AMERICAN WIDOW di Alissa Torres e Sungyoon ChoiSpesso le graphic novel (soprattutto italiane, mi sembra) prendono spunto da vicende reali: vite di uomini e donne in qualche modo illustri, episodi di cronaca o di storia, controinformazione. I risultati sono ovviamente di qualità e riuscita differente: a volte si ha l’impressione che la scelta sia dettata da una sorta di pigrizia creativa (si trova un canovaccio già pronto e si deve cercare il modo per dargli un taglio narrativo e per trovare un modo possibilmente originale di illustrarlo), a volte la tematica è più sentita e dà luogo a opere di pregio. L’incontro tra racconto della realtà e l’esperienza autobiografica ha generato un capolavoro difficilmente eguagliabile come Palestina di Joe Sacco, una specie di opera capostipite da cui discendono vari epigoni come Il fotografo di Emmanuel Guibert, Didier Lefèvre, Frédéric Lemercier o Kobane Calling di Zerocalcare. In American Widow, come preannuncia il titolo stesso, la narratrice non è solo una testimone presente sul campo, ma una vittima. La novel racconta infatti di un anno della vita di Alissa Torres, newyorkese, sposata con un immigrato colombiano e incinta di sette mesi. L’11 settembre 2001 suo marito è al suo primo giorno di lavoro, in una ditta che l’ha appena assunto, e che ha sede in una delle Torri gemelle. Sarà tra quelli che non tornerà mai a casa. American Widow racconta quindi, concedendosi vari flashback sulla vita precedente di Alissa, di Eduardo, sul loro incontro e sulla storia d’amore, un anno della vita della donna, fino al settembre 2002. E’ un anno di lutto e di dolore, ma anche un viaggio grottesco attraverso le conseguenze di una delle tragedie più particolari, oltre che più iconiche e raccontate (qui trovate la mia recensione de L’uomo che cade di Don De Lillo, che pure rielabora il trauma dell’11 settembre) della storia recente. La vicenda segue quindi Alissa in un calvario diviso in tappe e stazioni, dai primi giorni tormentati dalla speranza di trovare Eduardo ancora in vita, alla conferma della sua morte, e poi attraverso un percorso che vede le manifestazioni di affetto e di solidarietà, ma anche di insofferenza e quasi di invidia per i benefici concessi ai parenti delle vittime, o addirittura di satira giornalistica sulle vedove; gli sforzi dello Stato e delle organizzazioni internazionali per garantire assistenza e aiuto ma anche gli intoppi burocratici, le lungaggini, le incomprensioni di operatori non sempre attenti alla sensibilità delle persone. Alcuni particolari sono strazianti, come le operazioni successive di recupero di brandelli dei corpi, con le relative inumazioni parcellizzate, altre volte grotteschi come la definizione degli algoritmi per la quantificazione del “valore economico” di ciascuna vittima ai fini dei risarcimenti o la curiosità morbosa dei media. Ma infine lasciamo Alissa alla ricerca di un nuovo equilibrio, non sola, ma con la consolazione del piccolo Joshua, nato nel tempo del lutto, e con la forza e il coraggio di raccontare la propria non facile storia. American Widow si impone quindi per la forza dei propri contenuti e per la naturale autorevolezza della voce narrante, che peraltro cerca di evitare i toni luttuosi fini a se stessi e le forzature drammatiche, limitandosi a un racconto cronachistico venato ovviamente di emozione e di malinconia. Decisamente meno riuscita mi sembra invece la realizzazione grafica affidata a Sungyoon Choi, coreana di origine ma newyorkese di adozione (collaboratrice anche del “New York Times”). La disegnatrice adotta un tono anch’esso antiretorico, con un disegno molto semplice e diverse soluzioni di impaginazione, ma sempre ispirate a uno stile piuttosto naïf, utilizzando il bianco e nero oltre al verde acqua per le ombreggiature (cui si aggiungono nel finale i colori della bandiera americana , di qualche fiore e di un paio di pagine fotografiche). Ma il segno grafico a mio parere rimane troppo approssimativo e poco incisivo, privo di necessità e di eleganza. Sarà una scelta voluta, ma quella parte di piacere che si prova guardando, oltre che leggendo, una graphic novel qui mi è stato negato. Probabilmente per una questione di (comprensibilissimo) pudore poi si è rinunciato a mettere in immagini una delle pagine (l’87, per la precisione) più forti e intense del libro, in cui Alissa racconta il proprio parto, dove si mescolano la sensazione di star dando la luce ad una nuova creatura, le reminiscenze sessuali legate al rapporto con il marito e la percezione schiacciante della sua assenza.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Febbraio 2024
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