Dove il telefono squilla nella notte, dove passiamo dal deserto sul livello del mare alle pinete di montagna, dove si fanno chiacchiere da treno e si parla di incidenti ferroviari, dove vediamo un super canyon, prendiamo appuntamento con il vecchio cow-boy e rincontriamo Aleyda.27 luglio, giorno 17 Los Mochis – DIVISADERO (Barranca del Cobre) - CREEL Sogni, rumori, poi alle 4 suona il telefono. E’ la reception, che per motivi a noi imperscrutabili ci informa che sono le 4. Ne prendiamo atto. Alle 4.50 suona di nuovo il telefono. E’ la reception che ci avvisa che è arrivato il taxi che avevamo prenotato per le 5.15. Siamo un tantino contrariati, ma ci prepariamo e partiamo. Fuori è ancora notte. La stazione di Los Mochis è fuori città, a casa di Dio, in un posto squallido e pieno di zanzare nella mattinata non ancora iniziata. Arriva il segnale dell’imbarco. Il treno, della Ferrocaril Chepe, è più brutto di quello che ci aspettavamo e ieri abbiamo letto sulle prime pagine dei giornali che a causa della pioggia e dell’umidità c’è stato un incidente sulla linea dopo Creel (dove stiamo andando noi) con due morti e diversi feriti. Comunque si parte. Finora siamo andati sempre da nord (Los Angeles) verso sud (fino a La Paz), ma da La Paz a Los Mochis, e poi a Creel e a Chihuahua, invertiamo la direzione, risalendo in aereo, treno e bus in direzione nord-est. Si fa chiaro. Per un pezzo il paesaggio non ha nulla da dire, poi compaiono boschetti con in mezzo cactus che cercano di assumere un’aria disinvolta. Poi tutto si anima: prima colline, poi montagne con boschi, fiumi, laghi, ampie vallate, formazioni rocciose, ponti, gallerie. Alessandra ordina un platillo con sandwich e sandia (anguria). Ora viaggiamo in quota, in mezzo alle pinete della Sierra Madre; solo l’altro ieri eravamo tra l’oceano e il deserto. Il percorso è molto suggestivo; ogni tanto vado sui mezzanini, che non hanno vetri e da cui si possono scattare foto indisturbati. Chiacchieriamo a lungo in inglese, di Italia, Europa, Veracruz, vulcani, incidenti ferroviari, ecc., con Aleyda, una veracruzana sposata ad uno statunitense di origine italiana. Poi chiacchieriamo anche con un torinese che viaggia con un’ispanica e che è un veterano del turismo in Mexico; non ha trovato mezzi per raggiungere la Baja e ora ripiega su Creel, da dove ha intenzione di raggiungere il fondo del canyon. Raggiungiamo la fermata di Divisadero, dove ci fermiamo un quarto d’ora. E’ il punto panoramica più famoso e spettacolare sopra la Barranca del Cobre, a 2500 metri di altezza. La Barranca è un insieme di canyon, solcati da numerosi fiumi, con alcune grandi spaccature (profonde fino a 1500 metri) e un labirinto di canyon minori. Tra i panorami rivaleggia in ampiezza (è molto più grande) e in profondità (è più profondo) con il Grand Canyon (che vedremo tra una decina d’anni), ma i colori delle rocce dell’Arizona sono di gran lunga più suggestivi. La vista è spettacolare, ma il cielo si è annuvolato. Scatto qualche foto, poi si riparte. Dopo un paio d’ore di nuovo tra ponti e gallerie arriviamo a Creel. Direttamente alla stazione veniamo rapiti da un ragazzino in bicicletta che ci porta da Margarita, dove non c’è posto, e quindi da Berti, dove per 120$ prendiamo una camera da 4, grande e bella, con mobili in legno. Facciamo un giro per Creel, cercando informazioni sulle escursioni possibili, e prendiamo dei mezzi accordi con un vecchio cow-boy dotato di pulmino. Nel pomeriggio piove, e pare che qui lo faccia tutti i giorni. A cena di nuovo crema de elote, comida corrida, pollo, torta con gelatina scarlatta. Incontriamo Aleyda e suo marito Charlie, scopriamo che abitano a Judad Juarez, e facciamo una piacevole chiacchierata. Ci mangiamo un gelato, poi a dormire.
