LA STORIA di Elsa MoranteNegli Usa, terra d'origine di molti dei nostri miti contemporanei, hanno anche il mito del Grande Romanzo Americano, il romanzo che dovrebbe riassumere la storia, il carattere, lo spirito dell'America (intesa come Stati Uniti). Noi in Italia, mi sembra che il Grande Romanzo Italiano ce l'abbiamo già. L'ha scritto una donna ed è stato pubblicato 45 anni fa. Ne scrivo ora, dopo così tanto tempo, saltando del tutto il dibattito storico-critico-politico-ideologico prodotto in questi decenni, basandomi solo sulle mie impressione e sulle mie emozioni, perché l'ho letto solo adesso. Sui miei scaffali, reali o immaginari, stava sulla mensola dei grandi classici, quei mostri sacri, grandi anche nel senso del ponderoso numero di pagine, di cui rimando continuamente la lettura, e che alla fine non so se mai leggerò, come l'Ulysse di Joyce, o Guerra e pace, o I fratelli Karamazov, o Dumas o Balzac. Nell'estate del 2019 non so perché è arrivato il momento, e ho letto finalmente La storia di Elsa Morante, un po' su carta, un po' su e-reader, un po' a casa, un po' in metrò, un po' a letto, un po' su diverse spiagge o sulle sponde del lago, rimandandone sempre a sua volta la conclusione della lettura, per il dispiacere presentito di lasciare andare i suoi personaggi, di perderli, di vedere compiersi il loro destino presumibilmente crudele, all'interno di quel flusso crudele che è la Storia che continua, con i puntini di sospensione finali a chiudere e nello stesso tempo a rimandare ad altri tempi futuri, non meno aspri e ferali. La storia parte infatti dall'immensamente grande - dalla storia del mondo vista attraverso i suoi rivolgimenti e conflitti, che riempiono i paragrafi dedicati all'inquadramento storico delle vicende narrate, per periodi più o meno lunghi o anno per anno negli anni cruciali della Seconda Guerra mondiale -, per raccontare poi un brano della storia italiana del '900 – dalle leggi razziali durante il fascismo agli anni della guerra e oltre -, e al suo interno a sua volta chinarsi a raccontare dentro e ai margini della città di Roma personaggi piccoli piccoli, quelli le cui vicende vengono completamente ignorate dai libri di storia. La piccola e umile maestra Ida, l'esuberante figlio Ninuzzo, il piccolo Giuseppe (autonominatosi e chiamato da tutti Useppe), frutto dello stupro compiuto da un soldato tedesco, sono il piccolissimo nucleo elementare su cui la narrazione de La storia è costruita e articolata. Ma una volta giunto all'infinitamente piccolo, a sua volta la narrazione si espande, rievocando a ritroso vicende e personaggi precedenti, conglobando e rendendo a momenti protagonisti assoluti, magari per poche pagine, una miriade di altri personaggi: soldati tedeschi, partigiani, ebrei, anarchici, levatrici, soldati in ritirata dalla Russia, operai, sfollati, intere e composite famiglie, ragazze-madri, gattare, prostitute, protettori, ragazze di campagna, ragazzi sbandati, tossicodipendenti, perfino gatti, cani, uccellini. E' un'ottica solipsistica, dove il personaggio più “sociale”, Ninuzzo, scompare ad un certo punto per ricomparire alla madre e al fratellino solo a singhiozzo prima di sparire del tutto, e dove i legami più forti sembrano essere quelli che si stabiliscono tra i due fratelli e tra loro e i cani (prima Spritz, poi l'indimenticabile Bella). Ida è una solitaria, incapace di condividere con altri perfino le paure, le preoccupazioni e i dolori più grandi e tremendi (andrà a partorire lontano da casa, di nascosto, come una bestiola); Useppe, bambino vivace ed espansivo, si andrà chiudendo sempre più al mondo sociale; Davide, che si potrebbe definire con un eufemismo un amico di famiglia, pur animato da ideali di utopia sociale, è incapace di comunicare con altri sia nella propria quotidianità che ancor più nei suoi sgangherati tentativi di apostolato politico. Eppure