è stato accolto da risate ed applausi, il film sarà distribuito da Netflix, ma in Italia avrà anche un’uscita nelle sale.
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EL PARAISO di Enrico Maria ArtaleUn’ambientazione originale, tra terra, cielo, fiume e mare, alla foce del Tevere; un milieu di proletariato criminale (siamo tra la manovalanza del traffico di droga); un personaggio roso dall’incertezza tra paura e desiderio; un paraiso che dà il nome al barchino del protagonista ma che sta decisamente altrove.
Poche componenti per il film di Enrico Maria Artale, che dice di essersi ispirato al proprio vissuto. Il protagonista è Julio Cesar, nome da imperatore ma di fatto bruscolino nel grande ingranaggio del traffico internazionale di droga tra Italia e Colombia, che, benché ormai adulto, non ha ancora tagliato il cordone ombelicale che lo lega ad una madre esuberante ed invadente di origine colombiana. Il detonatore per un cambiamento radicale consiste nell’arrivo di Ines, una giovane corriere della droga giunta dalla Colombia con qualche problema interiore. Julio Cesar l’aiuta, la donna sembra provocarlo e lui ne è tentato, ma la presenza e il legame indissolubile con la madre lo trattengono dal cogliere l’occasione di un nuovo rapporto adulto e maturo e di una - per quanto tardiva - emancipazione. Edoardo Pesce giganteggia riempiendo tutto il film con la sua presenza fisica ed interpretativa, dividendosi tra le due donne, e prestandosi senza riserve anche quando la sceneggiatura e il relativo corso degli eventi gli impongono performance imbarazzanti e sgradevoli. La camera a mano dello stesso Artale lo segue costantemente, nella quotidianità di un ambiente domestico malsano e un po’ morboso, nelle scappate nei locali da ballo, in un’escursione in barchino dove Julio cerca l’ebbrezza della velocità e il respiro del mare, fino ad una partenza che lo lascia solo e disorientato in una terra che dovrebbe essere d’origine ma che a lui è estranea e sconosciuta. Un finale (volutamente) irrisolto per un personaggio irrisolto, che ha talmente introiettato la figura materna da arrivare a concepire un progetto delirante, con conseguenze estreme, letterali e grottesche. Nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema veneziana El paraiso è stato generosamente premiato per la sceneggiatura, che a mio parere, a metà film, svolta un po’ bruscamente e scivola poi lungo un crinale pericoloso e sgradevole; ma suona quasi come una beffa il premio conferito all’attrice che impersona la madre, Margarita Rosa de Francisco Baquero, impalmata all’interno di un film dominato appunto dalla performance di Edoardo Pesce, che si dona totalmente e senza riserve al film e al personaggio. Pesce ha spesso dato un valore aggiunto ai film che lo vedono nel ruolo del cattivo di turno (come Fortunata, Cuori puri, Dogman); quando lo si è visto da protagonista era per produzioni minori (come Notte fantasma o lo stesso El paraiso), senza però forse aver trovato ancora il film e il ruolo che lo consacrino secondo i suoi meriti. KIND OF KINDNESS di Yorgos LanthimosDopo La favorita e Povere creature!, realizzati su sceneggiature altrui, Lanthimos torna a far coppia con il suo fidato sceneggiatore Efthymis Filippou per dirigere una produzione comunque internazionale, con la presenza di Emma Stone (già persente nei suoi due ultimi film) e Willem Dafoe (già scienziato pazzo e sfigurato di Povere creature!)
E' un bene o un male questo ritorno? In realtà, anche se il nuovo film sembra riavvicinarsi al suo periodo greco e ai primi due film internazionali, ripercorrendo all'indietro la filmografia di Lanthimos si possono individuare delle costanti tematiche ricorrenti presenti anche nei film scritti da altri. Dominati da un fato che si suppone discendere dal mito greco, ma che si incarna di volta in volta in istanze di diversa natura (famigliari, sociali, storiche, esistenziali), nei suoi film ritornano regolarmente personaggi alle prese con obblighi e divieti che appaiono spesso assurdi e crudeli, quasi metafisici anche quando sono autoimposti. In Kinetta due dei protagonisti si mettono passivamente a disposizione di un terzo, un poliziotto autoritario, per far rivivere scene criminose; in Alps i protagonisti, agli ordini di un capo piuttosto incompetente, si mettono negli scomodi panni di persone morte, per alleviare (in teoria) le sofferenze dei loro clienti, parenti dei defunti, cercando goffamente di rispondere alle loro aspettative; in Kynodontas tre adolescenti sono segregati nella loro casa con giardino da genitori che non gli permettono di uscire nel mondo esterno e che deformano perfino il linguaggio quotidiano per tenerli sottomessi e ignari; in The Lobster il protagonista vive in una società dove vige il divieto di stare da soli, pena l'essere trasformati in animali; ne Il sacrificio del cervo sacro il protagonista deve sottostare all'atroce ricatto di una nemesi incarnata dal figlio di un uomo cui forse ha involontariamente procurato la morte; ne La favorita due donne combattono per conquistare un ruolo ancillare al servizio di una sovrana capricciosa e dispotica; in Povere creature! la protagonista è “creata” da uno scienziato pazzo che le impianta il cervello del feto che teneva in grembo, salvo intraprendere poi un fantasmagorico percorso di emancipazione dall'autorità “paterna” e pseudoscientifica prima, e coniugale poi. Kinds of Kindness è a sua volta diviso in tre parti (il tre è un numero che sembra ricorrere spesso nella filmografia del regista). Nel primo un dipendente è costretto dal suo datore di lavoro e benefattore ad ubbidirgli in ogni minimo