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Dove ci addentriamo nella terra del peyote e dei tarahumara (dove compriamo la bambola più brutta del mondo); dove vediamo cascate e laghi; dove il Messico si rivela essere piccolo e dove la bistecca del ranchero si mangia in brodo; dove ci imbarchiamo con le portoricane, ma il van si rompe, la campagna diventa hardcore e sui sedili si balla "Me gusta a ti".28 luglio, giorno 18 CREEL – CUSARARE – Lago di Arareco - CREEL Ci rechiamo in piazza, alla ricerca di una gita. Aspettiamo un po’ e ci guardiamo intorno, poi alla fine prendiamo un’escursione in minivan verso Cusarare (50$), insieme ad una famigliola messicana. A Cusarare, in un bell’ambiente alpestre, c’è una bella cascata, sulla quale papà e bimbetta della nostra gita si arrampicano come ragni fanatici. Siamo nella terra del peyote (i funghi allucinogeni) e dei tarahumara (indios di montagna visitati ai suoi tempi da quel pazzo di Artaud) e Alessandra compra una bambola fatta da loro. E’ scolpita molto rozzamente nel legno e ricoperta di abiti tipici. La regaleremo alla nipotina Anna, che ben lungi dall’apprezzare il bel gesto politicamente corretto e responsabilmente equosolidale (avrebbe preferito una Barbie?!) non la degnerà di uno sguardo (riguardandola oggettivamente, lontani dalla Sierra Madre, è francamente orrenda) e la abbandonerà a casa nostra con tacito disprezzo. Proseguiamo per la missione, poi raggiungiamo il lago Arareco. Da lontano, due ci salutano da una barca a remi; li guardiamo perplessi finché li riconosciamo: sono Aleyda e Charlie! Il Mexico è veramente piccolo. Visitiamo quindi delle caverne; mentre il papà parla con la ragazzina Gavina il piccolo Ramon mi si appende alla macchina fotografica. Torniamo a Creel, facciamo un riposino e lasciamo passare la pioggia pomeridiana. Poi facciamo una passeggiatina e andiamo a cenare. La bistek a la ranchera risulta inaspettatamente tutta tagliata a pezzettini e in brodo (sic); più prevedibile l’hamburgesa con su papas. 29 luglio, giorno 19 CREEL – LA BUFA - CREEL Di nuovo in piazza alla ricerca di un’altra gita, tra la “cooperativa” degli autisti. Quattro ragazze vanno alla Bufa (costa 140$) e decidiamo di aggregarci a loro. Però prima devono passare a prendere i bagagli, cambiare albergo, poi l’autista deve passare a prendere i soldi per la benzina, poi deve farla; insomma, la partenza si rivela piuttosto laboriosa e lungagginosa. Alla fine partiamo, poi ad un certo punto abbandoniamo la strada principale per affrontare decine di chilometri di strade sterrate. Ma ci sono avvisaglie che qualcosa non va, e l’autista fa la faccia preoccupata. Giustamente, infatti poco dopo il van si guasta e siamo costretti a fermarci. L’autista parte per andare a cercare aiuto nelle fattorie e qualcuno viene ad aiutarlo. Noi e le ragazze ci guardiamo in giro, in un piacevole paesaggio bucolico-montano. Ci sono cavalli, asini, muli, mucche, vitelli; contrariamente a quello che si potrebbe aspettare, l’ambiente è piuttosto animato: ci sono muli che scalciano con veemenza, e alcuni approcci tra asini assumono presto un carattere sessualmente spinto. Le ragazze, che sono delle vivaci portoricane, vanno in bagno, che sarebbe una baracchetta di legno in mezzo al prato, scansando le mucche, mentre noi facciamo la conoscenza dei