LO SPIETATO di Renato De MariaDe Maria aveva girato nel 2015 la docu-fiction Italian Gangsters, frutto di una ricerca bibliografica e iconografica sulla malavita “storica” italiana. Tornato alla fiction pura – ma ancora basata su fatti reali – rimette in scena un italian gangster che ripercorre diverse stagioni della storia recente italiana, dagli anni '60 dell'immigrazione e del boom economico al disordine degli anni '70 alla Milano da bere degli anni '80 sino al ripiegamento successivo. Santo Russo, calabrese immigrato dal nord con spirito d'intraprendenza, spregiudicatezza morale, capacità mimetiche-linguistiche (assimila il milanese e adotta modi di dire francesi), incarna lo spirito dei vari decenni, percorrendoli sul crinale dell'attività criminosa: immigrato e rapinatore nell'hinterland metropolitano dapprima, bandito anarchico poi (alleato ma non succube della criminalità organizzata), quindi arricchito arrampicatore sociale all'ombra della Madonnina, infine sopravvissuto all'ubriacatura grazie all'arte di arrangiarsi che premia sempre in un'Italia dove raramente ai malfattori viene seriamente presentato il conto da pagare. De Maria, oltre a basarsi sul racconto dei fatti realmente accaduti narrati in Manager Calibro 9 da Pietro Colaprico e Luca Fazzo, tiene presente la tradizione tutta italiana dei poliziotteschi degli anni '70 (ma con una violenza più stilizzata), ma mirando visibilmente ad un modello più alto, cioè allo Scorsese di Goodfellas – Quei bravi ragazzi (e poi di Casino e The Wolf of Wall Street). La voce over in prima persona, il protagonista criminale ma accattivante, l'attenzione alla dimensione etnico-antropologica (qui il milieu dei calabresi immigrati al nord, malavitosi e non), la descrizione delle regole e dei retroscena dell'ambiente criminale (anche nei suoi aspetti più grotteschi, come nella scena del tester della qualità dell'eroina o in quella della rapina con il travestimento da carabinieri), l'uso delle canzoni d'epoca a scandire i passaggi cronologici degli eventi, il finale in contro-climax, sono tutti elementi che lo apparentano al film di riferimento. Se da una parte la formula del crime-movie pop, vintage, scanzonato, sociologico, autoironico, in cui si mescolano imprese criminali e vita sentimentale, crime movie e comedy, violenza e ironia, gang mafiose e clan famigliari, omicidi e questioni di corna, turpiloquio gangsteristico e racconto letterario con preziosismi francesizzanti (ça va sans dire...) garantisce un risultato comunque accattivante e godibile, il modello prescelto si colloca ad un livello inarrivabile. Con tutto il buon cuore, De Maria non è Scorsese, ne Lo spietato non ci sono De Niro o Joe Pesci, e la produzione sembra a volte autolimitare le proprie ambizioni. C'è da dire che l'interprete ideale del film non poteva essere che Scamarcio: avvenente quanto basta per attirarsi subito le simpatie degli spettatori (e delle spettatrici), ragazzone scanzonato quando pratica il crimine come fosse un gioco, dagli occhi di ghiaccio quando uccide senza pietà, sempliciotto in soggezione quando si trova a tavola con un'amante francese colta e intellettuale, bullo rancoroso quando si sente frustrato dall'ambiente artistoide e pseudo-chic delle istallazioni e delle performance concepite (tanto per restare tra i francesismi) per épater le bourgeois. Sbaglia semmai – clamorosamente - il titolo, che lo appiattisce in un'unica dimensione.
0 Commenti
SARAH E SALEEM - LA' DOVE NIENTE E' POSSIBILE (The reports on Sarah and Saleem) |
Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
|