I MALAVOGLIA di Giovanni Verga, rielaborazione drammaturgica di Micaela MianoOgni adattamento teatrale di un’opera letteraria si trova di fronte a maggiori difficoltà e maggiori rischi rispetto all’allestimento di un testo già concepito per la scena. Forse ancor più rispetto agli adattamenti per il cinema, dove le componenti extraverbali sono talmente potenti da trasportarlo sul piano di un linguaggio radicalmente differente. La riduzione poi di un’opera così articolata e ricca di avvenimenti come I Malavoglia, che segue le vicende di una famiglia attraverso tre generazioni, tra battute di pesca funeste o miracolose, affari, maldicenze, morte e lutti, matrimoni celebrati e mancati, contrabbando, seduzioni, partenze e ritorni, sullo sfondo di guerre, tasse, rivoluzioni mancate e così via era un’impresa abbastanza improba. Ci prova progetto Teatrando, mettendo in scena l’opera di Giovanni Verga rielaborata per il teatro da Micaela Miano e diretta da Guglielmo Ferro (figlio di Turi, che già aveva avuto frequentazioni verghiane sia teatrali che televisive). Cast nutritissimo, giustamente corale, con sedici attori sul palco, che ospita una sorta di zattera centrale in legno, circondata da una passerella, che è di volta in volta barca, molo, piazza di paese, cortile. Ma purtroppo, I Malavoglia teatrali di Teatrando diventano teatro. Non nel senso migliore del termine, cioè l’esaltazione o la reinvenzione dello spunto originale attraverso le specificità di un linguaggio nuovo (e vecchio di millenni), bensì in quello di adottarne tutte le convenzioni e i manierismi. Il punto più dolente a mio parere è costituito dallo stile di recitazione adottata: una recitazione, appunto da vecchio teatro borghese, stereotipata (soprattutto in alcuni dei caratteri principali) secondo canoni teatrali, agli antipodi dal verismo e dal naturalismo ricercato da Verga. Una sorta di tradimento della poetica verghiana rivolta verso gli umili, verso i vinti dalla Storia. Se la scenografia astratta e (necessariamente?) stilizzata è in contraddizione poi con i costumi d’epoca degli attori, è utilizzata anche in modo discutibile dalla regia come macchina narrativa: piuttosto banalizzante appare infatti la scelta di rappresentare alcuni degli episodi più drammatici del testo dietro una tenda/vela, sulla quale i personaggi si proiettano come ombre cinesi. Il risultato è quello di sminuire il pathos a scapito di una scelta estetizzante, per non dire decorativa, non nuova né funzionale né capace di suscitare suggestioni o emozioni. La mancanza di necessità, o di una precisa chiave di interpretazione e di riattualizzazione del testo verghiano, finisce col lasciarne emergere il sedimento tematico datato e conservatore, dove la difesa delle radici, della casa, della famiglia, del mestiere che si tramanda di generazione in generazione, diventa aprioristica conservazione dello status quo socioculturale, contrapposto all’anelito al cambiamento, visto come velleitaria aspirazione ai falsi valori della modernità e di una vita facile e (si desume) dissoluta. La pletora di avvenimenti, percorsi per forza di cose con celerità dalla folla di personaggi, lascia l’impressione di un riassunto, o meglio di un bigino del testo. Forse, effettivamente, lo spettacolo potrebbe essere gradito dagli insegnanti, che potrebbero a loro volta offrire agli studenti una chiave di accesso al testo differente rispetto a quella che gli è immediatamente propria e congeniale, cioè la lettura. Il pubblico della prima ha gradito: non solo lo spettacolo è stato salutato con calorosi applausi, ma battimani a scena aperta hanno addirittura salutato la morte di padron ‘Ntoni, interpretato da un istrionico Enrico Guarneri. Escludo che fosse un modo per manifestare sollievo per l’approssimarsi della fine dello spettacolo.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Febbraio 2024
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