0. Tempo di bilanci Siamo oltre Ferragosto, anche le arene estive si apprestano a sbaraccare, e la stagione cinematografica 2018/19 è ormai pronta a entrare negli archivi. Ecco il mio bilancio. Io ho visto un'ottantina di film della stagione, quasi tutti al cinema (qualcuno su Netflix), oltre ad una dozzina (in festival e rassegne) di inediti. Ovviamente non ho visto tutto, e sono ben lungi dall'aver visto gran parte, o per lo meno tutto il più interessante; ma credo abbastanza per avere un'idea complessiva della stagione. Penso di non avere molte preclusioni, ma in genere in realtà non vado a vedere i film di supereroi, gli horror, le commedie per il pubblico femminile, i film per adolescenti, le commedie italiane paratelevisive, ecc. Mi manca anche qualche film di autori che amo o amavo, come gli ultimi di Lars von Trier o di Jim Jarmusch, la cui visione ho procrastinato una volta lette le recensioni e le reazioni che hanno suscitato. Verrà il loro tempo, comunque questo è il motivo per cui non compaiono in nessuna delle seguenti categorie. 1. I film-specchio Ci sono alcuni film, a volte usciti a poca o pochissima distanza di tempo l'uno dall'altro, che nella stagione sembrano rimare tra loro. A volte solo apparentemente. Ride e Ride hanno lo stesso titolo, ma uno, quello di Rondinelli, si legge all'inglese, l'altro, di Mastandrea al suo debutto nella regia, all'italiana. E infatti: i due film si trovano agli antipodi l'uno dell'altro: tanto il primo è frenetico, tutto azione e montaggio forsennato, descrivibile solo con una sfilza di termini anglosassoni (action, mistery, lost, downhill, body cam, you tube, videoclip, ecc.), quanto l'altro è fatto di pause, di silenzi, di inespresso, di sottotoni. Il primo frastorna senza trovare un senso, il secondo rischia di farci sprofondare nell'atarassia della sua protagonista in lutto. Ride di Rondinelli rima anche con un altro film della stagione, per il modo in cui entrambi sfidano il linguaggio cinematografico con il modo di vedere, e di raccontare, delle nuove tecnologie: il secondo è Searching, di produzione statunitense (con protagonista di origine coreana), tutto girato come se la mdp riprendesse le schermate di un pc, tra app, finestre, schermate multiskating, videochiamate, notiziari on line, ecc. Un modo per riflettere su quanto poco conosciamo le persone che ci stanno più vicine, ma anche sulla pervasività nelle nostre vite delle nuove tecnologie e su quanto esse si stiano trasformando in un'autorappresentazione ad uso dei social media. L'esordio di Mastandrea può fare il paio anche con il film della Golino (al secondo lungometraggio), due attori italiani che si cimentano con la regia mettendo in scena rispettivamente lutto e malattia, cercando di giocare su toni tra dramma e commedia. Risultati non esaltanti, meglio comunque Euforia di Ride, ma entrambi i registi potrebbero maturare ulteriormente. Il cinema sudamericano d'autore invece sembra ripiegarsi a rileggere temi da telenovela. Segreti e rilevazioni, amori e odii famigliari, tradimenti, cambi d'identità, perdite e agnizioni. Due sorelle – che si ritrovano – sono al centro de Il segreto di una famiglia, un passo falso nella filmografia dell'altrove ottimo regista argentino Pablo Trapero; due sorelle – che si perdono – sono al centro del brasiliano La vita invisibile di Isabel Gusmao, tecnicamente non di questa stagione ma che uscirà a giorni. Ancora famiglie problematiche in due film americani usciti da noi a pochi giorni di distanza l'uno dall'altro (e accomunati anche dall'avere le parole dei rispettivi titolo che iniziano tutte con la lettera B...). Genitori coraggiosi in lotta per salvare i giovani figli maschi tossicodipendenti: una è Julia Roberts, madre coraggio in Ben Is Back; l'altro è Steve Carell padre portato allo sfinimento