Il nostro percorso ad anello, con partenza e rientro a Belfast, ha toccato le regioni dell’Antrim e del Derry, del Donegal, del Fermanagh, dell’Armagh e del Down. Abbiamo viaggiato con i nostri amici Mirko e Doriana, su una Seat Leon confortevole e con un bagagliaio perfetto per la nostra quantità di bagagli. Leggi i nostri consigli di viaggio
Giorno 1: Italia – BELFAST: il centro, il Cathedral Quarter
Arriviamo con tempo piovoso. Sbrigate le formalità e ritirata la macchina a noleggio, raggiungiamo il centro e parcheggiamo (a pagamento, ma sarà una delle uniche volte in cui dovremo pagare, anche grazie a qualche innocuo escamotage) dalle parti dell’Albert Bridge. Dopo una merenda da Subway (panini totalmente personalizzabili) iniziamo la visita dalla grande piazza del Municipio, un largo edificio sormontato da una grande cupola e circondato da un giardino. Sull’angolo della piazza visitiamo la Linen Hall Library, una biblioteca storica su più livelli collegati da scalinate interne, in cui era esposta una mostra fotografica sui troubles. Giriamo nella zona a nord del municipio, dove si trovano gli entries, vicoli spesso decorati da dipinti sui muri, e girelliamo nella zona della Cattedrale, dove si trovano diversi locali e pub, oltre a interessanti graffiti anche di grandi dimensioni sulle pareti delle case. Da cercare in particolare Commercial Court, di sera illuminata da file di lampadine rosse, con graffiti, strane decorazioni sui muri di mattoni e uno spettacolare cortile interno, interamente ricoperto di spiritosi dipinti murali con personaggi della storia della città. Dalla cupola di vetro del shopping center in Victoria Square si può vedere un discreto panorama sui tetti della città. La sera torniamo nella zona della cattedrale e ceniamo, ad un prezzo estremamente economico al Yarbird (pollo e patate), situato sopra al Dirty Onion. Sono due locali collegati situati in una vecchia fabbrica ristrutturata (ma non troppo): al piano terra e nel cortile esterno si beve e si ascolta musica dal vivo, al piano di sopra si mangia. Abbiamo dormito alla Mossvale House, dove non c’era nessuno ad accoglierci e dopo una sorta di caccia al tesoro (le prime istruzioni ricevute via mail) per entrare in possesso delle chiavi e poter entrare in casa. E’ un bell’appartamento a piano terra, con ampie vetrate affacciate sul fiume Lagan e sulla passeggiata pedonale. Confortevole (ma senza acqua calda) e molto conveniente. Durante la giornata il tempo è stato estremamente variabile, con sole e pioggia alternati o contemporanei: dall’Albert Bridge vediamo uno dei più begli arcobaleni mai visti (doppio), per estensione e intensità dei colori.
Sulla nostra sponda del fiume, quella est, andiamo a dare un’occhiata al quartiere Titanic, oggetto di investimenti e di riqualificazione urbanistica. Qui, tra aree ancora libere e nuovi edifici, sorge la costruzione più avveniristica e riconoscibile: il Titanic, appunto. Nei cantieri navali della zona infatti, di cui si vedono in lontananza le gigantesche gru gialle, è stato costruito il celebre transatlantico (costruito dagli irlandesi, affondato dagli inglesi, sottolineano malignamente gli abitanti di Belfast). Lo spigoloso edificio ricoperto da lastre di splendente alluminio al posto della facciata ha una prua alta 38 metri, tanto quello della nave da cui prende il nome. L’interno ospita esposizioni multimediali dedicate alla storia del celebre naviglio, ma noi siamo ripartiti lasciando la città in direzione nord. Subito fuori città inizia la Causeway Coastal Route, che segue le articolazioni della costa fino praticamente a Derry. Ci fermiamo quasi subito, attratti dalla vista di uno scenografico castello normanno sul mare, molto ben conservato. E’ quello di Carryfergus, una cittadina storica con tratti di mura antiche. Dopo un’ulteriore breve sosta nel porticciolo di Carnlough, con vista sulla costa, proseguiamo la strada, tra prati verdi punteggiati da pecore e colorati dai cespugli delle ginestre da un lato, e il mare dall’altro. La strada attraversa la scenografica zona dei glen di Antrim, una serie di vallette, e raggiunge poi Ballycastle, dove ci fermiamo anche con l’intenzione di mangiare qualcosa. Davanti a Ballycastle, dopo un giardino con scultura di cigni n volo, si stende una bella e lunga spiaggia sabbiosa con vista (il panorama si amplia salendo un tratto della strada fuori paese). Al Promenade Cafè, sul fronte del paese, mangiamo torte di pesce e ritroviamo uno dei nostri piatti irlandesi preferiti, il seafood chowder, una zuppa di pesce cremosa e deliziosa.