aspetto della vita quotidiana, dall'abbigliamento all'arredamento dalla dieta ai comportamenti sessuali con la moglie ignara (con relativo divieto di avere figli). Quando il capo gli impone di provocare un incidente automobilistico potenzialmente mortale, l'uomo tentenna, ma sembra avere tutto da perdere, compresa la capacità di vivere e gestire da sé la propria vita. Nel secondo episodio una donna scomparsa da giorni in un un naufragio torna a casa sana e salva (e arrapata) dal marito poliziotto. Ma a lui la donna sembra cambiata (le scarpe non le calzano più, le sue abitudini alimentari sembrano cambiate) e presto cade preda di un'ossessione. In attesa che torni la sua “vera” moglie, impone alla donna di smascherare la propria impostura con richieste sempre più distruttive e atroci, cui lei si sottomette per amore. Nel terzo episodio la protagonista è succube di una setta capeggiata da una coppia di santoni alla ricerca di una donna capace di fare resuscitare i morti. Scacciata per (involontaria) impurità, continuerà comunque la sua ricerca (con esiti disastrosi) pur di essere riammessa nella congrega. I personaggi dei suoi film sembrano essere spesso quindi personaggi deboli, soggiogati da una figura autoritaria, incapaci di acquistare una propria autonomia, sorretti da leggi e divieti assurdi e pronti ad afflosciarsi, incapaci di vivere e di gestire la propria autonomia, se liberati dai propri vincoli. Vengono in mente, a guardare la piccola e media borghesia lanthimosiana bloccata da divieti surreali, il cinema bunuelinao de L'angelo sterminatore o de Il fascino discreto della borghesia o ancora, almeno per la suggestione del titolo, Il fantasma della libertà. E' impossibile, e sarebbe azzardato, determinare a cosa alluda Lanthimos con le sue parabole autoritaristiche (se più a una dimensione mitico-religiosa, o politico-sociale, o deterministico-esistenziale); ma paradossalmente, sembra che lo stesso rapporto di sudditanza si possa ribaltare e riflettere nel rapporto che il regista-demiurgo instaura con i propri attori, con, ad esempio, l'altrove deliziosa Emma Stone sottomessa pur conseziente a ruoli sempre più ingrati ed umilianti, sia psicologicamente che fisicamente (con scene di nudo, di sesso, di autolesionismo). Se Kind of Kindness è quindi assolutamente e indubitabilmente coerente con le tematiche e le ossessioni del regista, il problema sta forse nell'effetto di eccesso e di accumulo. Il film ha il difetto di arrivare a poca distanza di tempo da Povere creature! dove (pur in una forma geniale e visionaria) avevamo già dovuto assistere ad una serie infinita di stranezze e di aberrazioni. Kind of Kindness ripropone un ricco catalogo di perversioni e di sinistre stravaganze, ma ha il difetto fondativo e fondamentale di moltiplicarlo addirittura per tre. Lanthimos gioca con i suoi interpreti scambiandoli di ruolo, di nome e di aspetto di episodio in episodio (l'unico che mantiene una propria denominazione costante è un personaggio secondario indicato come R.M.F., che via via “muore”, “vola”, “mangia un panino”), come fossero pedine su una medesima scacchiera, dove a vincere è sempre e solo l'unico giocatore (il regista) e i Re e le Regine, mentre le pedine sono condannate al sacrificio, in cambio di una misera e umiliante consolazione. Al ragazzo di Kynodontas veniva concesso un periodico sfogo sessuale mercenario; al protagonista di The Lobster veniva concesso di scegliere in quale animale reincarnarsi; a quello de Il sacrificio del cervo sacro quale membro della propria famiglia condannare a morte. Nei tre episodi di Kind of Kindness, in La morte di R.M.F. a Jesse Plemons viene offerto comfort in cambio di ubbidienza; in R.M.F. sta volando ad Emma Stone viene offerta la diffidente e perversa attenzione del marito in cambio di orrendi sacrifici; in R.M.F. mangia un panino le viene concesso l'amore e il sesso dei santoni in cambio della sua cieca e fanatica militanza. E' vero che ciascuno di loro tenta un minimo atto di ribellione e di disubbidienza; ma è appunto solo un attimo, prima di offrire di nuovo la gola indifesa al carnefice di turno. Stilisticamente Lanthimos contiene le straordinarie invenzioni visive di Povere creature! a favore di una messa in scena più asciutta e realistica e abbandona gli obiettivi fish eye limitandosi a qualche grandangolo che dilata lo spazio intorno ai personaggi; ma abusa invece dei cori gregoriani che dovrebbero dare solennità ed autorevolezza alle svolte in cui la sospensione dell'incredulità dello spettatore viene messa più a dura prova. Ancora, ci sono rime interne (in ogni episodio c'è un sogno) ed esterne (i cani, il ballo, gli ospedali e gli ambulatori con le loro luci asettiche), mentre tra lo sguardo freddo, punitivo e impietoso, da entomologo folle o da sadico nichilista di Lanthimos (ma comune a molti registi della nuova ondata greca), fa capolino ogni tanto (come talvolta nei film precedenti e in particolare in Povere creature!) un guizzo di macabro humor (come nella “coda” canina del secondo episodio o nel secondo e terzo finale dell'ultimo); che però, in mezzo a tante nefandezze, finisce per risultare solo agghiacciante. In definitiva, Lanthimos è un regista coerente eppure spiazzante (gli stessi aggettivi li spenderei, ad esempio, per Lars von Trier), i cui film ritengo valga comunque la pena di vedere; ma speriamo che dopo questo tour de force si prenda un consistente periodo di riposo; anche noi abbiamo un po' bisogno e diritto di respirare, lontani dal suo cinema. |
Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
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