Un caso clinico e uno studio di antropologia culturaleTrump times. Un paio di simpatici aneddoti dell’ultima settimana. Gli Usa affrontano il mondo all’Onu dopo che Trump ha dichiarato che Gerusalemme è la capitale d’Israele. Così, tanto per tenere il mondo sulla corda, per non farlo adagiare nella vana illusione che una conciliazione, magari in un futuro remoto, sia possibile. A favore nell’Assemblea votano in 9. Oltre a Usa e Israele, paesi, con rispetto parlando, non di primissimo piano sullo scacchiere internazionale come il Togo, la Micronesia, le Isole Marshall, Nauru, Palau. Contro, in 128, praticamente tutto il resto del mondo, tranne i 35 astenuti. Tra questi, per carità di (altrui) patria, ci sono alleati eterni e inossidabili come Australia e Canada che, stavolta, proprio non se la sono sentita. Non so se gli Stati Uniti abbiano mai subito in una sede analoga una disfatta tanto rovinosa e cocente. Nikky Haley, ambasciatrice statunitense all’Onu, non l’ha presa bene e ha minacciato 128 (o 163) Paesi, ammonendo che gli Usa ricorderanno i nomi (sarà una lunga lista da tenere a mente) di chi ha votato contro, mancando di rispetto, chissà perché ai gloriosi Stati Uniti. Proprio a loro, che sono tra i maggiori finanziatori dell’Onu. Della serie, chi paga decide. Gli altri dietro come cani a fiutare l’osso. Così ad occhio sembra una dimostrazione di come Trump non capisca un cazzo di diplomazia, né di politica internazionale, né di politica, né dell’animo umano. Pochi giorni prima, una notizia ancora più allarmante. Devo dire che questa è l’uscita dell’amministrazione post-Obama che più mi ha terrorizzato. Sicuramente ci sono decisioni più drammatiche, che mettono in gioco la vita e il destino di milioni di persone, ma qui mi sembra che a essere messa a rischio sia la salute e l’integrità mentale dell’umanità. Qualche giorno fa il Washington Post ha riportato che un rappresentante dell’amministrazione Trump ha comunicato ai membri del Centers for Disease Control and Prevention che alcuni termini non avrebbero potuto più essere usati nei documenti ufficiali. Sette parole, per la precisione (tanto per cominciare?): vulnerable, entitlement, diversity, transgender, fetus, evidence-based e scienca-based. E cioè vulnerabile, diritto, diversità, trangender, feto, basato sui fatti, basato sulla scienza. Confermato, smentito? Il WP in genere non scrive a vanvera e i precedenti ci sono già e sono clamorosi, come (lo riporta il New York Times) la rimozione delle notizie sul riscaldamento globale dal sito dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, o quelle sulle persone LGBT da quello della Sanità. Nella lista delle parole si legge l’ossessione bigotta e prevaricatrice della cosiddetta élite che ha sostenuto Trump, un’accozzaglia di creazionisti, sessisti, omofobi, dispregiatori non solo dei diversi ma anche semplicemente dei più deboli (vulnerable!). Chissà come faranno i ricercatori sulle malattie prenatali a farsi finanziare le ricerche senza mai nominare la parola “feto”. Dovranno rinunciare, oppure ingegnarsi a inventare qualche perifrasi. A quanto pare qualche generoso suggerimento governativo c’è già: al posto di “basato sulla scienza” ad esempio si dirà: “basato sulla scienza in considerazione degli standard e dei desideri della comunità”. Non più la scienza dunque. Meglio l’opinione comune, anche se becera o semplicemente profana e ignorante. Non più i fatti. Meglio le opinioni, le credenze, le notizie false che devono avere la stessa dignità delle notizie vere (beh, coerente: abbasso la diversità). Non so a voi, a me, così di primo acchito, mi sono venuti in mente lo stalinismo che cancellava le facce dalle foto e i nomi dai documenti, reinventando una storia fittizia e menzognera a proprio comodo e a uso e consumo delle masse, magari sperando che corrispondesse “agli standard e ai desideri della comunità”. O Galileo Galilei in ginocchio davanti agli Inquisitori - la scienza in ginocchio davanti al potere - che, per evitare la tortura, abiura e ammette che è il Sole a girare intorno alla Terra. Trump e i suoi non hanno neppure la scusante del potere della Chiesa e della religione, l’appoggio del buon senso che vedeva il sole muoversi intorno alla terra, le prove scientifiche (sbagliate) che supportavano l’evidenza fisica. Ma forse la regressione più che storica o infantile (non dire le parolacce!) o psichiatrica è antropologica. Non so se a voi sembri altrettanto grave, ma cancellare le parole vuol dire cancellare una parte di mondo. Per alcune popolazioni primitive i nomi dei defunti diventavano tabù, impronunciabili, costringendoli a faticose perifrasi per descrivere il mondo quando quei nomi contenevano riferimenti a cose o animali o luoghi. Dare un nome alle cose crea il mondo, lo definisce, lo trae dal caos dell’indistinto e gli dà un ordine intellegibile, costruisce le strutture del pensiero e del linguaggio con cui lo si esprime. Togliere il nome alle cose significa distruggerle, negarle, impoverire il mondo, il pensiero, il linguaggio. E’ spaventoso anche il solo pensarlo. La zoologia comparata ha dimostrato che perfino tra gli animali risultano più evoluti, comunicativi e innovativi quelli che hanno un vocabolario fonetico più ampio. Forse per capire la politica trumpiana più che un analista politico occorrerebbe un analista della psiche, un bravo terapeuta, o forse un antropologo capace di spiegare le strutture mentali dei primitivi. Stop al pensiero illuminista e razionale; stop a quel fesso di Darwin; stop a quei presuntuosi di scienziati; stop all’evidenza dei fatti, alle certezze della scienza e anche ai suoi dubbi e alla sua perpetua ricerca di verificabilità o di confutazione delle teorie. O forse Trump e i suoi pensano semplicemente che chi ha soldi e potere possa comprare tutto. I voti all’Onu, l’obbedienza ai propri capricci; le parole, il linguaggio, la ragione, il pensiero. I fatti, la scienza, la verità. Mi viene in mente un’altra immagine (dopodiché ho trovato in rete la vignetta che illustra questa pagina, e non ho resistito alla tentazione di usarla); non dice abbastanza, ma eccola qui: un piccolo grande dittatore che gioca a palla con il mappamondo del pianeta. Che rischia di scoppiargli tra le mani. Con noi sopra.
1 Commento
|
AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Febbraio 2024
Categorie
Tutti
|