MARE CULTURALE URBANO, via Gabetti 15, MilanoLe periferie di Milano stanno diventando sempre più frizzanti. Dopo i precedenti articoli da Niguarda e da Chiaravalle, stavolta siamo in zona San Siro: a due passi dal grande stadio, tra palazzoni alti alti, un deposito Atm e una caserma, come per caso si insinua una vecchia cascina che sembra piovuta dal cielo per sbaglio.
Non si direbbe, ma è il mare culturale urbano (si scrive così, minuscolo). C'è un'idea di città e tanta cultura; il mare invece è un sogno, un'utopia, un obiettivo mentale cui tendere. Dopo qualche puntata l'anno scorso, siamo tornati al mare quest'anno per la festa del solstizio d'estate. E il mare si conferma nella nostra opinione come l'esempio delle città, o dei quartieri urbani, così come dovrebbero essere: con un'idea forte, concreta e realizzabile di vita sociale, di convivenza civile, di condivisione. Un luogo dove la socialità non è nelle stanze dei palazzoni, chiusi dentro e attaccati ai social, ma sta giù, in strada, nei giardini, nel cortile, dove ci si incontra, si chiacchiera, si scambiano opinioni e conoscenze, si passa il tempo insieme. Nel giorno del solstizio c'è una quantità di bambini incredibile (proprio oggi è uscita la notizia della gravissima crisi di natalità in Italia, ma da qui non si direbbe proprio), che giocano, corrono, si rotolano, saltano, si scordano di essere stati truccabimbati, simulano improbabili partite di calcetto o di ping pong, rincorrono palle riottose. Ci sono i papà e le mamme, i cani, i pic nic improvvisati sui prati. Ci sono i banchetti con cuoppi, pizze e birrette artigianali (ma diciamo che la ristorazione decisamente non è il pezzo forte della serata). Ci sono banchetti di vario genere, giovani che vendono sprtitz per sostenere i propri progetti sui passaggi aerei tra i condomini, gelatai. Ci sono panchine, sedie e tavoli, sdraio, muretti sui quali sedersi, alberi e cespugli. Nel cortile della cascina c'è il ristorantino, l'angolo del book-crossing, un palco sul quale si esibisce l'improbabile compagnia della Canzone nazionale (una coppia di olandesi schizzati, qualche musicista elegante, un paio di cori chissà come coinvolti), e uno schermo che fa da karaoke per il pubblico irretito dagli olandesi pazzi e poi ospita azzurrissime ipnotiche onde marine in moto perpetuo. C'è il palco in piazza sul quale passato il pericolo di pioggia sale niente di meno che Edoardo Vianello, a cantare dei Watussi, delle gambe ad angolo nella foga del twist, della stessaspiaggiastessomare dove tornare nelle estati infinite, acon le pinne il fucile e gli occhiali, e solo brevi pause invernali per scendere sci ai piedi dal cocuzzolo della montagna o a ricordare indimenticabili amori estivi. E' incredibile, vedere bambini e bambine, giovani e ragazze, signore e signori, anziani visibilmente in là con l'età, tutti a sgomitare felici sotto il palco, a cantare e ballare e a far trenino, godendo di un'ora di spensieratezza vintage. Vianello si prende la rivincita sui cantautori impegnati che l'avevano spodestato dalle classifiche alla fine degli anni '60, con la dimostrazione plastica che è ancora lui, sempre-in-piedi, a fare socialità, a mischiare sessi e generazioni, a creare felicità con il suo innocuo disimpegno. Ma non finisce qui. Da domani cominciano ad accorciarsi le giornate, ma mare culturale urbano si allunga attraverso l'estate offrendo ancora spazi di coworking, sale prove musicali, spazi sociali, social housing. Anzi, questo lo fa tutto l'anno. Ma adesso, per tutta l'estate, sul Lungomare di Milano, in cortile c'è Cernusco Jazz a mare, con una dozzina di concerti attraverso il jazz contemporaneo (ad ingresso libero!), in piazza c'è il cinema all'aperto (con cuffia: siamo pur sempre in mezzo ai palazzoni) con cinema d'autore, commedie, film musicali e in lingua originale e sabato dedicato ai bimbi; in cascina c'è sempre il ristorantino e la birreria, per sentirsi in vacanza nel cuore di Milano. E c'è la rassegna dedicata ai nuovi progetti della musica italiana, le serate di satira, il festival delle birrette e quello “Fuori rotta” delle migrazioni. Insomma, come diceva una bimba allontanandosi, “sarebbe bello vivere qui”. Vivere in mezzo agli altri; vivere al mare per sempre. Come in una canzone di Edoardo Vianello, ma per davvero. Il mare culturale urbano è nato grazie al Comune di Milano e rappresenta il tassello finale del progetto Cenni di Cambiamento, intervento di housing sociale realizzato da InvestiRE SGR, con il supporto di Fondazione Housing Sociale; tra gli investitori il Fondo Immobiliare di Lombardia, Cassa depositi e prestiti, Fondazione Cariplo e Regione Lombardia. Con un progetto che coniuga ricerca artistica e progettazione sociale, mare ha ottenuto la gestione di questi spazi in affitto da InvestiRE SGR, contribuendo a dare vita a un modello di riqualificazione considerato pilota dall’amministrazione cittadina e costruito in collaborazione con Fondazione Cariplo.