dal suo Beautiful Boy. Film sentiti dai rispettivi registi, a volte con elementi autobiografici, retti dalla forza delle interpretazioni. I giovani sono Hedges e Chalamet. Ancora a pochi giorni di distanza escono in Italia due film che trattano della questione israelo-palestinese e dell'impossibilità, nel suo contesto, di tenere separata la vita privata da quella pubblica e da una dimensione politica onnipervasiva. Uno in chiave di commedia, Tutti pazzi a Tel Aviv, l'altro di dramma, Sarah e Saleem. Il primo ha uno spunto brillante, ma lo svolgimento non lo è altrettanto; il secondo è decisamente migliore, con uno sviluppo narrativo a cerchi nell'acqua che ricorda il cinema dell'israeliano Fahradi. Da vedere. Si sono scontrati direttamente anche i due biopic su due delle star del rock britannico più famose e idolatrate, Bohemian Rapsody e Rocketman. Sviluppo narrativo a tappe comuni, nella descrizione della dura ed esaltante strada verso il successo, e anche nella scoperta della relativa omosessualità. Del resto Dexter Fletcher, regista di RM, ha lavorato anche al completamento di BR dopo l'abbandono di Bryan Singer. Io ho preferito il film su Elton John (più libero, più musical, più inventivo) a quello su Freddy Mercury, ma ammetto che questo l'ho visto in un momento in cui ero un po' distratto da problemi personali. Da citare lo sforzo mimetico dei due interpreti, Rami Malek per Freddy e Taron Egerton, che ricanta di persona le celebri hit, per Elton. Doppio adattamento da Ian McEwan, che continua ad essere corteggiato dal cinema anche per le sue opere meno cinematografiche. Escono quasi contemporaneamente Chesil Beach, alla cui sceneggiatura ha collaborato lo stesso scrittore, e Il verdetto (da La ballata di Adam Henry). Non imperdibili; debole il primo, meglio il secondo, anche e soprattutto grazie alla presenza di Emma Thompson. Un altro accoppiamento un po' arbitrario: mi è capitato di vedere a pochi giorni di distanza Lontano da qui e La donna elettrica: qui ad accomunare i due film ci sono le protagoniste femminili, che adottano “a fin di bene” strategie decisamente eccessive: una rapisce un bambino piccolo per tutelarne la vena poetica, l'altra mette in atto perniciosi sabotaggi per combattere lo snaturamento industriale delle vergini terre islandesi. Discutibili. La stagione 19/20 a sua volta si apre a settembre con altri due film-specchio: Yesterday e Blinded By the Light, dove ragazzi di origine asiatica vivono nel segno del pop-rock occidentale: sotto il segno dei Beatles e di Bruce Springsteen. Trovate le recensioni, come quelle della quasi totalità dei film citati in questo e nei prossimi articoli, su Into the Wonderland (v. colonna a lato). Vai alla seconda parte: le delusioni d'autore e da Oscar e i peggiori film della stagione o alla terza parte: le conferme d'autore e i film da vedere o alla quarta parte: il poker d'assi dei migliori
0 Commenti
LA STAGIONE CINEMATOGRAFICA 18/19, SECONDA PARTE: DELUSIONI D'AUTORE E DA OSCAR. E I PEGGIORI8/21/2019 3. Delusioni d'autore Non sono poche. Gus van Sant con Don't Worry, biografia di un vignettista politicamente scorretto, alcolista e paraplegico, fa un film singolarmente poco ispirato; Laurent Cantet oscilla tra dramma psicologico alla francese, thriller e dimensione sociopolitica, ma ci fa solo perdere tempo con L'atelier; Laszlo Nemes (che aveva fatto gridare al capolavoro molti con Il figlio di Saul, racconto sull'irrapresentabilità dell'Olocausto) scivola nel manierismo con Sunset; Costanzo morde il freno con L'amica geniale, stretto tra letteratura, televisione e teatro; Virzì mescola autobiografia, satira dell'ambiente cinematografico, racconto di formazione, giallo e commedia in Notti magiche, film che si è palesemente divertito più lui a fare che noi a vedere; lo stesso dicasi