PATIENCE di Daniel ClowesPatience inizia come un dramma minimale a sfondo sociale: una coppia come tante nel mondo di oggi, che stenta ad uscire dalla crisi; lei aspetta un bambino, lui fa lavoretti umilianti e mente alla moglie per vergogna; entrambi hanno paura del futuro. Sono due figurine strette in vignette fitte, che cercano di rassicurarsi a vicenda mentre covano nei rispettivi cuori il terrore di non farcela, di non essere all’altezza. Poi le cose cambiano inaspettatamente. Nel peggiore dei modi. Jack torna a casa e trova la moglie Patience morta sul pavimento di casa. Da quel momento la sua mente è dominata da una nuova ossessione: scoprire chi l’ha uccisa, vendicarsi di quella morte orrenda e inesplicabile. Le cose cambiano di nuovo: sono passati anni, siamo già in quel futuro che Jack e Patience aspettavano e temevano. E la tecnologia è progredita: forse ora c’è il modo di tornare indietro, di rivivere il passato, di rincontrare la donna amata, di scongiurare forse quell’omicidio ancora inspiegabile, senza assassino e senza movente - ammesso che i paradossi temporali lo consentano. Ma le cose non vanno mai come le desideriamo, e Jack e Patience si troveranno a rincorrersi in un labirinto spazio-temporale pieno di buchi, di vortici, di circoli viziosi. Nella sua opera forse più ambiziosa, sicuramente la più lunga e articolata, Clowes non teme di alternare e mescolare i generi: una graphic novel (ma pare che a lui il termine non piaccia) che inizia come un dramma psicologico-sociale intimista e minimale, che si sviluppa come un revenge, con un’indagine piena di vicoli ciechi che ricorda i luoghi oscuri di James Ellroy, e che deraglia in una sci-fi delirante e involuta. Lo sviluppo grafico stesso della narrazione si altera durante il suo svolgimento; le pagine fitte di vignette lasciano spazio ad altre dove le linee di separazione diventano oblique e si alternano a quelle di maggior respiro, dove i bordi delle inquadrature si fanno tondeggianti (nel segmento nel futuro) o diventano irregolari, fino a esplodere o a freezarsi in immagini a tutta pagina o che occupano addirittura entrambe le pagine affiancate (nel grande formato meritoriamente scelto dalla milanese Bao Publishing, che l’ha pubblicato in Italia nel 2016), disgregandosi a volte in deliri in cui la mente del protagonista deflagra in visioni allucinate, che richiamano a volte le tavole più lisergiche del Burns di The Black Hole. A differenziarlo graficamente da quest’ultimo è per prima cosa l’uso del colore; se là tutto era bianco e (soprattutto) nero (impossibile immaginare The Black Hole a colori; se ne venisse tratto un film dovrebbe essere necessariamente in b/n), qui il nero è minoritario a favore di una tavolozza di colori piatti, prevalentemente primari, privi di sfumature, che ricordano i comics economici di una volta e danno a questa strana storia di fantascienza un sapore pop e vintage, coerente con il suo alternarsi tra un passato kitsch e un futuro psichedelico. Ma a stupire è soprattutto la qualità della scrittura di Clowes (tanto affermato da avere avuto l'onore di comparire nell'hall of fame dei Simpsons e dal cui Ghost World è stato anche tratto un film), che conferisce al protagonista Jack Barlow una lucida follia introspettiva, per cui ai tanti dialoghi tra i numerosissimi personaggi (mai inessenziali) si alternano i soliloqui mentali di un uomo dominato dalla propria ossessione ma incerto sulle scelte da compiere, tanto determinato nell’obiettivo quanto confuso e inefficace nelle sue intraprese, sempre dominate dall’ignoranza dei fatti e dall’imprevedibilità del caso - o, da un certo punto in poi, quelli di una Patience sempre più sconcertata davanti ad una realtà sconcertante e incomprensibile. Clowes è molto abile nella costruzione del racconto, nel combinare e ricombinare attraverso i suoi labirinti fatti, personaggi e situazioni, tanto che il suo percorso delirante finisce per configurarsi in una trama coerente e coesa, dove (quasi - ma è ovvio, siamo nel campo pieno di mine logiche dei paradossi temporali) tutto alla fine torna e si compone. Ma la cosa più incredibile è che da questo helzappopin, da questo guazzabuglio di elementi e generi dozzinali, un fumetto disegnato male, un noir con protagonista, letteralmente, un uomo che non c'era, una fantascienza da rivista pulp da quattro soldi, Clowes trae alcune riflessioni non banali (a tratti si potrebbe dire dickiane) sul tempo e sulla natura umana: sul disagio del presente e sul timore di non essere adeguati, sulla paura del futuro, sul rimpianto di non poter correggere gli errori commessi in passato, sull’impossibilità di recuperare quei pochi brevi momenti di felicità vissuti, sul desiderio struggente di rivedere e di riabbracciare le persone care che ci hanno lasciato per sempre. Il pulp psichedelico, tra pistole fotoniche e macchine del tempo, costumi improbabili e puttane futuribili, finisce per generare un’inaspettata, e in qualche modo toccante, elegia del tempo perduto.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Febbraio 2024
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