MI CHIAMO ANDREA, FACCIO FUMETTI di Andrea Santonastaso, testo di Christian Poli, regia di Nicola Bonazzi, produzione Teatro dell'ArgineQualche giorno fa assistere allo spettacolo Mi chiamo Andrea, faccio fumetti al Teatro della Cooperativa di Milano mi ha dato l'occasione di ripensare alla peraltro mai dimenticata figura di Andrea Pazienza. In scena c'è Andrea Santonastaso, bolognese, attore ed ex-aspirante fumettista che da uno spunto autobiografico rielaborato drammaturgicamente da Christian Poli, rievoca la vita e l'opera di Andrea Pazienza, e parallelamente il proprio rapporto con quello che, nel passaggio dall'infanzia alla giovinezza (Andrea scopre prematuramente Pazienza all'età di 10 anni, troppo presto, sulle pagine di AlterAlter), diviene un mito, un modello, un idolo da adorare e imitare. Il racconto inizia con l'ingresso del giovanissimo Andrea Pazienza nella sede di Linus, con la cartella dei propri disegni da mostrare ai redattori, e sulla quale fa casualmente cadere l'occhio, emettendo un lapidario e fatale giudizio positivo, Hugo Pratt, di passaggio in redazione. E' l'inizio della fiammante parabola di Pazienza, che, dalla pubblicazione su AlterAlter de Le straordinarie avventure di Pentothal, diviene nel giro di pochi mesi una vera rock star del fumetto, un fenomeno inarrestabile che con la sua opera frammentaria ma folgorante cambia il modo di guardare al fumetto e conquista occhi, menti e cuori dei lettori. Incontro fatale, quello tra Pazienza e Pratt, forse i due massimi geni del fumetto italiano di sempre, ma segnati da personalità e destini agli antipodi l'uno dall'altro. Creatore di avventure di grande respiro narrativo il primo (da La ballata del mare salato a quella formidabile serie di gioielli in 20 pagine che sono le successive avventure di Corto Maltese) e di personaggi indimenticabili, in ambientazioni esotiche e romantiche; autore di racconti involuti e frattali il secondo, ambientati in genere nella provincia italiana (quando le sue storie vanno all'estero, in genere ci vanno per vacanza, come nel caso del reportage brasiliano), con una galleria di personaggi che sembrano, visti retrospettivamente, tutte facce dello stesso Pazienza, sfumature diverse della sua personalità sfaccettata, eccessiva, contraddittoria (così come lo è la sua opera, capace del più tenero umorismo come della crudeltà più feroce). Pentothal con le sue fantasie infantili e psichedeliche che devono fare i conti con la realtà del mondo adulto (i rapporti con l'altro sesso, la politica, i progetti per il futuro), con le sue incertezze e le sue esitazioni; Zanardi con il suo cinico scetticismo e una crudeltà quasi superomistica; Colasanti bello, cool e amorale; Petrilli, con il suo persistente senso di inadeguatezza e di rivalsa; Paz partigiano ingenuo e pasticcione al servizio del burbero Pertini; e infine Pompeo, il lucidamente disperato Pompeo che guarda con spassionata compassione (lo so, è un ossimoro) se stesso precipitare in uno spaventoso abisso senza ritorno: tutti sono Pazienza, solo e sempre Pazienza. La stessa evoluzione artistica li differenzia: Pratt passa dal segno graffiato degli inizi ad un disegno sempre più definito, corposo, elegante e morbido, fino a disfarlo nella liquidità delle sue ultime opere; Pazienza si evolve poco o nulla, perché già dal primo momento è capace di disegnare tutto in qualsiasi modo; la Natura con la sua chioma fronzuta si è presentata un giorno alla sua porta e gli ha portato in dono il disegno, permettendogli di cambiare stile vorticosamente a volte nella medesima lisergica tavola di un Pentothal. Santonaso ne ripercorre, andando avanti e indietro nel tempo, accompagnato dal sound che restituisce la temperie di quegli anni (Bowie, i Velvet Underground di Heroin, Tom Waits...), la vicenda umana e artistica, dall'infanzia in cui, figlio d'arte, rivela una precoce vocazione al disegno e al racconto, alla giovinezza allegra e scherzosa, all'approdo al Dams in una Bologna che intorno al '77 è attraversata da scariche elettriche di passione politica e di creatività artistica. La Traumfabrik dove Pazienza incontra Scozzari e i Gaznevada e Roberto Freak Antoni degli Skiantos; la Bologna di Radio