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BLOG NOTES

IL GRANDE GIOCO DEL PAESE INVISIBILE

11/10/2018

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AFGHANISTAN: IL GRANDE GIOCO
di S
tephen Jeffreys, Ron Hutchinson, Joy Wilkinson, Lee Blessing, David Greig - regia di Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani - produzione Teatro dell'Elfo ed Emilia Romagna Teatro 

Foto
Ho completato la visione di Afghanistan con la seconda parte (in realtà la prima nella cronologia degli eventi storici raccontati), Il grande gioco, così da avere una visione complessiva sull'operazione.
Rimane valido quanto già scritto in occasione di Endurig Freedom: se forse qui il grado di coinvolgimento è un po' minore, per la minore urgenza e attualità dei temi trattati, Afghanistan rimane un grandioso e piuttosto inedito progetto di teatro storico, civile e didattico, al di fuori di qualsiasi tentazione didascalica o retorica.
The Great Game, muovendo dall'epoca delle guerre anglo-afghane per arrivare sino agli anni '90 del secolo scorso, con i governi filo-sovietici, concentra l'attenzione - come esplicita il titolo che riecheggia il Kipling di Kim - sui grandi giochi nei quali le grandi potenze mondiali si sono sfidate, usando l'aspro territorio afghano come una scacchiera sulla quale combattere guerre sanguinose.
Come in Enduring Freedom, a dominare (malgrado la pluralità degli sguardi e delle voci, ma legittimamente, visto il corso degli eventi storici) è il senso di scacco che accomuna sia le manovre più ciniche e imperialistiche che i tentativi di governare il Paese e gli eventi in un'ottica utopica di pacificazione, sviluppo e progresso.
In Trombe alle porte di Jalalabad (di Stephen Jeffreys) i soldati inglesi sperduti in una sorta di buzzatiano deserto dei tartari constatano il fallimento della politica di invasione britannica; nell'interessante La linea di Durand (di Ron Hutchinson, impreziosito da un ipnotico e affascinante gioco scenografico sulla trama cangiante dei tappeti orientali) si misura la differenza tra la mentalità occidentale (che definisce e confina - basata sull'idea degli stati nazionali e dei confini) e quella afghana (che contempla una realtà fluida e policentrica, basata su una concezione tribale della politica); Questo è il momento (di Joy Wilkinson) il re Anullah Kahn e la regina Soraya sono in fuga su un passo di montagna nevoso, dopo aver tentato invano di modernizzare il paese; in Legna per il fuoco (di Lee Blessing) la Cia si trova a dove riconoscere i rischi di una politica spregiudicata di aiuti militari a entità di cui essa stessa ignora identità, consistenza e pericolosità; e ancora in Minigonne di Kabul (di David Greig) - in cui si vedono fotografie di una Kabul istantaneamente e illusoriamente “liberata” - Najibullah, ultimo presidente della Repubblica democratica, rivive come in un sogno il fallimentare tentativo di modernizzazione ma anche la violenza dei metodi del proprio governo, che sta per essere spazzato via dall'ancora più violenta e oscurantista avanzata talebana.
Paradossalmente, un progetto intitolato a un luogo geografico si rivela ancora una volta ambientato per lo più in non-luoghi, anodini o di un'astrattezza a volte quasi metafisica: fortezze immerse nella notte e nel deserto, fantasmatici campi di addestramento militare, passi di montagna immersi a loro volta nel buio e nella neve, basi dei servizi segreti o compound militari sotto assedio.
Quasi a voler dimostrare, al di là dell'ovvia stilizzazione della dimensione teatrale, che l'Afghanistan, il paese povero, aspro e duro che ha resistito ai più grandi e potenti eserciti del mondo (britannico, sovietico, statunitense, ecc.), rimane invisibile, chiuso e inespugnabile anche alla visione e all'analisi intellettuale e culturale di un pur geniale progetto teatrale.


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LA DIFFICILE STORIA DELLA LIBERTA' DURATURA

10/25/2018

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AFGHANISTAN: ENDURING FREEDOM 
di Richard Bean, Ben Ockrent, Simon Stephens, Colin Teevan e Naomi Wallace - regia di 
Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani - produzione Teatro dell'Elfo ed Emilia Romagna Teatro 