bimbi Umberto e Lidia. Un signore, lavorando per terra, fabbrica letteralmente, sotto i nostri occhi, il pezzo che si è rotto e possiamo ripartire. Arriviamo alla Bufa, e la strada sprofonda paurosa giù per il canyon. Scendiamo per le foto, ma comincia a piovere. Sulla strada del ritorno fa comparsa la canzone tormentone della vacanza, “Me gusta a ti”, che le ragazze cantano con brio ballando sui sedili e puntandosi reciprocamente contro i ditini, con l’autoradio a tratti a tutto volume. I paesaggi sono molto belli e durante la giornata avvistiamo un paio di scoiattoli. Visitiamo il museo dell’artigianato e quello delle tradizioni tarahumara e acquistiamo un arco e un cestino. A cena, dalla cucina ogni tanto balenano bagliori inquietanti. Dove schiviamo gli incidenti ferroviari e giriamo un po' a vuoto; dove a casa di Pancho vediamo il cinturone e la pistola, il "catalogo" e un'auto crivellata; dove Alessandra viene ammirata e poi partiamo nel Futura.30 luglio, giorno 20 Creel - CHIHUAHUA Partiamo da Creel alla volta di Chihuahua con una Flecha Amarilla. Rincontriamo le portoricane, che ci dicono di un incidente sulla linea ferroviaria. Non sappiamo se si tratti di quello di cui avevamo già letto qualche giorno fa, o di uno nuovo; non ritroviamo riscontri. Parliamo anche con degli svizzeri, che si rivelano non particolarmente simpatici. Il bus è sporco. Arriviamo a Chihuahua, da dove pensiamo di ripartire la sera stessa. Ci portiamo verso il centro e mangiamo hamburger e quesadilla da Joe, che ci spiega la strada per arrivare alla casa di Pancho Villa. Purtroppo chiediamo altre indicazioni per la strada, ottenendo puntualmente più volte indicazioni diverse e perfino opposte alle precedenti. Avanti e indietro, cammina e cammina, alla fine arriviamo. Visitiamo la casa: alla testata del letto il cinturone con la pistola; nel cortile assolato l’auto in cui fu ucciso, crivellata di colpi come un colabrodo; appeso da qualche parte l’elenco delle sue donne, che sono decine e decine. Compriamo qualche cartolina con foto di guerilleros, ricordi di una rivoluzione popolare, romantica e cruenta. Facciamo un giro in centro, vediamo la cattedrale, mangiamo una raspada de limon. Alessandra parla con tre tipe che, al sentire che è italiana, sgranano gli occhi, continuano ad esclamare “que lata!” e “que bonito!” e strattonano un bimbo riottoso e distratto dicendogli “mira la señorita!” Mantenendo il nostro proposito, torniamo alla stazione dei bus, mangiamo dei panini, recuperiamo gli zaini dal deposito e alle 23 ripartiamo con un comodissimo bus Futura. E una volta addormentati si dorme. Dove visitiamo la città barocca, ci sono i clown al posto di 110 musicisti, prendiamo la teleferica insieme all'Emmanuelle Beart messicana; dove mangiamo bene nel labirinto e male al Mitcoan; e dove viene mantenuto il segreto sulla ricetta della sangrita e le strade risuonano di serenate.31 luglio, giorno 21 ZACATECAS Arriviamo a Zacatecas, prima perla della collana delle più belle città coloniali del nord. Prima di tutto cerchiamo un albergo. In un uno non ci fermiamo perché è troppo caro, ma sono talmente gentili da custodirci gli zaini mentre noi andiamo a cercarne un altro! Ci fermiamo all’Hotel de la Condesa: 110$, c’è tutto, anche se gli asciugamani sono un po’ in ritardo, e, dal secondo giorno, funzionerà pure l’ascensore. Riposino, visto che la notte l’abbiamo passata in bus. Nel pomeriggio visitiamo Zacatecas, che è bellissima e vanta alcune superbe chiese barocche (qui il barocco è plateresco, armonioso anche