Alice, delle fanzine, del femminismo, della sperimentazione e della libertà sessuale, del disordine, delle case occupate, della frenesia di fare e inventare linguaggi nuovi e nuovi costumi, dove circola contagioso il “microbo vergine” del dadaismo (Pazienza, Scozzati, Mattioli, Liberatore e Tamburini si ritraggono in un celebre disegno come i fondatori di Dada). E la droga. Santonaso racconta di nuovi dandy che giravano con la siringa infilata nel taschino della camicia, quasi come uno status symbol dei nuovi tempi. La droga con cui anche Pazienza entra in contatto, e che lo accompagnerà lungo tutta la sua storia, omaggiata nel nome del suo primo eroe e destino fatale del suo ultimo, raccontato ne Gli ultimi giorni di Pompeo. Quella che la spinge a raccontare almeno due volte la propria morte (oltre a Pompeo vi si allude anche ne Il segno di una resa invincibile) e a preconizzarne la data, sbagliando solo di una manciata d'anni. Di nuovo, nelle parole si legge la contraddizione di Pazienza, che alla ricerca di regole e di rigore pratica kendo (letteralmente, “l'arte della spada”) e nello stesso tempo cerca il disordine e l'entropia nelle “spade” velenose da iniettarsi nelle vene. In mezzo c'è lo spegnersi in anni plumbei della stagione bolognese, dalle cui ceneri si erge il genio malefico e nichilista di Zanardi, eroe atroce di una società incattivita; ma più o meno nello stesso tempo, nasce anche l'imbranato assistente di Pertini, il presidente partigiano, uno dei libri più spassosi che abbia mai letto, disegnato o no. Santonaso racconta con una passione autentica e un approfondimento non superficiale la vicenda di Pazienza, intrecciandola al proprio ritratto dell'artista da giovane. Dal colpo di fulmine in edicola, a dieci anni, dove il piccolo Andrea occhieggia una copertina di AlterAlter, dalla quale un volto femminile lo chiama come fosse un destino, al momento in cui, dieci anni e tanti disegni e tanti corsi di fumetto dopo, arriva finalmente di fronte al suo idolo, con la cartella dei lavori sotto il braccio, impacciato come il Pazienza che all'inizio del racconto entrava nella redazione di Linus. Darebbe tutto per avere una parola di incoraggiamento, un cenno di approvazione da parte del dio del fumetto (il giovane Santoanastaso non può saperlo, ma già vicino al proprio destino fatale). Eppure quella cartella, nel momento fatidico, non trova il coraggio di aprirla. La sua vita seguirà un altro corso: un laboratorio di teatro, qualche ruolo per iniziare, poi si apre la strada dell'attore. Una trentina d'anni dopo (tanto teatro, cabaret, cinema, televisione e radio dopo), sulle tavole di un palcoscenico, i due Andrea si rincontrano di nuovo: quello che non è sopravvissuto ai propri demoni e quello che dichiara di sentirsi “un fallito” per non essere riuscito a diventare come lui. Con un fisico allampanato e segaligno, tutto sommato abbastanza pazienziano (la prima immagine dello spettacolo è l'attore che assume la stessa postura di Pentothal sulla copertina dell'edizione 1982 della Milano Libri), Santoanastaso si fa in tre: non solo raccontando appunto con empatia la vita e l'opera, entrambe geniali e disordinate, del fumettista; non solo intrecciandovi la biografia della propria vocazione mancata, ma anche riproducendo suggestivamente su grandi pannelli a fondo palco, con mano sicura e rapidissima che attinge alla cartucciera dei pennarelli appesa su un fianco, le icone del mondo grafico di Pazienza. Disegni che vanno a integrarsi direttamente nella drammaturgia: Pentothal che dorme e sogna, il naso adunco di Zanna, il volto rotondo di Pertini, già vecchio anche da partigiano, quello sballato di Pippo, un Ezechiele lupo inseguito da un bidet zannuto, un Topolino che indica (troppo tardi probabilmente) la direzione opposta, un ragazzo accasciato che vorrebbe tornare bambino, il profilo tutto ombra di Pompeo. E Paz, col suo naso a patata, la sua “anima fatta a cazzo”, la sua bellezza giovanile che non invecchierà mai, la sua genialità con cui ancora una volta ci siamo trovati, divertiti e commossi, a fare i conti.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Aprile 2024
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