per Robert Zemeckis: interessante dal punto di vista metalinguistico, il suo Benvenuti a Marwen sembra a volte un gioco un po' onanistico e fine a se stesso. Luchetti rende trascurabili i suoi Momenti di trascurabile felicità; l'iraniano Panahi, condannato a non girare più film, e di conseguenza molto coccolato dal mondo del cinema, propone un nuovo apologo con Tre volti, ma sinceramente ha fatto di meglio. Visivamente sempre smagliante, ma comunque deludente il Cold War di Pawlikowski, che viene dopo un autentico capolavoro come Ida. Il messicamo Ruizpalacios, dopo Gueros, con Museo continua a girare in tondo (forse sulle tracce di Bolano) e fa girare in tondo i personaggi e noi spettatori. Sbagliano tutti, probabilmente per poco amore, l'accostamento al cinema di genere Guadagnino, McQueen e Audiard. Clamorosamente il primo, con un inutile, stucchevole e assolutamente non spaventoso remake di Suspiria, classico dello spaghetti-horror firmato da Dario Argento; moderatamente il secondo, con Widows, un crime al femminile levigato ma piuttosto inutile; più dignitosamente il terzo, con una rilettura molta più interessata ai personaggi e alle loro dinamiche psicologiche e psicoanalitiche che al genere western, con I fratelli Sisters. 4. Delusioni da Oscar Mi hanno deluso anche diversi film candidati agli Oscar. Ho trovato bolso e ben poco interessante Copia originale, piuttosto loffio A Star Is Born malgrado l'afflato divistico di Lady Gaga e la presenza carismatica (anche dietro la mdp) di Bradley Cooper, sinceramente “una boiata pazzesca” Black Panther, afroamericanizzazione interessata ma non interessante del cinema di supereroi. Discorso a parte per Green Book, forse uno dei film più sopravvalutati dell'anno. La strana coppia in viaggio, i caratteri opposti che poi finiscono per avvicinarsi, il bianco e nero che imparano a riconoscere ed apprezzare le rispettive differenze. Tutto legittimo, ma anche tutto scontato. Antirazzismo color pastello, che evita il disturbo di confrontarsi (come fa Spike Lee, pur con un film ambientato negli anni '70) con l'oggi. 5. I peggiori E' un paragrafo che forse avrei potuto risparmiarmi, per evitare di infierire, ma tant'è. Non credo che un articolo su Into the Wonderland possa fare del male a qualcuno. Il film italiano che più mi ha spazientito è Ride di Rondinelli, di cui ho già parlato in un paragrafo precedente. Ho smesso di credere che il film potesse avere un senso dopo i primissimi minuti, e il non ricevere mai, per tutta la durata, un solo motivo per cambiare idea ha reso la visione un'insofferente sofferenza, per dirla con un gioco di parole. Il peggior film europeo, o meglio, quello che più mi ha irritato, è stato il francese Un figlio all'improvviso. Anche qui stesso discorso. Dalla scena del palesamento del sedicente figlio al supermarket in poi, è tutto un disastro che non fa che peggiorare via via. A volte dovrei uscire dal cinema. Non so perché non lo faccio. Spero sempre che la prima impressione possa essere sbagliata, anche se in cuor mio so già che non sarà così. Il peggior film americano? Come ho detto non amo i film di supereroi; ho guardato Black Panther incuriosito dalle candidature all'Oscar. Ecco. Una baracconata pretestuosamente riverniciata in stile afro e jungle. Una conferma ai miei pregiudizi antisuperomistici. Il peggior film del mondo? Fate voi. Torna alla parte prima, dove trovi l'introduzione e i film-specchio o prosegui alla parte terza, dove trovi le conferme d'autore e i film da vedere o alla parte quarta, con il poker d'assi dei film del cuore 6. Gli autori Kore'eda è un autore che non so perché mi fa venire sonno, ma riconosco i pregi di Un affare di famiglia. Assayas, con Il gioco delle coppie (o Double vies, o Non-fiction, come recitano i titoli francese e internazionale) dirige