nei suoi eccessi più deliranti), come la cattedrale, San Agustin, San Domingo, ecc. La pietra delle costruzioni coloniali spesso ha un colore rosa carnoso. All’ufficio del turismo mi sembra di capire che davanti al Teatro Juarez si tiene un concerto con 110 elementi; troppi, e in effetti c’è solo uno spettacolo di clown. Chissà cos'ho capito. Andiamo a vedere il convento e l'ex-chiesa di San Francisco, scoperchiata. La cena a prezzo fisso da Mr Laberinto è ottima e prevede crema ai fiori di zucca, spaghetti, petto di pollo in salsa, bistecca alla portoghese e cocktail di frutta. Nelle piazzette e nei vicoli, la sera, risuonano musiche e canzoni: forse sono la callejoneadas, a metà tra serenate e concertini gratuiti. 1 agosto, giorno 22 ZACATECAS – GUADALUPE - ZACATECAS Al mattino prendiamo un bus che ci porta a Guadalupe, una cittadina adiacente a Zacatecas. Visitiamo la missione, una noiosa pinacoteca, un museo dei trasporti. Saliamo quindi da Zatecas con il teleferico. Purtroppo c’è un’ora di coda, per fortuna in coda c’è una ragazza da guardare, bella come un’Emmanuelle Beart messicana. Traversata, chiesa, ampio panorama, acquistiamo una collanina. Per cena torniamo da Mr Laberinto, dove ci siamo trovati molto bene, che però non ha più il menù: decidiamo allora di cambiare e andiamo al Mitcoan, dove io mangio malissimo, una bistek al tequila tanto piccante da dare i brividi. Abbiamo ordinato anche della sangria; il cameriere prima si dimentica, poi porta un beverone imbevibile. Gli chiediamo cos’è, lui insiste nel dire che è sangria, noi gli chiediamo con che cosa è fatta, lui prima non dice gli ingredienti, poi dice che è sangrita. La sangrita sul menù non c’è. Al momento di pagare ce la mette in conto, ma poi ce la toglie pur di non dirci com’era fatta. Per fortuna c’è anche un bel gruppo musicale, gli Olinka, con una brava cantante, un musicista simpatico e un buon repertorio. Bella serata, nonostante il menù. Compriamo una rosa di Zacatecas, fatta della pietra rosa che c’è qui. P.S.: oggi, a posteriori, possiamo dire risolto il mistero della sangrita e capire i motivi della nostra reazione: si prepara con tequila, succo di pomodoro, arancia e lime, cetriolo e sedano, sale, pepe e tabasco rosso. Dove viaggiamo tra i fichi d'india e vediamo un vulcano eruttare a Los Angeles; dove andiamo in un albergo ad ore, guardiamo bimbi che ballano e adulti che svengono; e dove andiamo alla cerimonia dei quinze e al concerto di (quasi) Liberace.2 agosto, giorno 23 Zacatecas – SAN LUIS POTOSI' Arrivare direttamente a Guanajuato, come avevamo pensato inizialmente, si rivela difficile. Decidiamo quindi di effettuare una tappa intermedia a San Luis Potosì. Lungo il percorso il paesaggio collinare è punteggiato da innumerevoli fichi d’india (tunas), e la strada costeggiata da innumerevoli bancarelle di fichi d’india. Sul bus danno “Volcano”, di Mick Jackson, con Tommy Lee Jones protagonista: quegli incorreggibili degli americani con tutti i guai che già si ritrovano si inventano pure un vulcano a Los Angeles pur di farci divertire un po’. Arriviamo, prendiamo un bus per il centro, ma una signora ci porta fuori strada. Entriamo in un albergo dall’aspetto dimesso ma la signorina nella squallida reception ci guarda e ci induce a desistere, spiegandoci che si tratta di un albergo “de paso”. Alessandra non capisce che si tratta di un albergo ad ore, e per un po’ insiste a dire alla signorina che noi “siamo de pasos”, si rivolge anche a me che cerco di portarla via, insistendo “ma noi SIAMO de pasos!”