ROMEO E GIULIETTA di William Shakespeare - Regia di Mario Martone - Produzione Piccolo Teatro di Milano Teatro d'EuropaMario Martone ha iniziato la sua carriera teatrale alla fine degli anni '70, quella cinematografica all'inizio degli anni '90: ha diretto opere teatrali (dai classici ai contemporanei), opere liriche, film, cortometraggi, documentari, riprese di opere teatrali; ha vinto Leoni e Nastri d'argento, Ciak e Globi d'oro, David di Donatello, e poi premi Ubu, La Ginestra, Ennio Flaiano. Esprimere dei dubbi sul suo operato può apparire (e forse lo è) azzardato, presuntuoso e ingeneroso. Soprattutto perché avviandomi all'uscita del Teatro Strehler dopo i calorosi applausi – con punte di entusiasmo dedicato ai protagonisti, molti dei quali giovanissimi, presumo da parte dei tanti ragazzi e ragazze, studenti e studentesse presenti in platea – che hanno salutato la ribalta finale di Romeo e Giulietta, non ho sentito che commenti ampiamente positivi. Quindi prendete questi miei per dei semplici dubbi, per quanto sinceri, espressi con il rispetto dovuto da parte di uno spettatore volonteroso e interessato, ma di dubbia competenza, relativamente ignorante e forse poco perspicace. Non si può iniziare a parlare dello spettacolo se non partendo dalla scenografia (firmata da Margherita Palli), sontuosa protagonista di tutta l'opera. Tutto l'enorme palco del Teatro Strehler e il suo immenso boccascena sono occupati da alberi giganteschi, estremamente realistici, grandi, contorti, ricoperti di muschio, con tronchi e rami secchi e altri coperti di foglie. All'apertura del sipario i primi personaggi compaiono appollaiati sui rami, come personaggi di un film di Tarzan. Tra un tronco e l'altro corrono passerelle e praticabili, mentre gli attori sono costretti a volte a vere acrobazie per salire e scendere dagli alberi e a volte devono essere imbragati per sicurezza. Il piano del calpestabile offre invece un paesaggio completamente diverso, tra un pavimento sporco da autofficina, pneumatici abbandonati, bidoni di latta arrugginita, una carcassa d'auto in un angolo. Il colpo d'occhio iniziale è indubbiamente suggestivo, e emozionante. Ma se ci si chiede il perché di questa ambientazione, metà natura lussureggiante (o meno), metà prosaica periferia urbana, e ancora di più il collegamento con il contenuto e l'ambientazione dell'opera originale, le risposte non arrivano immediate. Sembra quasi un allestimento da opera lirica (Martone ne ha fatto esperienza con diverse regie), dove spesso l'invenzione scenografica tende a trascendere e a volte soffocare l'opera stessa. Perché, se Romeo e Giulietta è dichiaratamente ambientata nelle strade e nei ricchi palazzi di Verona, o in una cripta, sembra invece di trovarsi a volte in West Side Story (peraltro chiaramente ispirato all'opera shakespeariana) e a volte in un film di Tarzan, e a volte in una curiosa sovrapposizione di immagini tra i due film? Perché la festa a casa dei ricchi Capuleti deve svolgersi in una giungla illuminata da festoni di luce che la fa assomigliare al giardino di un villaggio vacanze esotico? Perché il fondale si apre una sola volta, per l'inessenziale scena nella bottega dello speziale? Perché Giulietta deve distrarre l'attenzione da un proprio monologo essendo costretta ad armeggiare per infilare un'imbragatura da acrobata da circo? Verrebbe da dire che la scenografia rispecchia la duplicità adottata anche nel trattamento del testo. Martone mantiene in parte il linguaggio aulico e immaginifico di Shakespeare, in parte lo attualizza con una certa brutalità, avvicinandola ad un linguaggio colloquiale molto più contemporaneo. Il pubblico scoppia addirittura a ridere quando in mezzo alla solennità e al romanticismo, il padre di Giulietta la seppellisce sotto una valanga di epiteti decisamente triviali a suon di puttanella, zoccola, troia e così via. Non ho nulla contro l'attualizzazione dei classici (anzi), ma la compresenza tra i due registri linguistici mi è sembrata non abbastanza amalgamata, anzi addirittura stridente. Nel testo in scena, per descrivere il bando di Romeo si parla di Daspo, Fra Lorenzo cura il proprio giardino viaggiando su una mini car, nel finale la giungla-garage è invasa dai lampeggianti e dalle sirene delle macchine della polizia, mentre l'avvenuta tragedia viene raccontata con lo stile di un burocratico rapporto di polizia. Un'analoga disinvoltura è utilizzata nelle scelte musicali, che mescolano sacro e profano, aulico e triviale, passando dalla musica barocca alla techno del ballo a casa Capuleti, dal complessino rock all'incomprensibile presenza di canzoni da cabaret alla Cochi e Renato, o nazionalpopolari come la Felicità di Al Bano e Romina Power. Ancora una volta mi sfugge la necessità di simili scelte. Stesso doppio registro (o di più) per quanto riguarda la direzione degli attori. Giustamente e opportunamente, le parti dei protagonisti sono affidati ad attori adolescenti che hanno più o meno la stessa età dei personaggi dell'opera (l'attrice che qui interpreta Giulietta ha 15 anni, poco più dei 13 del suo personaggio). Ma complessivamente la recitazione sembra oscillare tra acerbità giovanili (qualche incespico è perdonabile), declamazioni auliche, naturalismo cabarettistico (come nel caso del padre di Giulietta) fino a sfiorare, per fortuna senza forzature eccessive, certa napoletanità, dalla guapperia giovanile agli atteggiamenti alla Sindaco del rione Sanità (il padre di Romeo), alla veracità popolana (la zia di Gilietta). Spero di non risultare sacrilego nel dire che a mio parere sarebbe perfino necessario ancora qualche ritocco registico per registrare al meglio il ritmo di uno spettacolo che peraltro dura tre ore senza intervallo. Tornando al punto dal quale eravamo partiti, la scenografia, devo dire che il rischio di staticità (i cambi di scena sono impossibili visti gli ingombri) è in parte scongiurato grazie a qualche accorgimento scenico: l'illuminazione alla festa dei Capuleti, i cieli proiettati sul fondale, che rendono le ore del giorno e della notte e le emozioni ad esse collegate, e il formidabile effetto dell'acquazzone che inonda il finale, proiettato su un invisibile telo calato davanti al boccascena e corredato di un effetto sonoro estremamente realistico.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Febbraio 2024
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