queste cellule solipsistiche entrano volenti o nolenti a far parte di un affresco narrativo più grande di loro, popolato di personaggi, volti, eventi, luoghi; e di un affresco storico più grande ancora, che li trascende e all'interno del quale, se non ci fosse l'autrice – e, possiamo dire, le arti del raccontare, come la letteratura e il cinema soprattutto – diventerebbero invisibili al momento, e perduti e dimenticati nella dimensione del tempo. Al contrario, i personaggi de La storia si scolpiscono nella memoria pur nella loro apparente insignificanza, nella loro debolezza e modestia. Esistenze trascurabili per la Storia, personaggi indimenticabili grazie all'autrice, che si fa testimone diretta, intestandosi personalmente la conoscenza di fatti e ricordi relativi ai personaggi, pur senza palesarsi mai all'interno della narrazione. E' un'epica al contrario, quella de La Storia, in cui non ci sono eroi o eroismi (non a caso nessuno dei personaggi principali muore a causa della guerra in senso stretto), e dove anche le poche azioni di guerra legate alla Resistenza o alla sua repressione sono descritte con il crudo orrore che la manifestazione e l'esercizio della violenza portano intrinsecamente con sé. La storia è il male, il teatro assurdo in cui si mettono in scena le lotte eterne per il potere e per la sottomissione o l'eliminazione dell'altro; ma anche la dimensione naturale è segnata dalla caducità e dal principio sempre attivo della corruzione. L'unica via di fuga sembra allora l'esercizio della bontà, la curiosità verso il mondo, l'apertura panica alla bellezza che il creato tuttavia, malgrado tutto, offre alle nostre esistenze. La prosa della Morante – volutamente semplice e accessibile, tutta rivolta al pubblico più vasto possibile, per cui volle che il libro uscisse da subito in edizione economica - si tiene funambolicamente in equilibrio, per le centinaia di pagine del libro, tra il racconto distaccato, quasi freddo, di un soggetto narrante onnisciente e trascendente, che non si immedesima definitivamente in nessun personaggio, e invece la vicinanza ai personaggi in cui si avverte una pietas vibrante e misericordiosa, e grazie alla quale entra con acume e sensibilità nella loro psicologia e finanche nei loro sogni e nei loro incubi, fino a farci immedesimare nel profondo nei caotici terrori di Ida, o nella frustrazione umana, politica ed esistenziale insieme, di Davide. E che dire di Useppe, se non che è uno dei bambini più belli dell'intera letteratura mondiale – o per lo meno che mi sia mai capitato di incontrare – e uno dei suoi personaggi più memorabili, il cui sodalizio con Bella, la sua apertura ingenua e fiduciosa verso il mondo, il suo essere vittima comunque della violenza della storia e della società e del male di vivere, sono commoventi sino alle lacrime. Sono convinto che La storia sia il libro che andrebbe fatto leggere agli studenti delle scuole medie superiori italiane. Con tutto il rispetto per Alessandro Manzoni, direi che sarebbe ora di rimettere I promessi sposi (con i suoi frati e i suoi bravi, i fidanzatini e le monache lussuriose, i don Rodrighi e i don Abbondi, gli Innominati nei castelli e le epidemie di peste bubbonica) sullo scaffale dell'800, e passare ad altro. Alla storia del '900, a temi storici ancora vivi e attuali, che fondano e che toccano ancora il nostro presente (le leggi razziali, il fascismo, la Resistenza) e ad altri universali ed eterni. Abbiamo il Grande Romanzo Italiano, sfruttiamone la sua forza didascalica e il suo grande potere emotivo, e speriamo che qualcuno impari ad amare la letteratura; che qualcuno si innamori di Useppe; e che imposti la sua vita e le sue azioni in modo che altri Useppe non debbano subire le sue stesse sofferenze.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Febbraio 2024
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