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GAUGUIN - L'ALTRO MONDO di Fabrizio DoriAncora la pittura al centro sia della storia raccontata, che della vita del protagonista, che dello stile grafico, anche nella seconda graphic novel. Anch'essa intitolata al personaggio protagonista, ma stavolta con un cognome anziché con un nome proprio, e un cognome che annuncia a chiare lettere il tema dell'opera. Fabrizio Dori racconta infatti in Gaugin – L'altro mondo (ed. Tunué) la storia di uno degli artisti più famosi al mondo, non solo per la propria opera artistica, ma anche per la propria peculiare vicenda umana. Gaugin perde il padre, antimonarchico in fuga dalla Francia di Napoleone III, durante un viaggio transoceanico; passa alcuni anni dell'infanzia in Perù; torna in Francia ma poi si imbarca e gira il mondo; ancora in patria si sposa, ha cinque figli, si impiega regolarmente; ma si innamora della pittura nell'ambiente degli impressionisti e stringe amicizia con Pissaro, Cézanne, Degas, e altri artisti; si trasferisce a Copenaghen presso la famiglia della moglie, ma ne fugge; tra una puntata in Bretagna e l'altra, va a Panama e in Martinica; torna in Francia dove stringe un ambivalente amicizia con Van Gogh; poi va dall'altra parte del mondo e si trasferisce a Tahiti dove vive in mezzo agli abitanti del posto e stringe una relazione more uxorio con un'indigena maori di 13 anni; maturata la propria pittura a contatto con un mondo primitivo e affascinante torna esaltato a Parigi, dove non ottiene né comprensione né successo; torna frustrato a Tahiti, viaggia verso le isole Marchesi, ha un paio di figli da un'indigena quattordicenne, tenta il suicidio, si ammala e infine muore. Personaggio eccentrico, scrittore logorroico, autore del proprio personaggio, narcisista e lamentoso, Gaugin è però animato da un'autentica inesausta curiosità e ansia di ricerca, artistica ed esistenziale. La pittura è il suo demone, la sua maledizione, ma anche, in senso profondo, la sua ragion d'essere. Da questa massa di materiale biografico romanzesco (di cui Gaugin fu primo narratore oltre che artefice) Dori estrae molto, in un racconto di ampio respiro che abbraccia l'intero arco della vita dall'artista, pur concentrandosi in particolare sul periodo tahitiano, chiave di volta della vicenda umana e artistica, e riuscendo a comporre un credibile ritratto esistenziale che delinea i tratti spirituali oltre che biografici del personaggio: l'insaziabile inquietudine, l'aspirazione a forme di vita e di arte più vicine alla naturalità dell'uomo che alle costrizioni e alle ipocrisie dell'Occidente civilizzato, la sperimentazione di nuove forme di espressione pittorica, la consapevolezza del suo valore e del suo portato innovativo e rivoluzionario, al quale i suoi contemporanei dimostrarono per lo più incomprensione e indifferenza, quando non aperta, esplicita e beffarda ostilità. Se Ada però finiva per apparire snervato e inconcluso nel suo rifiuto di una strutturazione forte del racconto, Gaugin sembra invece sovrastrutturato dal punto di vista narrativo: prologo mitologico, divisione in capitoli, cornice simbolista, flashback, fughe oniriche, cambiamenti del punto di vista che alternano racconto in prima persona, dialoghi con gli spiriti, narratore “antropologico”, punti di vista di altri personaggi come nella prima parte e nell'epilogo, arricchiscono il racconto ma rischiano di nuocergli in termini di fluidità. Dal punto di vista iconografico Dori ricostruisce magistralmente il mondo del pittore mutuandone lo stile, con il prologo e il cuore del libro formato da grandi tavole dai colori esotici e puri, accesi e squillanti, preceduto invece dai colori più freddi e dal disegno più tradizionale delle parti europee, e con un segno invece che si fa sempre più rudimentale e legnoso (Gaugin si cimentò tra l'altro anche nella xilografia e nella scultura in legno), man mano che la vicenda procede verso il suo epilogo. Si tratta comunque in entrambi i casi, Ada e Gaugin, di opere personali ed ispirate, di grande splendore visivo, non solo da leggere e guardare, ma da possedere, per tornare a sfogliarle e a godere con gli occhi della bravura grafica e pittorica dei rispettivi autori. Due recenti graphic novel (edite nel 2018), Ada e Gauguin - L'altro mondo, hanno al centro, sia pur con approcci differenti, il tema della pittura e dell'arte, che si legano indissolubilmente alla vicenda esistenziale dei rispettivi protagonisti, al centro delle rispettive narrazioni. ADA di Barbara BaldiIl primo, Ada (ed. Oblomov), rappresenta l'opera seconda, dopo la bellissima prova di Lucenera, di Barbara Baldi, illustratrice e colorista dalla solida formazione, già rodata e consolidata attraverso le esperienze compiute alla Disney e alla Marvel, e nel lavoro compiuto per la versione animata delle Winx. Lo stile della Baldi è quello già adottato nella precedente graphic novel, un racconto estremamente e forse ancor più rarefatto dal punto di vista testuale, fondato su una narrazione per immagini al contrario densa, di grande intensità e raffinatezza pittorica. I dialoghi sono radi e scarni; la vicenda di Ada, ambientata nella campagna viennese all'inizio del secolo scorso, si sostanzia di silenzi, immagini della natura o della solitaria protagonista. Ada infatti è sola. La madre ha abbandonato la famiglia; il padre è una specie di orco incattivito e rancoroso, che sfoga sull'innocente figlia adolescente le presunte colpe della moglie fedifraga. Sottoposta al duro lavoro dei campi, asservita e angariata da un padre-padrone completamente anaffettivo e privo di comprensione, Ada ha un solo compagno, un cagnolino, e una sola passione: il disegno e la pittura, che coltiva segretamente in una capanna nascosta nel bosco. La conoscenza e la relazione a distanza instaurata con un artista viennese, la porteranno alla fine a osare l'inosabile, pur di uscire dalla propria miserabile condizione. Il fatto che la Baldi faccia un ampio uso degli strumenti digitali oltre a quelli tradizionali, come le matite e l'acquarello, non toglie assolutamente nulla, anzi sembra esaltare la qualità pittorica di ogni sua immagine. Tanto il racconto è scarno ed esangue, con intere pagine consecutive senza dialoghi o didascalie, tanto la narrazione per immagini ha un respiro ampio, quasi solenne, con le pagine del libro di grande formato che non ospitano mai più di cinque quadri per pagina, ma spesso soltanto tre, due o una sola immagine, a conquistarne l'intero spazio, con intere sequenze dedicate all'esplorazione della natura, dei cieli, dei paesaggi, delle atmosfere. Il talento pittorico e coloristico della Baldi si impone prepotentemente su quello narrativo, e la cura dedicata a cesellare la luce infuocata del tramonto o del taglio di un raggio di sole sui capelli fulvi dell'amata protagonista, o sul suo viso arrossato, o a graffiare le sue labbra screpolate che probabilmente non sono mai state baciate, o ancora a evocare la trasparenza di un vestitino estivo tra la luce e le ombre di un bosco, è evidentemente superiore e preponderante rispetto a quella dedicata alla costruzione dei dialoghi (o dei rabbiosi monologanti sfoghi paterni). Se emergono tratti iconografici fiabeschi (il padre orco, il mistero del bosco, le erbe e la preparazione della pozione magica), e tecniche rubate alla fotografia, come un suggestivo uso del fuori fuoco, l'impianto pittorico si rivela e si autoconfessa nelle numerose citazioni pittoriche disseminate tra le pagine: l'uso atmosferico dell'acquarello rimanda a quello del Gipi a colori (Una storia), ma è la pittura classica a marcare il racconto e a smentire il tono sommesso della narrazione: la generale influenza degli impressionisti francesi, l'Andrew Wyeth dei campi riarsi, le spigolatrici di Millet, l'Ofelia di Millais, le donne che si acconciano di Toulouse Lautrec, l'Emilie Flöge ritratta da Gustav Klimt - che Ada incrocia fugacemente in persona sulla soglia di un caffè viennese. Perché l'artista con il quale Ada intrattiene una corrispondenza segreta è effettivamente Egon Schiele, di cui la ragazza ha modo, durante una sua fuga, di visitare l'atelier ingombro di quadri e di chiacchiere artistiche. Il citazionismo della Baldi - che sicuramente accresce e arricchisce il piacere provato dal lettore le sue pagine, e non certo ne sminuisce il valore - ha addirittura suscitato polemiche inopportune e assurde accuse di plagio, misconoscendo il ruolo intrinseco e connaturato, necessario, dell'influenza pittorica in una storia in cui la pittura è come si è detto cuore e ragion d'essere della narrazione. La passione per la pittura che la Baldi esprime esplicitamente nel mettere su carta la storia di Ada, si rispecchia nella passione per la pittura della sua (anti)eroina, che cerca nell'espressione artistica una via di fuga da una realtà e una quotidianità meschina e avvilente; così il modo della rappresentazione rispecchia suggestivamente il tema della narrazione. |
AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Febbraio 2024
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