Dove diamo i nomi ai pesci e dove loro ci mordicchiano i polpacci; dove i cactus vanno al mare, dove Alessandra deve svuotare i bicchieri, dove le navi sono piene ma gli aerei no; dove incontriamo una strana mamma capace di portare due o tre bambini su un elefante e di abbandonarli ad una sconosciuta; e dove le notti sono davvero molto calde.22 luglio, giorno 12 LA PAZ – PLAYA DE PICHILINGUE – LA PAZ Prendiamo un bus per Pichilingue (per 10 $), dove c’è il porto per il ferry, e a piedi raggiungiamo la spiaggia omonima. E’ bella: sabbia chiara, acqua trasparente, bar ristorante sulla spiaggia con ombra e rinfreschi. Inauguro una serie di bellissimi bagni con la maschera. Vediamo un sacco di pesci, ai quali, per la nostra ignoranza, attribuiamo nomi di fantasia. Si chiamano, ad esempio, a seconda della forma e del colore: pesci tigre, pesci siringa, pesci istrice, pesci metrò, pesci senza nome, e così via; e inoltre conchiglie e granchi. Facciamo uno spuntino al bar della spiaggia con insalata di tonno. Come succede spesso da queste parti c’è una laguna interna, dove avvistiamo dei trampolieri. Salgo su una collinetta per fare una foto: il paesaggio è molto particolare e selvaggio, con il deserto che incombe e che si spinge con tanto di cactus quasi fino al mare. Altri bagni, poi ritorno col bus. Alla pensione facciamo conoscenza con una tipa strana. E’ italiana, ed è in giro con tre bambini neri, di età varie. Conversando con lei scopriamo che: 1) abita dietro il duomo di Cremona; 2) insegna; è una precaria: abilitata in inglese, laureata in francese, insegna spagnolo; 3) varie altre cose su cui si diffonde nelle seguenti giornate (vi ho rovinato la sorpresa anticipando che la rincontreremo?). Non scopriremo mai se esista un padre dei tre bambini (ammesso che lei sia la madre) e se sì dove si trovi (ora, ma anche quando lei portava i bimbi sull’elefante in Thailandia…). A quanto capiamo le sue vacanze, o viaggi, o avventure o disavventure, durano mesi e spaziano nei continenti. Siamo decisamente incuriositi. Cena a base di hamburger sul lungomare. Ma le notti sono caldissime, si dorme a fatica. 23 luglio, giorno 13 LA PAZ – PLAYA EL TESORO – LA PAZ Per prima cosa andiamo alla Sematur per prenotare il traghetto che attraversa il Golfo, ma ci rispondono che, a causa anche delle vacanze scolastiche, non c’è posto per una settimana intera! Ci precipitiamo quindi in un’agenzia di viaggio e cerchiamo un aereo che ci riporti sul continente. Per circa 500 $ prenotiamo un volo per il 26, e Alessandra sventa un tentativo di sabotaggio dell’impiegata che per errore sta va per farci volare a Mazatlan anziché Los Mochis. Abbiamo rinunciato a raggiungere Los Cabos (ovvero Cabo San Lucas e San Josè del Cabo), un po’ dando credito ai giudizi snob della guida Clup (e quasi sicuramente è un gigantesco errore che ci fa perdere forse la parte migliore della zona), un po’ perché il tempo è quello che è, e un po’ perché alla Baja California ci sembra di aver già dato una parte sufficiente di noi stessi. Sistemato il piano di esodo dalla Baja, possiamo rilassarci e prendercela comoda. Alessandra si beve il primo di una serie di licuados, una sorta di ricco frappè. Una signora glielo versa dal bicchierone dove l’ha appena preparato, ma non ci sta tutto nel bicchiere. Alessandra dice che va bene così, ma la tipa le impone autoritariamente “Tomalo”. Ale beve per svuotare un po’ il bicchiere, ma non è sufficiente. La signora non è soddisfatta finché Alessandra non ha bevuto per la seconda volta, e poi per la terza volta, in modo da poter svuotare tutto il contenitore del licuado nel suo bicchiere. I suoi autoritari “tomalo” diventeranno proverbiali. Una variante dei licuados sono le acuas, probabilmente meno sostanziose. Prendiamo un bus per Playa El Tesoro, che si rivela più piccola di Pichilingue, ma molto carina, con acqua bassissima e pesciolini che vengono a mordicchiarti amichevolmente i polpacci. Al ritorno passiamo dall’hotel da dove ci hanno detto parte un trasporto gratuito per Playa Tecolote e prendiamo accordi. Ceniamo su un ristorante sul mare: buono, ma il servizio è lento. Mangiamo sopa de tortillas e pescado relleno de mariscos. In hotel ritroviamo la cremonese che sta mangiando corn flakes al cioccolato insieme alla bambina più grande. Scopriamo quindi che: 1) è stata a Cabo San Lucas che le è piaciuta e ha deciso di trasferirsi lì per un mese, mandando a monte un complicatissimo piano di viaggio (Barranca del Cobre + Oaxaca per la fiesta + Caribe per il mare) che ci aveva esposto solo la sera prima! 2) trovata casa per 600 dollari al mese, ha abbandonato lì i bambini più piccoli ad una signora appena conosciuta. Le esperienze di viaggio precedenti (Mexico, Cuba, Puerto Rico, Venezuela) includono anche un viaggio in Thailandia dove a) il piccolo Quincey (nove mesi all’epoca) ha imparato a camminare sulla spiaggia di Koh Samui (il suo equilibrio motorio ne ha risentito un pochino); b) a Chiang Mai (ci siamo stati e sappiamo di cosa parla: le nostre esperienze più pertinenti sono le torrenziali piogge monsoniche e un giretto da pensionati su un elefante turistico) ha portato i tre figli, piccoli e/o piccolissimi su un elefante che saliva su una montagna: alla fine, pur riluttante, ha dovuto affidare Quincey al conduttore, poiché da sola non riusciva più a tenere tre bambini insieme. Siamo sotto shock, in compenso avremo un argomento di conversazione per settimane e un aneddoto da raccontare per anni. Le notti sono sempre eccessive: Alessandra decide di dormire sul pavimento, giusto sotto il ventilatore che spazza l’aria calda.