. Una volta trascinata via, spiego l'equivoco, peraltro spassoso, ad Alessandra e alla fine approdiamo all’Hotel Principal (80$), comunque brutto. L’ufficio del turismo è chiuso, come pure tutti i musei. Mangiamo hot-dog (perros calientes), visitiamo il centro e assistiamo ad uno spettacolo di danza di un gruppo infantil promosso da Sindacato unico de trabajadores al servicio del gubierno del Estado. Con tutto il rispetto per i bimbi e per i rispettivi genitori, per il sindacato unico e per le nobili tradizioni del Potosì, noi ci divertiamo tanto e dobbiamo frenarci per non scoppiare in risate che potrebbero essere offensive. I bambini ballano, sbagliano, nella danza con i fazzoletti si sbattono involontariamente i fazzoletti gli uni in faccia agli altri. Ovviamente sono compresissimi nella parte, e sono divertenti e teneri. Benché non ne abbia preso nota nei miei appunti, suppongo che sia qui che abbiamo assistito anche ad un balletto folkloristico con adulti, la cui particolarità era nella serie di svenimenti a ripetizione dei danzatori che cadono in diversi, uno dietro l'altro, come birilli, stroncati dal caldo, che vengono puntualmente portati fuori a braccia mentre gli altri continuano imperterriti, si fa per dire, la danza. Siamo nel pieno nell’altopiano, a quasi 2000 metri di altezza, ma il caldo è potente. E credo sia sempre qui che assistiamo ad una strana cerimonia in chiesa, dove c’è una specie di matrimonio in piena regola con fiori, amici e parenti, e con una ragazza giovane vestita da sposa, ma senza lo sposo. Incuriositi chiediamo ad una donna di cosa si tratta e lei ci dice che si tratta dei “quinze”. Capiremo poi che è festa e una sorta di rito di passaggio all’età adulta per le ragazze(allo scoccare appunto dei quindici anni), qui molto sentita. Alla Posada de Virny, sulla piazza principale, mangiamo filete de pescado al mojo de ajo e chuleta alla parilla. Paghiamo con la carta di credito, e un’autorevole cameriera si rivela abilissima nel farsi dare la mancia. San Luis è simpatica anche di sera, con parecchia musica in giro, nelle strade, nei bar (ci piacerebbe fermarci ma non troviamo posto) e in chiesa, dove si sta tenendo un concerto un po’ assurdo, con pianoforte a coda bianco alla Liberace, sovrabbondanza di basi registrate, consunti evergreen e pubblico consenziente e plaudente. In bagno una cucaracha, alla quale sconsigliamo di darci fastidio. Dove parliamo con un asino che non sa l'italiano, alloggiamo in un una bijou posada, si esibiscono mimi e mariachis, passeggiamo tra morti urlanti e nelle viscere della città, ceniamo da una gallina aristotelica, assistiamo a una serenata e ci baciamo per portarci fortuna.3 agosto, giorno 24 San Luis Potosì - GUANAJUATO Prendiamo un bus che da San Luis Potosì va a Guanajuato. All'inizio e alla fine del viaggio siamo praticamente i soli passeggeri dell'autobus, nei posti davanti con la vista migliore, il tavolino portabibite e la rosa acquistata a Zacatecas. Il tratto centrale è invece lentissimo, pieno di saliscendi di passeggeri e fermate esasperanti a ogni piè sospinto. Facciamo una sosta con merenda a base di fichi a Dolores Hidalgo, dove parliamo con Alberto, che lavora nel turismo a Merida; dice che l'italiano è facile; pur tuttavia lui non l'ha imparato perché è “un burro”. L'autista ha una brutta tosse, comunque ci porta a Guanajuato, lungo una strada che nel tratto finale si arrampica sulla sierra, stretta, tortuosa e panoramica. All'arrivo prendiamo un bus per Mercato Hidalgo e poi alloggio alla Posada Juarez, che