LA TERRA DEI FIGLI di GipiLa terra dei figli, l’ultima opera di Gipi (alias Gianni Pacinotti, che aveva affrontato uno spunto fantascientifico anche nel suo lungometraggio per il cinema, L’ultimo terrestre) parte da una situazione non particolarmente originale, quella della rappresentazione di un mondo catastrofico dove sopravvive un’umanità regredita e sofferente. In effetti quello della graphic novel (pubblicata qualche mese fa da Coconino Press) più che sembrare un futuristico mondo post-qualcosa sembra un regressivo mondo pre-culturale, dove gli uomini lottano duramente per una stentata sopravvivenza, dove il rapporto con la natura è non-sentimentale, bensì strumentale e cinico, e dove le relazioni umane sono ridotte alla lotta degli uni contro gli altri o al massimo allo scambio utilitaristico attraverso il baratto. E’ una riduzione all’essenziale che ben si adatta allo stile letterario e grafico di Gipi, amante dei silenzi e scabro nel segno. Nel contesto parafantascientifico d’altra parte riemergono con prepotenza molti dei temi e degli stilemi di Gipi: dalla figura dei due ragazzi protagonisti, al romanzo di formazione, al rapporto con la figura paterna, ai paesaggi sull’acqua che rimandano a tutti i fiumi, i laghi e i mari presenti nell’opera dell’autore toscano, da Diario di fiume a, in particolare, Le facce nell’acqua (in Esterno notte), che presenta inquadrature che sembrano quasi bozzetti pittorici per le vedute grafiche de La terra dei figli. E’ innanzitutto il personaggio del padre a farsi carico nel romanzo della mediazione tra il passato, il presente e il futuro. Da una parte è una figura interdittiva, autoritaria, che sente il compito di inculcare ai figli le conoscenze e i comportamenti basilari per sopravvivere in un mondo depauperato e ostile; d’altra parte, contraddicendo la stessa epigrafe autografa posta all’inizio del libro e riportata sulla quarta di copertina (“Sulle cause e i motivi che portarono alla fine si sarebbero potuti scrivere interi capitoli nei libri di storia. Ma dopo la fine nessun libro viene scritto più”), il padre scrive. E’ un diario/libro/quaderno in cui probabilmente confluiscono i ricordi del passato, le riflessioni del presente, le apprensioni per il futuro che minaccia lui stesso e soprattutto i suoi figli. Ma l’impulso incoercibile, inattuale alla scrittura si rivela un inutile atto solipsistico, quasi una forma automatica e involontaria di resistenza umana, che non può trasformarsi in memoria o in testimonianza: i figli non sanno leggere e il lettore, quando si trova davanti a ben dieci pagine coperte da una scrittura fitta, macchiata e disperata, neppure. Il posizionamento etico (per quel che di etico rimane) dei personaggi segue due assi. Il primo è legato al genere: le uniche due donne (vive) che compaiono nel libro sono una “strega” (così la chiamano i due ragazzi che la vedono con ostilità) e una giovane tenuta in cantina, nuda e malamente rapata a zero, per essere venduta come carne umana. Eppure entrambe conservano una residua umanità che gli uomini induriti fanno più fatica a far riemergere. L’altro asse dispone invece i personaggi secondo l’età: dagli adulti, per i quali i valori umani sono ormai un ricordo, ai giovani, che dovranno invece, se tutto va bene, riscoprirli da capo. Oltre ai due giovani fratelli protagonisti, l’uno più ribelle e incattivito, l’altro apparentemente più ingenuo e remissivo, ai quali sono in buona parte affidate le speranze del futuro - benché nel corso della storia abbiano torturato e ucciso un innocente -, sono i caratteri di alcuni personaggi maschili a spiccare nella loro ambivalenza morale. Già si è detto del padre, ma struggente è anche la figura di Aringo, il ringhioso vicino di laguna, che non può vedere gli uomini ma che soffre sordamente per l’uccisione del suo cane, e che conserva in segreto le fotografia di un tempo felice definitivamente scomparso; così anche i mostruosi Gemelli Testagrossa (che a loro volta hanno dei precedenti iconografici nelle vittime dei bombardamenti di S.) sono nello stesso tempo degli spietati schiavisti ma anche, probabilmente, sinceramente amorevoli e protettivi nei confronti dei due ragazzi; o, ancora, il Boia senza naso e senza orecchie della Fabbrica è capace di un gesto di violenza dettato da un riflusso di umana pietà. Dopo i sontuosi e cupi acquerelli di unastoria, Gipi torna in questa opera, dove mescola aperture bucoliche, biancori acquei e luminosi, notti scarabocchiate al nero e squarci horror, a un monocromatismo essenziale, inciso, quasi graffiato, che sembra sgorbiato; di nuovo, orgogliosamente, rabbiosamente ben “disegnato male” - come la vita raccontata in una delle sue novel più celebri, che si intitolava, appunto, LMVDM - La mia vita disegnata male.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Febbraio 2024
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