un film intellettuale (più che intellettualistico), tutto di parola, con un bel gruppo di attori, molto francese, dotato di ironia, molto godibile, in cui si mescolano disquisizioni sul futuro dell'editoria nell'era del digitale o sulla liceità della letteratura autobiografica e la ronde degli amori clandestini. Chazelle, molto atteso dopo l'exploit del delizioso capolavoro La La Land, propone First Man, che segue Neil Armstrong nella conquista della luna: un film molto personale, con una sua intimità e profondità; da tenere d'occhio Claire Foy, che qui interpreta la moglie dell'astronauta. L'iraniano Farhadi ha realizzato Tutti lo sanno in una discussa trasferta spagnola, con star del calibro di Xavier Bardem e Penelope Cruz: sicuramente non è il suo film migliore, ma il risultato è dignitoso, e le critiche rivoltegli eccessive. Clint Eastwood è uno degli autori che reputo più sopravvalutati in assoluto; ma quando rimette in gioco il suo viso segnato, il suo corpo segaligno, il suo carattere burbero e indipendente, la sua icona e la sua leggenda, come in Gran Torino o in questo The Mule – Il corriere, continua a fare il suo effetto. Il cileno Sebastian Lelio si cimenta in una prova che sembrava inutile: quella di rifare tale e quale il suo Gloria; cambia leggermente il titolo, Gloria Bell, cambiano il contesto (Los Angeles al posto di Santiago) e gli attori (qui Julianne Moore, perfetta e smooth al posto della pur brava ma più spigolosa Paulina Garcia), ma la sceneggiatura e la storia della sua antieroina avanti con l'età ma ancora assetata di vita e d'amore rimangono pressoché identiche. Ne esce, per la seconda volta, un buon film. Cafarnao, della libanese Labaki (Caramel), è un po' enfatico e programmatico, ma efficace nel raccontare il Libano di oggi e gli ultimi della terra (donne, profughi, poveri, bambini). Bellocchio torna alla storia italiana riletta a suo modo con Il traditore, sulla figura del collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta, grazie al quale si rischiò di distruggere la mafia: un film complesso e interessante, con un grande Favino e un sulfureo Lo Cascio in versione siciliano stretto. Forse il miglior italiano dell'anno. Almodovar invece si ripiega completamente su se stesso per fare il suo Otto e ½: Dolor y gloria è sincero in modo disarmante, una confessione intima rispettabile ma girata con toni fin troppo sommessi. Visto su Netflix, La ballata di Buster Scrooge rappresenta la seconda incursione d'autore della stagione (insieme a quella di Audiard) nel genere western: i fratelli Coen ne approfittano per un apologo a episodi sul caso e soprattutto sulla morte, in un West e in un cinema evidentemente fantasmi di se stessi. Di Lanthimos, chissà perché, parlo nel prossimo capitolo. 7. Altri film da vedere
Tully merita per una sempre stupefacente Charlize Theron; Girl è un sorpendente esordio (firmato dal belga Lukas Dhont) su un adolescente aspirante ragazza e aspirante stella della danza, con un giovanissimo e androgino Victor Polster perfetto nel ruolo. Non ho una predilezione per il cinema di Anderson, ma devo dire che L'isola dei cani, film di animazione, mi è sembrato molto simpatico. Sempre nel campo dell'animazione, sono innamorato invece dei cieli dei film di Makoto Shinkai: 5 cm al secondo è un film poetico fino allo struggimento, ma inconcluso. Buona la prova di Sollima alle prese con un blockbuster americano: se la cava bene con Soldado, anche se è un lavoro derivato e d'occasione (il seguito di Sicario di Villeneuve). Assai più originale e interessante il tentativo di Matteo Rovere di addentrarsi da un lato nel film storico in costume, dall'altro nel mito della fondazione, dall'altro ancora nel film d'autore (pauperistico) alla Winding Refn (Vallhala Rising). Il risultato raggiunto con Il primo