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Dove salutiamo la cremonese e dove facciamo i pr per l'escursione; dove la macchina fotografica smette di funzionare nel momento più eclatante delle nostre vacanze di tutti i tempi e dove facciamo il bagno più incredibile della nostra vita.24 luglio, giorno 14 LA PAZ – PLAYA TECOLOTE – ISLA ESPIRITU SANTU (LOS ISLOTES, PLAYA ENSENADA GRANDE) - LA PAZ Incontriamo la cremonese: è stata alla Sematur a prenotare il ritorno per settembre e sta partendo per San Lucas. Ci salutiamo e ci chiederemo per sempre dove sia finita, lei e i suoi sciagurati (o fortunati?) bambini. Quindi ci presentiamo all’hotel e un minibus ci porta effettivamente a Playa Tecolote, una spiaggia organizzata. Nella vetrina di un bar sulla spiaggia vediamo la pubblicità di un’escursione che a suo dire porterebbe in un posto dove si può fare il bagno insieme ai lobos marinos. Abbiamo i nostri dubbi, malgrado le fotografie messe lì a scopo dimostrativo, ma dopo esserci sistemati sotto una palapa non resistiamo alla curiosità e andiamo a parlare con gli organizzatori, che ci assicurano che è proprio così. Costa 200 $, ma non si parte se non si raggiunge un numero minimo. Siamo solo noi; ma decidiamo che un’occasione così non ci ricapiterà facilmente e così cominciamo a battere la spiaggia cercando di convincere indolenti messicani sprofondati nel proprio riposo ad unirsi a noi. Incredibilmente, la cosa funziona, convinciamo un padre di famiglia inizialmente riluttante e riusciamo a mettere insieme un gruppetto, con adulti e bambini. Torniamo quindi trionfanti dai barcaioli e partiamo su una lancia a motore provvista anche di una tenda per l’ombra. Costeggiamo la parte orientale dell'Isla Espiritu Santu, che si rivela piuttosto noiosa. Ma poi arriviamo a Los Islotes, scogli rocciosi all’estremità dell’isola. E’ un posto assolutamente deserto, desolato e selvaggio, senza costruzioni o esseri umani in vista. E qui succedono due cose memorabili, una brutta e una bella; rispettivamente: a) la macchina fotografica (una Voigtlander che mi ha affidato mio papà e che in vita da quattro anni più di me), che già a Loreto aveva preso una botta, decide di smettere di funzionare in uno dei momenti più eclatanti delle nostre vacanze di tutti i tempi e di tutti i paesi; b) facciamo la nuotata più incredibile della nostra vita. Il posto è pieno di foche e leoni marini, ma io sono talmente scioccato e depresso dalla rottura della macchina fotografica che non vorrei nemmeno scendere dalla barca. Per fortuna Alessandra mantiene il sangue freddo, mi chiede se sono scemo e mi ricorda quanto è poco probabile avere di nuovo un'occasione simile. Alla fine, sia pur riluttante, mi infilo maschera subacquea e giubbotto salvagente (ottimo: così posso guardarmi in giro con più spensieratezza senza temere di affogare), scendo dalla barca e raggiungo Alessandra che si era già avventurata da sola nell'acqua affollata di pachidermi. Guai a me se non l’avessi fatto. Il mare è pieno di pesci belli e colorati, i fondali sono suggestivi, ma soprattutto ci sono loro. Foche! Elefanti marini! Sono intorno a noi, davanti a noi, sotto di noi, in mare, sulle rocce. Sugli scogli le foche si spaparanzano a prendere il sole, a due bracciate da noi altre foche volteggiano, fanno le loro evoluzioni natatorie, si baciano; un enorme leone marino ci gira intorno, probabilmente per tenere d’occhio il suo harem: ci passa sotto, di fianco, riemerge sbuffando sonoramente ad un metro di distanza, ci punta con degli impressionanti vis-a-museau. Più volte una foca o un leone marino mi tocca i piedi passandomi di lato. Non so se avete presente quanto sono grossi questi animali; non ci è mai più capitato di trovarci in mezzo a degli animali selvatici di tale stazza e dimensioni, in una situazione totalmente naturale e selvaggia (sì, forse in Sudafrica, in mezzo ad una mandria di bufali – per fortuna talmente perplessi da dimenticarsi di essere pericolosissimi -, ma lì eravamo dietro la barriera di vetro e lamiera dell'abitacolo di un automobile). E’ un’esperienza esaltante e indimenticabile. Per quanto non fotografata... Dopo un