Alessandra definisce “un bijiou”, forse riferendosi anche, con un pizzico di ironia, al fatto che avremo il pavimento del bagno allagato per sempre. Questo insieme all'arredamento spartano del bagno implica qualche difficoltà di gestione, e Alessandra mi invita con sarcasmo a passarle anche una palla da tenere in equilibrio sul naso mentre si destreggia. Nel pomeriggio facciamo un giro per Guanajuato, una delle più belle città coloniali, famosa per i tunnel che la attraversano nelle viscere della montagna e per le sue mummie. Al Jardin Union tutto insieme la banda ufficiale della città suona nel gazebo, i mariachi fanno una gara davanti ai tavolini dei bar e un mimo si esibisce davanti al teatro Juarez. Visitiamo il teatro storico; l'atmosfera della città è fantastica. Ceniamo in un ristorante sulla piazza: buon pollo ai funghi e una jarra de lemonada. Per finire una tequila reposada, ma ho qualche difficoltà a capire come la si beve. Ad un certo punto si spengono le luci. Black out; prima c'è un buio più o meno assoluto, poi arrivano i camerieri con le candele. Ce ne andiamo col buio, in un'atmosfera involontariamente romantica. 4 agosto, giorno 25 GUANAJUATO Facciamo una gita in minibus ($ 30). Io sono quasi seduto sul cruscotto, Alessandra in mezzo e poi in fondo, nella folla. La prima tappa è al famoso Museo delle mummie: il terreno di Guanajuato ha delle caratteristiche minerali che ha fatto sì che i corpi lì sepolti abbiano subito una sorta di imbalsamazione naturale. I messicani, nel loro rapporto confidenziale con la morte e con il loro peculiare gusto del macabro, hanno dissepolto i cadaveri e li hanno esposti in teche di vetro in questo museo. E' peggio di quanto mi aspettassi: ci sono cadaveri di tutte le età, adulti e bambini, con ancora i vestiti o i loro brindelli addosso, i capelli che penzolano dai crani mummificati. Il rilascio della mascella dopo la morte fa sì inoltre che la maggior parte abbia la bocca spalancata in un muto eterno grido di orrore e di disperazione. Alessandra vuole uscire al più presto possibile; i visitatori messicani invece si soffermano compiti davanti alle teche a contemplare le salme, forse con un vago senso di riconoscimento e di familiarità; ci sono donne incinte, famiglie con bambini; fuori all'ingresso del museo si vendono caramelle-mummia e caramelle-scheletro. Poi di nuovo in pulmino, su una strada panoramica. Ci scaricano in una tienda per venderci non so cosa; noi veniamo redarguiti perché invece scappiamo e andiamo a vedere di corsa la bellissima chiesa de La Valenciana. L'accompagnatore e l'autista, Julio, peraltro, sono antipaticissimi. Si continua nella visita della Guanajuato ctonia: nella subterranea (parte traforo, parte catacombe), poi nella vecchia miniera (dove Alessandra acquista un quarzo) e infine al Pipila, un punto panoramico. Dopo un riposino facciamo un giretto in centro. Guanajuato è una città dal fascino intenso e bizzarro. Ceniamo alla Gallina aristotelica (come resistere ad un'insegna così?), con un menù di quattro portate a $ 28. Per dessert gelatina e capirotada (una sorta di pudding di pane e frutta secca). Poi risaliamo col buio al Pipila. Ci imbattiamo giustamente in una callejoneada (sono bande musicali, in origini composte da studenti, che percorrono i callejon, cioè i vicoli di Guanajuato, cantando, suonando e raccontando storie; una tradizione storica cittadina che non potevamo esimerci dall'incontrare casualmente sulla nostra strada), i cui componenti ci danno indicazioni per la salita. Uno dei vicoli