Foto
Mi rendo conto che parlare di “affresco storico” suoni un po' abusato e forse retorico, ma raramente la definizione è stata altrettanto precisa e pregnante come nel caso del progetto Afghanistan prodotto dal Teatro dell'Elfo di Milano.
Il progetto iniziale appartiene al Trycicle Theatre di Londra, che ha affidato a dieci drammaturghi contemporanei il compito di scrivere un breve testo teatrale ispirato ad un pezzo della storia afghana, dalla metà dell'800 ai giorni nostri. Una grande scommessa quindi quella del Teatro dell'Elfo: produrre la versione italiana di un poderoso e composito dittico (The Big Game e Enduring Freedom, ognuno composto da cinque atti unici) non solo ispirato alla storia di un Paese lontano culturalmente e geograficamente e complessivamente poco conosciuto (benché da decenni alla ribalta delle cronache politico-militari), adottando il punto di vista di drammaturghi a loro volta stranieri, appartenenti ad un Paese incomparabilmente e da sempre più di noi coinvolto nel big game che si gioca sullo scacchiere orientale, anche nei suoi sviluppi più vicini nel tempo, e quindi molto più interessati e motivati a ripercorrerne la storia.
Io ho visto finora quella che cronologicamente è la seconda parte del dittico, Enduring Freedom, che racconta la storia del Paese dal ritiro dei Russi all'avvento dei Talebani e all'intervento militare occidentale, dal 1996 al 2010.
Anni (ancora una volta) cruciali, in cui alla fallimentare occupazione sovietica succede il predominio efferato dei Talebani e poi l'operazione dell'alleanza guidata dagli americani, che ha lasciato un Paese comunque lacerato e in perenne conflitto, con un equilibrio a dir poco instabile e una democrazia d'esportazione più di facciata che di sostanza (nelle recenti elezioni di ottobre si sono contati, nonostante lo schieramento di 70.000 poliziotti, decine – 400 secondo i Talebani – di attacchi, una decina di candidati assassinati, centinaia tra morti e feriti). Anni in cui sono ascese e tramontate le stelle feroci di Osama bin Laden e del Mullah Omar e in cui l'Occidente ha subito il più scioccante attentato della sua storia con l'attacco alle Torri gemelle.
Enduring Freedom è dunque propriamente un affresco storico, ma nel senso più nobile e meno retorico del termine. Si esce dallo spettacolo sapendone senz'altro di più di quando si è entrati, e con un sostanzioso pacchetto di temi di riflessione sul quale interrogarsi. Ma nello stesso tempo si è assistito al racconto di personaggi veri (alcuni realmente esistiti, altri d'invenzione), che, al di là di ogni intento nozionistico o finanche didattico, danno carne e sangue alla ricostruzione storica da una parte, ai dilemmi e alle contraddizioni del presente dall'altra.
Nessuno dei 175' minuti di uno spettacolo denso di storie e di informazioni, ma anche di emozioni e di pathos, induce alla noia o alla saturazione. Diplomatici, soldati, capi-guerriglia, boss del traffico di oppio, capi tribali, agenti delle ong, ragazzine, mogli, mediatori, guide, pubblicitari sono i personaggi di uno stratificato racconto per frammenti che restituisce una panoramica problematica non solo sulla storia afghana, ma anche sui rapporti tra Occidente e Oriente, tra mondi diversi e apparentemente incompatibili.
Benché ogni storia si svolga in diverse località e in differenti contesti, se un tema comune finisce per emergere è infatti proprio quello della difficoltà di comunicazione e di interazione tra mondi che hanno parametri di comportamento e valori completamente diversi e talvolta inconciliabili. La politica internazionale è portata a esercitare per sua stessa natura una certa misura di cinismo e di utilitarismo, più o meno ben occultata dietro proclami nobili su libertà, democrazia, emancipazione femminile, ecc. che nascondono gli obiettivi egemonici e i reali interessi economici e geopolitici. Ma in Enduring Freedom sono anche le organizzazioni umanitarie (quelle impegnate a elaborare tattiche di aiuto e di sopravvivenza sul campo, o quelle che decidono le strategie da uffici londinesi), così come perfino i soldati, con gli stivali affondati in sabbie ostili, a trovarsi in difficoltà nel trovare conciliazione tra gli intenti altruistici e umanitari e una realtà sfuggente e difficile, che mette di fronte a scarti tra visioni della vita e sistemi di valori troppo differenti per trovare punti di conciliazione che a loro volta non impongano compromessi estremamente gravosi dal punto di vista etico e perfino psicologico.
La differente idea di giustizia e di applicazione della pena (Il leone di Kabul di Colin Teevan), la condizione femminile e i costumi sessuali (Dalla parte degli angeli di Richard Bean e Come se quel freddo di Naomi Wallace), il pericoloso e miope strabismo delle strategie politiche e militari (Miele di Ben Ockert), la contraddizione tra gli ideali altruistici e la dura realtà della presenza militare sul campo (Volta stellata di Simo Stephens) sono alcuni dei temi affrontati in uno spettacolo avvincente che ci porta dalle stanze del potere allo zoo di Kabul, dagli studi londinesi ai paesaggi aridi e sabbiosi, fino allo spazio metafisico dell'ultimo capitolo.
Ferdinando Bruni e Elio De Capitani dirigono un nutrito gruppo di attori, molto convinti, che saltano da un ruolo all'altro nei vari segmenti, su un palco nudo e astratto in cui un doppio sistema di paratie bianche si trasforma caleidoscopiamente in scenari differenti grazie al suggestivo sistema di proiezioni amministrato da Francesco Frongia (suscita ancora brividi il moltiplicarsi delle immagini della tragedia dell'11 settembre su decine di monitor che rilanciano le terribili sequenze da prospettive differenti).
Se dovessi indicare dei punti più deboli nell'impianto, citerei qualche eccesso nei tagli di luce, e una chiusa con un episodio (il cui onirismo è preannunciato dalle voci alterate dei personaggi), Come se quel freddo, che cerca a tutti i costi il brivido esistenziale-metafisico; ma Afghanistan – Enduring Freedom è un eccellente esempio di teatro civile e contemporaneo, politico e problematico, didattico ma antiretorico, emozionante e coinvolgente; un'esperienza teatrale che mi sento di consigliare a tutti e incondizionatamente.

Gli spettacoli del progetto Afghanistan, The Big Game e Enduring Freedom, sono in scena al Teatro dell'Elfo-Puccini di Milano fino al 25 novembre, separatamente o in maratona a prezzo speciale (le domeniche tranne il 4 novembre).
​Date, orari e prezzi sul sito del Teatro dell'Elfo.

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    Mauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà.

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