po’ risaliamo a bordo della barca e costeggiamo lentamente gli scogli coperti di foche, adagiati sugli scogli come su delle mensole, e assistiamo a diverse scene di vita animale, come un gustoso sketch tra una foca e un granchio rosso. Riprovo sfiduciato la macchina fotografica, che con un sussulto d’orgoglio riesce ancora a sparare qualche ormai mediocre foto verso gli scogli. Quindi la lancia ci sbarca a Ensenada Grande, una bellissima spiaggia bianca con acqua di eccezionale limpidezza. Alessandra fa amicizia con una bambina a colpi di “holà”, avvistiamo uno scoiattolino, poi ritorniamo velocemente , costeggiando la costa ovest, ben più bella dell’altro lato. A Playa Tecolote ci riposiamo (dalle emozioni), e poi torniamo a La Paz con un minibus sovraffollato. Ceniamo in un ristorante sul lungomare, poi gelato (choco chips e uveta con pasas). Dove mangiamo cose prese dal mare, lasciamo il mare e la Baja California; dove Alessandra compie gli anni, viene assalita da una cucaracha gigante e sventa un secondo tentativo di sabotaggio; dove c'è l'empacador e gli svizzeri parlano di treni; dove compriamo una macchinetta e andiamo a dormire presto.25 luglio, giorno 15 LA PAZ – PLAYA PICHILINGUE – LA PAZ Di nuovo a Playa Pichilingue, dove proviamo l’altro bar, una palapa in legno col tetto di paglia. Se vi piacciono i frutti di mare tenete presente che su queste spiagge, una volta che avete ordinato, un signore parte, entra in acqua e ve li preleva direttamente, dal mare al vostro piatto. Facciamo gli ultimi bagni, poi per il resto del tragitto il mare contiamo di non vederlo più. Devo dire che la Baja California a questo punto cominciava a piacerci, e anche parecchio. Preleviamo, poi la sera ceniamo con crema de elote e gamberi al burro in un ristorante sul mare. In pensione prepariamo gli zaini e puntiamo la sveglia. Abbiamo preso accordi e avuto conferma che domani mattina verrà a prenderci il taxi numero ocho che ci porterà all’aeroporto per 70 $. 26 Luglio, giorno 16 La Paz – LOS MOCHIS Ci svegliamo che è ancora notte. E’ il compleanno di Alessandra, che, a dispetto della lieta ricorrenza, in bagno viene assalita ad una gamba da una cucaracha gigante e alata e scappa saltellando e gridando “Uh diu, uh diu!”. Probabilmente ci siamo svegliati troppo presto e a nostra volta abbiamo disturbato la privacy degli esseri che condividono con noi gli ambienti della pensione negli orari notturni. Il taxi alle 6 arriva davvero, facciamo un rapido check in aeroporto, sorvoliamo in 25 battibalenanti minuti il Golfo di California e atterriamo dall’altra parte. Prendiamo un colectivo sovrafollato verso il centro di Los Mochis: l’autista ci scarica all’Hotel Catavina riscuotendo un’adeguata propina. Facciamo un giro a Los Mochis, intanto che si libera e ci preparano la camera. Ne approfittiamo per prenotare il treno per l’indomani e Alessandra - di nuovo! - provvidenzialmente corregge l’impiegata che evidentemente fa parte di una congiura ordita per depistarci. Los Mochis è brutta, calda e piena di una vivace confusione, affollata di negozi e di mercati. Nei supermercati ad ogni cassa c’è un ragazzino minorenne: è l’empacador, addetto ad infilare gli acquisti nella borsa della spesa. Compriamo una macchinetta fotografica giusto per supplire alla defaillance dell’apparecchio ufficiale che si rifiuta di autoaggiustarsi. Tornati all’albergo scambiamo qualche parola con degli svizzeri di Neuchatel con argomento treno e facciamo una merenda a base di pane e Philadelphia. In hotel c’è l’aria condizionata, ma non gli asciugamani e la tv non funziona. Alla reception prenotiamo un taxi per domani mattina alle 5.15, altra levataccia. Quindi nel pomeriggio ci concediamo un riposino, poi in un vicino ristorante facciamo una cena con crema de elote, milanesa (sì, una cotoletta impanata, più o meno come la conosciamo noi!) flan e banana split. Los Mochis ha una sua vivacità anche notturna, con locali squallidi ma dove evidentemente si beve birra e si fa festa. Noi però andiamo a dormire presto vista l’ora di partenza di domani mattina; la notte è comunque agitata.
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