Fidel è morto e il mondo si interroga e si divide intorno alla sua figura. Difficile trovare opinioni mediane: è stato un eroe socialista, un integerrimo condottiero rivoluzionario – è stato un dittatore che ha impoverito il suo popolo, gli ha tolto la libertà, ha combattuto gli oppositori con le prigioni e con la morte. In genere ciascuno loda o condanna in base ai propri pregiudizi o alle proprie convinzioni ideologiche. Castro disse che la Storia l’avrebbe assolto. Non so. Forse Castro resterà per sempre una figura discussa e contraddittoria, con luci e ombre. Contradditoria come la Cuba che abbiamo conosciuto. Siamo stati una sola volta a Cuba, nel 2001. Eravamo quattro amici, e siamo rimasti sull’isola quasi cinque settimane, percorrendola tutta via terra da L’Avana a nord a Santiago nel sud, da Baracoa a est fino a Maria La Gorda a ovest, dai cayos adagiati sul mare caraibico fino alle selvas della Sierra Madre. Malgrado fossimo in quattro su un’utilitaria a noleggio un po’ scalcagnata, abbiamo dato passaggi ad autostoppisti per un totale di più di trenta persone, abbiamo sempre dormito e quasi sempre mangiato in casas particulares (cioè in case private e mai in hotel e villaggi). Abbiamo quindi parlato con un sacco di cubani, per le strade, nei locali, sulle spiagge, in casa, durante i pasti o guardando la tv, e lungo i viaggi in macchina dove bisognava ammazzare il tempo ma soprattutto si soddisfaceva la curiosità di conoscere gli altri. Tutto questo non ci ha reso degli esperti di Cuba o tantomeno del castrismo, però un po’ di cose le abbiamo viste e sentite. Abbiamo visto un’economia spezzata in due, con alcuni, quelli che lavoravano a contatto con un turismo mal tollerato ma necessario in quanto diventata ormai la principale fonte di reddito del Paese, che guadagnavano pesanti dollari e altri che guadagnavano in miseri pesos; abbiamo visto i negozi speciali con prezzi rialzati per far spendere i dollari a chi li aveva e tentare così di ridurre le diseguaglianza; abbiamo visto perdigiorno che si offrivano di curarti la macchina (da chi? perché?) per un dollaro guadagnare probabilmente di più del responsabile del laboratorio di biotecnologia de L’Avana, obbligato per giunta a fare la professione cui gli studi, pagati dallo Stato e quindi dalla collettività, l’hanno preparato; abbiamo visto e sentito proposte di sesso (e qualsiasi cosa potessimo desiderare) e il controllo poliziesco, per le strade e perfino sulle spiagge, per evitare occasioni di mercimonio; abbiamo visto persone intraprendenti che si davano da fare e un controllo sociale strettissimo, esercitato anche dai vicini e dalle organizzazioni delle comunità; abbiamo visto i divieti per i cubani di mangiare certi tipi di alimenti (manzo, pesce pregiato, crostacei), riservati ad uso delle strutture turistiche, che poi ritrovavamo gustosamente preparati nell’intimità delle case che ci ospitavano; abbiamo visto le belle macchine americane degli anni ’50, splendide e spesso in panne, e le brutte macchine russe; abbiamo visto i bei palazzi del passato coloniale e gli orripilanti casermoni costruiti dai sovietici, dove talvolta furono deportati i cubani che vivevano lungo la costa per far posto agli insediamenti turistici; abbiamo visto persone chiederci soldi a loro dire per comprare latte condensato per i bambini, o per curare piaghe terribili, senza poter verificare i loro bisogni, e abbiamo visto il nostro amico, ustionatosi accidentalmente, venir curato gratuitamente in ospedali e ambulatori, e perfino a domicilio, in cittadine e fin nei più piccoli villaggi, senza che nessuno gli chiedesse un dollaro o un peso; abbiamo visto l’allegria dei carnevali e delle feste e abbiamo sentito i racconti di un’economia di sussistenza dove gli alimenti fondamentali venivano razionati ed erogati con una tessera annonaria; abbiamo sentito i giovani contenti di parlare con i turisti per sentire del mondo di fuori e immalinconiti e arrabbiati per l’impossibilità di poter viaggiare e uscire dalla loro isola, per la quale si girava del resto a fatica; abbiamo sentito quelli che si sfogavano con noi, imprudentemente, contro il governo, e quelli che ne vedevano pregi e difetti; abbiamo sentito l’orgoglio delle persone che ci raccontavano che Cuba, anche se povera, possedeva dei servizi