si chiama callejon del beso, e la tradizione prescrive in modo un po' pedante gli anni di fortuna/sfortuna che aspettano quelli che si baciano/non si baciano qui. Tradizione comunque positivamente rispettata: il sentiero che sale alla Pipila è costellato di coppie di innamorati abbracciati. Non resta che adeguarci. Dove incrociamo Don Quijote e completiamo le visite a Frida Khalo e Diego Rivera; dove passiamo per la città delle fragole, visitiamo la città coloniale e sfidiamo la sorte mangiando budini da strada.5 agosto, giorno 26 GUANAJUATO - QUERETARO La mattina altro giro in centro. Visitiamo il monumento e il museo iconografico di Don Quijote (che raccoglie la più grande collezione al mondo di dipinti, sculture, ceramiche, incisioni, libri dedicati al cavaliere della Mancha) e il museo dedicato a Diego Rivera, ospitato nella sua casa natale. L'anno scorso avevamo visitato la splendida casa di Frida Khalo a Coyoacan, a Città del Messico, e quindi il nostro dovere verso la male assortita coppia di artisti più romanzeschi e visionari della storia del Messico può ben dirsi adempiuto. Partiamo per Queretaro alle 14. Lungo la strada si allineano bancarelle di fragole (Irapuato si proclama ciudad de las fresas), ma il paesaggio è complessivamente poco interessante. All'arrivo prendiamo un taxi a tariffa convenzionata ($ 12) per il centro. Chiediamo una stanza al Plaza, ma non c'è posto; la signora però ci mette al telefono, chiama altri alberghi e ci trova posto all'Hidalgo: è un bell'albergo, centrale, in un bell'edificio con patio interno, in cui abbiamo una camera grande e con balcone ($ 95 con tv). Rimane tempo per un giretto in centro, poi a cena da Los Compadres. In piazza, forse a voler ben guardare sarebbe meglio evitare per prudenza sanitaria, mangiamo alle bancarelle gelatina e budino con rompope (una sorta di vov con tuorli d'uovo, vaniglia, cannella, mandorle, latte, zucchero e alcol). 6 agosto, giorno 27 QUERETARO Facciamo colazione in hotel, poi ci dedichiamo alla visita della città, con il bel centro storico e le chiese coloniali. Ci concediamo una siesta pomeridiana, poi riprendiamo la visita: Santa Rosa di Viterbo (dedicata alla santa italiana), los arcos (l'acquedotto sopraelevato, di cui restano oggi una settantina di arcate, simile ai nostri acquedotti romani), e Santa Cruz, con una visita guidata. Torniamo in centro e ceniamo alla Fonda El rifugio: mangiamo filetto al pepe (come consigliato dalla guida Clup) e jamon serrano. Tutto buono. Poi, ormai siamo lanciati, flan in piazza. Dove visitiamo chiese e mostre, dove incrociamo il figlioccio americano di Rivera e un cameriere alla Hollywwod Party e dove guardiamo Giove e le sue lune.7 agosto, giorno 28 Queretaro – SAN MIGUEL DE ALLENDE - QUERETARO Prendiamo il bus per San Miguel Allende. La città è carina, ma ci sono molti lavori in corso e troviamo i ristoranti molto cari. Mangiamo un sandwich in una cafeteria. Visitiamo le chiese, tra cui la Parroquia, di un post-gotico interpretato alla messicana, simile a un castello di sabbia con pinnacoli, una mostra al Museo Allende, ecc. Minaccia temporale, le prime gocce cadono come frustate. Fuggiamo senza vedere senza vedere come si evolverà la situazione. Tornati a Queretaro, ci ripresentiamo al Refugio, con alcune spiacevoli sorprese: il menù non è disponibile, i prezzi sono aumentati, il servizio rallentato, il conto oscuro. Mangiamo spaghetti Alfredo e filetto Roquefort. Il cameriere è un tipo: gira con la camicia sbrindellata fuori dai pantaloni, finisce la Coca avanzata