LO STRANO CASO DEL CANE UCCISO A MEZZANOTTE, di Simon Stephans, dal romanzo di Mark Haddon, regia di Bruni De Capitani, prod. Teatro dell'Elfo - Teatro Stabile di TorinoLa storia de Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte (non ho ancora letto il libro di Mark Haddon) è fantastica. Il protagonista è un ragazzo autistico, (una forma di autismo funzionale, la cosiddetta sindrome di Asperger, che caratterizza persone dotate di un'intelligenza normale o addirittura sopra la media, ma affette da disturbi che ne compromettono in parte i rapporti con le altre persone e con il mondo), Cristopher, un adolescente quindicenne che indaga sulla morte di un cane ucciso con un forcone nel giardino di una casa del paese in cui abita. Riluttante ad uscire da casa, restio ad avere rapporti con gli estranei, dotato di logica e appassionato di Sherlock Holmes, la sua sarà pertanto una strana indagine, lucida e ritrosa insieme. Per certi versi mi ha fatto pensare ad un'altra indagine disfunzionale, quella condotta dal protagonista di Memento, il film scritto e diretto dai fratelli Nolan, in cui a indagare su un delitto è un uomo che perde in continuazione la memoria a breve termine. La bizzarra indagine di Cristopher, che si risolve praticamente alla fine del primo atto, lo conduce però al cuore di alcune verità sulla propria famiglia, che ignorava e che rischiano di distruggere il suo già fragilissimo equilibrio psichico ed affettivo. Se nella prima parte a dominare è lo schema dell'indagine (un'indagine in fondo edipica, che riguarda la vita dei suoi genitori e di conseguenza della sua stessa identità), nella seconda parte subentra quello del viaggio, con Cristopher che lascia il sicuro conforto della propria casa per avventurarsi nel caos del mondo, alla ricerca dei propri affetti e di una stabilità emotiva ed esistenziale che non potrà più essere quella di prima (e non necessariamente in senso totalmente negativo). Tanto l'indagine che il viaggio sono quindi da intendersi (anche) in senso metaforico, come ricerca di sé e del proprio posto nel mondo. Cristopher deve imparare a scendere a patti con una realtà ostile e che nasconde verità e segreti difficili da affrontare. Impossibile non empatizzare con lui e non commuoversi di fronte all'avventura umana di un personaggio tenero e fragile, la cui intelligenza logica e la sua passione per i numeri si scontra con una realtà che non è logica né matematica, e di fronte alla quale è ancora più vulnerabile di qualsiasi adolescente suo coetaneo; eppure determinato a lottare per salvare la propria vita e ristabilire un rapporto accettabile con gli altri e con il mondo. Ne è ottimo interprete Daniele Fedeli, che riesce benissimo a rendere le idiosincrasie e le ritrosie del personaggio, così come la sua commovente determinazione e il suo giovanile entusiasmo, e insieme il dolore insopportabile che lo getta per terra indifeso e mugolante come un piccolo animale ferito. Lo circonda un coro di altri nove attori della Compagnia dell'Elfo, spesso impegnati in più ruoli, tra le quali quella che spicca per simpatia è forse la Cristina Crippa nel ruolo della signora Alexander, una vicina di casa che per prima cerca di aprire gli occhi al ragazzo su alcuni segreti famigliari,. Qualche momento di perplessità mi ha suscitato invece l'allestimento: d'altra parte Lo strano caso era in partenza un testo difficile da adattare per il palcoscenico, una vera e propria sfida, vista la quantità dei personaggi e la la varietà degli ambienti (una scena articolata si svolge in metropolitana: nella stazione, in treno e perfino in un tunnel). A quanto mi è sembrato di capire Bruni e De Capitani, che hanno curato la regia, hanno adottato alcune delle soluzioni già elaborate da Simon Stephans, che ha firmato l'adattamento teatrale inglese, ovvero l'astrazione e la graficizzazione delle scene e l'orchestrazione coreografica degli attori. L'allestimento di Bruni e De Capitani è contemporaneamente minimalista e fantasmagorico: la scena è infatti nuda e spoglia - con solo alcuni piccoli parallelepipedi bianchi (già presenti anche nell'edizione inglese) a fare da materiale di costruzione dei vari arredi di scena -, ma su di essa incombono su tre lati altrettanti grandi teli su cui vengono proiettati con la regia di Francesco Frongia i disegni realizzati da Ferdinando Bruni. Si delinea e si anima quindi sugli schermi un mondo stilizzato e naïf, a suggerire l'approccio per certi versi infantile di Cristopher verso il mondo, mentre l'impasto audiovisuale e coreografico serve spesso a rendere sensibile e quasi palpabile anche per lo spettatore la confusione sensitiva e cognitiva di Cristopher di fronte a una realtà più complessa e caotica di quella che lui riesce ad affrontare. Scelte condivisibili, soprattutto quando il protagonista si trova ad abbandonare la propria confort zone per affrontare il disordine del mondo, ma che talvolta, soprattutto nella prima parte, fanno sì che il movimento degli attori sulla scena e la presenza dei disegni e delle scritte sui fondali rischino di soverchiare l'azione, finendo per distrarre lo spettatore dal cuore della rappresentazione. Acquistano in questo modo ancora maggiore risalto i momenti più intimi e dolorosi dello spettacolo, quando suoni e immagini lasciano spazio alla disperazione di Cristopher, alla sua impari lotta contro i fantasmi della sua mente, contro i propri limiti e le proprie debolezze, con la difficile ricomposizione della propria famiglia e della propria identità ed il proprio riposizionamento nel mondo, ma anche e soprattutto con una realtà delle persone e degli affetti che deve essere riordinata e letteralmente rimpaginata per essere di nuovo leggibile e abitabile.
0 Commenti
|
AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Febbraio 2024
Categorie
Tutti
|