GHIACCIO di Anna KavanI was lost è la frase che apre il libro. E un paio di pagine dopo, dopo aver attraversato con il protagonista alla guida paesaggi oscuri e inquietanti, è perduto anche il lettore. E' uno strano e indecifrabile libro, Ice. Non ci sono certezze, nemmeno in copertina. Lo pubblica Fanucci, quindi dovrebbe essere un libro di fantascienza, ma forse non lo è. E' firmato Anna Kavan, ma l'autrice in realtà si chiamava Helen Woods. Ghiaccio è un libro apparentemente senza senso, o, considerato anche che la Kavan lo ha scritto un anno prima di morire e costituisce quindi il suo testamento letterario – la scrittrice prima di morire distrusse i suoi diari e i documenti personali -, è un libro che spinge il lettore a chiedersi quale senso abbia. E' un libro di fantascienza, perché ambientato in un non-presente apocalittico minacciato da una glaciazione planetaria. E' un fantasy, con paesi immaginari (mai precisati), boschi e montagne, e perfino una sorta di drago che sbuca dal mare per divorare vergini. E' una spy story, con un protagonista investito di missioni segrete e indecifrabili, che dissimula le proprie reali intenzioni e che si sposta attraverso le nazioni a bordo di automobili, camion, navi, elicotteri, aerei. E' un action, o un war book, o un apocalittico, visto che ci sono scene d'azione, sparatorie, descrizioni di rivolte, combattimenti, tumulti, scene di distruzione, oltre all'incombere continuo di una catastrofe universale. E' una storia d'amore e di ossessione, visto che dalla prima all'ultima pagina il protagonista vaga alla ricerca continuo di una ragazza che potrebbe essere in pericolo. Ma in qualsiasi genere si voglia - inutilmente e infruttuosamente - incasellare il romanzo, qualcosa stride e lo fa deragliare. Il protagonista non ha nome, difficile dire chi sia e da dove venga. Si mette in viaggio per cercare una ragazza un tempo amata, che lo ha respinto. La ragazza non ha nome, è quasi una bambina, diafana, fragile, dai capelli argentei. Ogni volta che il protagonista la raggiunge, lei lo respinge, si sottrae o viene sottratta, dalla morte o dall'antagonista. L'antagonista non ha nome. E' un governatore, un uomo di potere, dai modi freddi, brutali e autoritari, dagli occhi di ghiaccio. E' un violento, il rivale dell'eroe, eppure quando questi gli giunge al cospetto spesso si trova intimidito e affascinato e a volte prova la vertigine dell'identificazione, al punto da non riuscire quasi a distinguere tra se stesso e l'altro. Il protagonista infatti è un uomo d'azione, che indaga, viaggia, fugge, combatte, eppure di fronte all'antagonista ne è quasi l'opposto: tanto determinato, virile, potente il secondo quanto il primo è irresoluto, lamentoso, tormentato, incapace di conseguire il suo scopo. L'ambiguità è altrettanto profonda nel caratterizzare i rapporti tra l'eroe e la fanciulla in pericolo che dovrebbe salvare. Fin dall'inizio il protagonista, che parla in prima persona, rivela gli istinti sadici, violenti e distruttivi che si mescolano e a volte dominano i sentimenti amorosi e compassionevoli nei confronti della ragazza. Se nessun personaggio è scolpito a tutto tondo, la ragazza è tra i tre quello più inconsistente, dotata di una personalità e da una caratterizzazione debole, querula, indisponente. Più volte il protagonista la vedrà morire o già morta, uccisa dalla violenza umana o da quella degli elementi o dalla potenza onirica di sogni nefasti indistinguibili dalla realtà. Quella che governa il rapporto tra i tre protagonisti è solo una forma della violenza che permea il libro e il suo universo. Il mondo in cui agiscono è infatti sconvolto da guerre, rivolte, distruzioni. I paesaggi sono spesso quelle di fortezze militari o di città devastate, ridotte a cumuli di rovine, spesso sepolte dal ghiaccio e dalla neve, o ancora di paesaggi desolati, foreste oscure e impenetrabili, montagne inaccessibili, mari aridi e desolati. E tutto è reso ancora più brutale, più inospitale, più minaccioso dall'onnipresenza del ghiaccio, che sta invadendo tutta la terra condannandola alla morte totale. L'umanità si affanna spendendo in guerre e distruzioni gli ultimi giorni che le rimangono da vivere, prima di essere estinta come ogni altra forma vivente da una glaciazione inarrestabile. Tutto nel libro è bizzarro e grottesco, e viene davvero da chiedersi come una donna si sia potuta identificare in un uomo sadico e ossessionato, attratto da una donna-bambina senza personalità cui vuole infliggere sofferenze e che contende ad un uomo ancora più brutale con cui cerca un'impossibile identificazione. L'unico elemento che accomuna la donna che scrive e la donna dentro il libro è un'infanzia infelice caratterizzata dalle vessazioni materne e da rapporti con gli uomini mai soddisfacenti. L'andamento narrativo è ricorsivo e labirintico, basato sulla ripetizione di paesaggi e di situazioni e completamente privo di punti di riferimento. Il disorientamento in cui è indotto il lettore è tanto geografico che temporale (la vicenda sembra svolgersi in un'epoca contemporanea, ma a volte compaiono elementi che sembrano alludere ad epoche precedenti); ma anche tanto narrativo (la narrazione in prima persona a volte si perde a seguire avvenimenti cui il protagonista non può essere presente) che relativo allo statuto di realtà degli avvenimenti, perennemente oscillanti tra momenti semi-realistici e altri decisamente onirici (a cominciare da quelli che vedono rappresentata più volte e in forme e contesti differenti la morte della fanciulla). La Kavan scrive il libro nel 1967 – quando la lettera H poteva designare tanto l'eroina, come la chiamava confidenzialmente la scrittrice, quanto la bomba fine-del-mondo della Guerra Fredda -, cercando sollievo alla propria infelicità nell'uso delle droghe. Ghiaccio appare allora come un bad trip lisergico, o una serie ossessiva di bad trips psicoanalitici, in un'allucinazione continua senza vie d'uscita o di speranza. Il romanzo evoca senza citarli esplicitarli grandi classici della letteratura fantastica, come il Frankestein di Mary Shelley, che ambienta il finale in un paesaggio desolato di ghiacci disumani; o le visioni fantasmagoriche del Manoscritto trovato in una bottiglia di Edgar Allan Poe, in un viaggio senza ritorno verso il gelo letale del Polo; o il senso di incubo incombente dei racconti di H.P. Lovercraft; o infine il senso di claustrofobia e di angoscia, colmo di sensi di colpa, che pervade Il processo e gli altri capolavori di Kafka. Ma ancora, la scrittura virtuosistica (soprattutto nelle infinite varianti in cui descrive i suoi paesaggi glaciali e l'incombere implacabile della sua apocalisse polare) e cupamente psichedelica della Kavan ricorda alcuni esempi di cinema contemporaneo, come nel delirante Madre! o come in Sto pensando di finirla qui, con la sua coppia perduta nella tormenta di neve, in cui la narrazione esce dai binari del consueto per deragliare verso detournement onirici in cui realtà sempre più degradata e sogno sempre più angosciante si confondono inestricabilmente, per naufragare senza rimedio verso la rovina dell'io e dell'identità.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Febbraio 2024
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