dai clienti nei bicchieri, e rabbocca le ciotole del pop corn con quello che si è sparpagliato sul tavolo. Nel patio barocco dell'Università partecipiamo all'inaugurazione della mostra di Pablo O'Higgins (un americano di origine irlandese che divenne assistente di Diego Rivera - che l'avrebbe voluto come figlio -, si impegnò nelle lotte politiche e sociali del Messico e fuggì poi in Russia insieme a Tina Modotti) e bevo vino bianco freddo. Visitiamo un bellissimo teatrino in un cortile e mangiamo un gelato al pay de lemon. In piazza, per $ 3, compriamo la visione di un pezzo di cielo. Al telescopio guardiamo Giove e le sue lune, poi andiamo a dormire. Dove Jalisco non perde mai ma a Città del Messico c'è lo smog; dove andiamo nella piazza dei mariachi, nella piazza degli scrivani e nella piazza degli arcobaleni; dove andiamo nell'albergo di Lawrence e in un bar alla Lowry, e dove al Café Popular chiudiamo alcuni cerchi: con il viaggio dell'anno scorso, e con un incontro improbabilissimo...8 agosto, giorno 29 Queretaro – CIUDAD DE MEXICO Ci facciamo portare in taxi alla central camionera. Faccio una telefonata a casa, ed è la fregatura della vacanza: la telefonata mi costa $ 72! quasi come una notte in albergo. Prendiamo un bus della Primera Plus. A bordo danno un film messicano assurdo, con un eroe mariachi e un titolo impagabile (“Jalisco non pierde nunca”). Arriviamo a Mexico immersa in una caligine allucinante. Depositiamo i bagagli alla stazione ($23 per 24h) e prendiamo la metro per il centro ($ 1,5). Ci sistemiamo all'Hotel Montecarlo: secondo la Clup ci ha dormito anche Lawrence. Siamo a Ciudad Mexico, a distanza di circa tredici mesi dalla nostra prima visita. Facciamo un giro per il centro, cominciando dallo Zocalo, poi in Plaza San Domingo (dove ci sono gli stampatori e sotto i portici i dattilografi al servizio del pubblico) e in Plaza Garibaldi, spettacolare punto di riunione dei mariachi, dove per tutta l'estensione della piazza si raggruppano decine e decine di bande di mariachi in costume da mariachi. Tentiamo di raggiungere Plaza Tres Culturas in metro, ma poi ci rinunciamo: troppo caldo, troppa stanchezza, troppi cambi, troppa folla. Ci riposiamo invece un po' all'Alameda, dove aggiorno il diario, guardiamo gli arcobaleni sull'acqua della fontana e ci rinfreschiamo la gola con un gelato alla piña colada. C'è un temporale in arrivo. Prendiamo un aperitivo sulla terrazza al settimo piano dell'Hotel Majestic, margarita e naranjada, mentre sulla città comincia a scendere la pioggia. Vicino a noi, una coppia in crisi come nei romanzi di Bowles o di Lowry: lei fa cadere tutto, barcolla, le bibite schizzano sullo specchio. A cena, per uno strano sentimentalismo, forse perché ci piace il nome, torniamo al Cafè Popular, dalla mitica aria dimessa, e alcuni cerchi si chiudono: abbiamo cenato qui il 14 luglio dell'anno scorso, all'inizio della nostra prima campagna messicana, e nel locale, nel modo più improbabile, incontriamo una delle ragazze portoricane che in macchina con noi cantava a squarciagola “me gusta a ti!”, a distanza di migliaia di chilometri da Creel, dove ci siamo conosciuti, e in mezzo a una megalopoli di 20 milioni di persone. Ci stupiamo e ci rallegriamo reciprocamente dell'improbabile incontro; chiacchieriamo: lei vive qui a Mexico City, dove studia arte. Mangiamo messicano, e popular: un consommè di pollo con uovo, sopa azteca, ecc., e per finire, una doverosa porzione di platanos fritos con crema... |
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