re è estremamente promettente, e tra l'altro laurea Alessandro Borghi attore italiano dell'anno. E' infatti anche l'interprete di Stefano Cucchi in Senza pelle, che rende con intensità, spirito mimetico, umiltà e sobrietà. Un film civile e necessario, uscito ancora prima delle ultime clamorose rivelazioni che certificano il caso come un omicidio di Stato. Un fenomeno sociale (non so cosa ne possano pensare produttori e distributori) le molte proiezioni gratuite tenutesi spontaneamente in tante piazze italiane. Stuzzicante anche il nuovo film di Zanasi, Troppa grazia, che ardisce misurarsi addirittura laicamente con apparizioni mariane e con la tematica del sacro. Sempre in chiave di commedia, per carità, ma con spunti interessanti, anche dal punto di vista visivo, e con una Rohrwacher, a sua volta, in stato di grazia. Germano in una parte minore, ci ricorda di esserci e di come sa essere bravo. Malgrado le mie diffidenze aprioristiche, non mi è dispiaciuto inoltre Il grande spirito, di Sergio Rubini: una buona dinamica spaziale che si fa metaforica e due attori (lo stesso Rubini e Papaleo) che si trovano a loro agio in personaggi già sopra le righe in fase di scrittura. La Granik offre un altro bel ritratto di giovane donna che deve crescere ed emanciparsi nella e dalla wilderness (dopo Un gelido inverno) con Senza lasciare traccia, con un'intensa e giovanissima Thomasin McKenzie. Un po' depressivo ma in fondo con una sua teutonica grazia Un valzer tra gli scaffali, quasi tutto ambientato in un luogo di lavoro, e cioè nei magazzini di un centro commerciale. Tra i molti, troppi biopic (quello di Schnabel su Van Gogh – Sulle soglie dell'eternità merita una citazione per la presenza straordinaria di Willem Dafoe, quasi un'incarnazione più che un'interpretazione), c'è anche quello su Stanlio e Ollio: sono andato a vederlo con timore, e il film non è memorabile, ma ho tirato un sospiro di sollievo quando ho avuto conferma che si trattava di un omaggio corretto e affettuoso, e non un tentativo si svelare chissà quali oscuri retroscena dei caratteri dei personaggi e dei loro rapporti. O'Reilly e Coogan sono credibili nell'impersonare i due più grandi eroi della risata. Due film “politici”. Vice – L'uomo nell'ombra di McKay è spietato e puntuale, oltre che divertente per alcune trovate linguistiche. Lanthimos mi aveva sinceramente irritato con The Lobster, poi ipnotizzato con l'orrore raggelato de Il sacrificio del cervo sacro. Ora mi convince di nuovo con l'affresco storico de La favorita, lotta di potere tra femmine nell'Inghilterra del '700. Molto lodato il terzetto di interpreti, quella che frizza di più nel mio gradimento è comunque e ancora Emma Stone. 8. Divertissement Alcuni film funzionano per forza, in rapporto al loro scopo. Mission Impossible – Fallout fa di nuovo sbalordire per le capacità atletiche del vecchio Tom Cruise, mentre il secondo episodio de Gli incredibili risulta infallibilmente simpatico, anche se arriva a troppa distanza dal primo. Spiderman – Un nuovo universo è forse interessante, ma anche questo l'ho visto distrattamente e senza lasciarmi coinvolgere più di tanto. Torna indietro alla prima parte, con l'introduzione e i film-specchio o alla seconda parte, con i le delusioni d'autore e da Oscar e i peggiori o prosegui verso la parte quarta, con il poker d'assi dei migliori 9. I migliori