sociali che nessun altro Paese dell’America Latina poteva vantare. Un Paese dove le scuole sono gratuite fino ai gradi più alti, dove tutti sono istruiti, dove i bambini hanno gli asili, le ragazze madri le case di accoglienza, gli anziani gli ospizi, i malati gli ospedali. Un Paese dove tutti hanno una casa, per quanto umile, dove nessuno dorme per strada, dove nessuno muore di fame, dove nessuno viene abbandonato. E abbiamo sentito la consapevolezza di tutto questo, da parte di persone che lo sapevano, se ne rendevano conto, uomini e donne comuni che parlavano con noi, non slogan dipinti sui muri o editoriali sui giornali della propaganda ufficiale. Quanti Paesi possono dire altrettanto? Non solo nell’America Latina, nel mondo. Per esempio, noi abbiamo visto con i nostri occhi le strade di downtown a San Francisco pullulanti di homeless, abbiamo sentito Trump dire che vuole abolire il sistema sanitario pubblico che Obama solo pochi anni fa ha costruito tra mille fatiche ed ostacoli; ci siamo commossi per Prima che sia notte, il film che racconta la storia vera di Reinaldo Arenas, perseguitato a Cuba in quanto omosessuale e che, una volta raggiunta la terra della libertà, muore in miseria, solo e abbandonato, perché negli Stati Uniti per farsi curare bisogna avere i soldi; e al contrario abbiamo sorriso alla provocazione di Michael Moore che in Sicko portava dei pompieri ammalatisi in seguito agli attentati dell’11 settembre, e che negli Usa non sarebbero stati curati, a Cuba, dove avrebbero potuto essere curati gratuitamente. Abbiamo sentito anche del sostegno dato dagli Usa a molti degli innumerevoli tentativi di assassinare Castro e ai tentativi di invasione e di restaurazione, mentre sostenevano le dittature più sanguinarie, purché anticomuniste. E ci sembra di capire che molti degli errori del castrismo siano anche da addebitare per metà agli Usa, che, caduto Batista e il suo governo di gangster, colluso con gli yankee, prima hanno spinto Cuba tra le braccia scomode dell’Urss, poi hanno cercato di strangolarla, con la complicità degli altri Paesi del blocco occidentale, con un embargo micidiale, continuato pervicacemente anche dopo il crollo dell’Unione sovietica, quando Cuba non era più un avamposto nemico, ma un Paese in ginocchio, dove le macchine si fermavano nelle strade e nelle fabbriche, dove la gente nelle città coltivava le aiuole spartitraffico, dove non arrivava più la benzina ma neppure le medicine per i malati, e dove Castro chiamava tutto questo, eufemisticamente, periodo especial. Se una parte della popolazione non vedeva di buon occhio Castro, la mancanza di libertà, l’oppressione del controllo sociale, la propaganda pletorica e datata, era però altrettanto o forse di più orgogliosa della propria forza obbligatoria, della propria resistenza di fronte ad un nemico così ottuso e così smisuratamente più potente, della propria dignità. Gli Stati Uniti e i suoi vassalli con la loro ostilità hanno tenuto in vita il sistema cubano, dentro cui la popolazione ha messo una parte della propria anima - o quel che ne rimaneva tra privazioni materiali e dei propri diritti -, e in cui forse più ancora delle idee pure forti del socialismo contava l’orgoglio nazionalistico, la forza di essere diversi, la voglia di esseri migliori. Un orgoglio perfino beffardo, la generosità di essere un Paese che aveva magari gli scaffali delle farmacie vuote, e che eppure mandava i suoi medici dove c’era chi aveva bisogno d’aiuto, da Haiti al Kashmir pakistano sconvolto dal un terremoto da 75.000 morti nel 2005, e capace di offrire assistenza al peggior nemico di sempre, a chi lo avrebbe sempre voluto vedere morto di fame e di stenti, gli Stati Uniti dove New Orleans era stata devastata dall’uragano Katryna. Volevo concludere con una citazione di Fidel o del Che, quelle frasi che ora suonerebbero come slogan ma che nel momento in cui vennero pronunciate avevano il fascino irresistibile della necessità e dell’umanità; ma concludo invece con parole mie, per dire che se di sogni si tratta (e ogni sogno si specchia in un incubo chese ne fa beffe), forse il sogno cubano è stato in fondo più bello e più generoso dell’american dream.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Febbraio 2024
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