I migliori si fa per dire. Sono comunque i film della stagione cui per un motivo o per l'altro sono più affezionato. Sicuramente non sono quelli che vi aspettereste, ma tant'è. Ci sono un messicano di ritorno in patria, una coproduzione su un polacco che in patria ci stava raramente, un regista russo in galera, un afroamericano incazzato; due bianchi e neri (uno sprizzato di colore), un black movie, un cartone animato colorato. Uno è Roma. Alfonso Cuaron si conferma un autore cui si può mettere la A maiuscola, e dimostra di essere altrettanto a suo agio nel descrivere sia le peripezie di una scienziata astronauta rimasta solo a cavarsela nello spazio ostile (Gravity), sia le disavventure quotidiane di un'umile domestica nel Messico degli anni '60, che sono quelli dell'infanzia del regista. Autobiografia spinta, per interposta persona, ma con un pudore che evita quasi del tutto, nella lunga narrazione, i primi piani, mantenendosi ad una distanza di rispetto, e la musica extradiegetica. Bianco e nero opaco, narrazione lirica ma laconica, storia famigliare con scorci di affresco sociale. Nelle immagini iniziali, con le secchiate d'acqua gettate sul pavimento del cortile per fare pulizia, dove si specchia un aereo che vola alto nel cielo, c'è già in nuce la poetica del film. Con Blackklansman poi Spike Lee torna al suo cinema migliore, politico, militante, graffiante, divertente, arrabbiato. Il poliziotto afroamericano che si infiltra nel Klu Klux Klan è esistito davvero, ma chi se ne frega delle storie vere. Per Lee è un paradosso che si fa apologo, caso limite che svela il marcio e il ridicolo della mentalità suprematista (oggi tanto di moda). Poliziesco mediocre, black comedy (lo si può ben dire) spassosa, acuto cultural study sulla figura del nero nell'immaginario americano, urticante film politico, discorso militante che (a differenza del buonista Green Book) parla di ieri per parlare dei giorni nostri. Perfetto nella sua imperfezione. Mi sta molto a cuore anche Un altro giorno, firmato da Raúl de la Fuente e Damian Nenow, che racconta – attraverso gli occhi del giornalista polacco Ryszard Kapuscinski, grandissimo reporter e conoscitore dell'Africa - un misconosciuto brano di storia del '900, la guerra civile angolana sullo sfondo della Guerra fredda e della contrapposizione dei blocchi: uno dei conflitti più lunghi e sanguinosi della storia recente, durato oltre un quarto di secolo e conclusosi con mezzo milione di vittime. La storia è raccontata attraverso il cinema di animazione, ma alternato alle interviste dei reali protagonisti dei fatti dell'epoca ancora in vita; con una narrazione rispettosa dei fatti e dei personaggi reali ma con spazi liberi per l'invenzione onirica e visionaria. Una lezione di cinema d'animazione, di giornalismo, di storia, di impegno militante, di etica politica e di etica professionale. L'hanno visto in pochi? E' un vero peccato. Altrettanto pochi avranno visto Summer di Kirill Serebrennikov. In una stagione che ha visto tanti biopic e diversi film dedicati a biografie di musicisti reali (Mercury, Elton John) e immaginari, in un angolino, c'è anche questo: si tratta della storia vera dei musicisti rock Viktor Tsoi e Mike Naumenko e dei rispettivi gruppi Zoopark e Kino – mitici all'epoca in Russia, sconosciuti da noi (o per lo meno da me) – nella Leningrado degli anni '70, tra i fermenti politici, sociali, culturali e musicali il cui eco arriva dall'Occidente e il conservatorismo politico, sociale, culturale e musicale che ancora vigeva in Unione Sovietica. Romantico, tenero, elegiaco, vitale; un po' Trainspotting (con pudore metatestuale), molto nouvelle vague, moltissimo Cecov. Serebrennikov è stato messo agli arresti domiciliari mentre girava il film; l'ha montato a casa sua, con il suo pc e senza connessione Internet, mentre i suoi collaboratori finivano le riprese seguendo le sue indicazioni. Ne è uscito un piccolo gioiellino, una gioia per gli occhi, per le orecchie, per la mente e soprattutto per il cuore. Amabile. Nella prima parte trovi l'intro e i film-specchio della stagione nella seconda le delusioni d'autore e da Oscar e i film peggiori nella terza le conferme d'autore e i film da vedere |
Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
|