Siamo ormai sulla costa settentrionale, e poche miglia dopo siamo di nuovo fermi per visitare la Carrick-a-Rede Island. Si tratta di un luogo molto pubblicizzato e presente su tutte le guide turistiche. Si lascia la macchina in parcheggio, si paga un biglietto d’ingresso all’area e si passeggia per circa un chilometro sull’alto di una scogliera, davanti al mare punteggiato di isolotti, sino alla grande attrazione: un ponte di corde che collega la terraferma ad un isolotto utilizzato un tempo per la pesca del salmone. Con un tempo bello e appena ventoso e con il mare sostanzialmente calmo, l’attraversamento del breve ponte non è così elettrizzante come viene descritto (il ponte ha un fondo di assi di legno e parapetti di corde su ambo i lati). Se non soffrite gravemente di vertigini potete farcela. Il piccolo isolotto attualmente è abitato solo da uccelli marini. Il panorama è bello e la passeggiata piacevole. Appena al di là della baia ci fermiamo di nuovo per visitare il gioiello dell’Irlanda del Nord, l’unico sito tutelato dall’Unesco in questa regione; è il Giant’s Causeway, cioè il selciato del gigante, un tratto di costa caratterizzato da formazioni basaltiche: una selva di colonnine di pietra scura per lo più esagonali, di una trentina di centimetri di diametro. Anche qui si parcheggia e si paga l’ingresso (11 sterline e mezzo), il cui prezzo comprende un’audioguida che racconta (anche in italiano) qualche informazione scientifica e un sacco di favole non richieste sul gigante Fionn, che costruì il selciato per raggiungere un suo pari che abitava l’isola scozzese di Staffa, che visitammo molti anni fa. Se si viene in Irlanda del Nord è una visita imperdibile: il nostro consiglio è di prendere il sentiero lungo costa che in pochi minuti porta al selciato (visto che bisogna scendere per un tratto e poi risalire, comunque, per i pigrissimi o per quelli che hanno difficoltà c’è anche una navetta gratuita), proseguire oltre lungo il sentiero che porta a delle grandi formazioni a canne d’organo e poi ad una punta sormontata da pinnacoli di roccia rossastra; al ritorno si può risalire per mezzo di un sentiero un po’ ripido ma fattibile, in modo da godere dei bei panorami anche dal ciglio della scogliera, tra i pascoli verdi delle pecore e le bordure di ginestre. Prima di arrivare alla nostra destinazione serale, Portrush, è d’obbligo un’altra sosta, mentre il sole sta declinando, per ammirare le rovine del Dunluce Castle, in posizione alquanto panoramica alto sul mare. Le rovine, al contrario di altri casi, sono molto consistenti e il castello si può visitare anche all’interno. Al termine di una giornata molta intensa (ma la distanza percorsa non è di molto superiore al centinaio di chilometri) raggiungiamo infine Portrush, una città balneare circondata dal mare su due lati, che sicuramente dà il suo meglio nella stagione estiva. Ora ha un’aria un po’ sonnacchiosa. Qualche foto alle ultime luci del tramonto, poi a mangiare all’Adelphi, un ristorante elegante, dove mangiamo molto bene ad un prezzo assolutamente ragionevole (60 sterline in 4). Pernottamento all’Ashlea House, bella camera e buona colazione (circa 120 euro in 4)
Giorno 3: PORTRUSH – WHITE ROCKS STRAND – PORTSTEWART – MUSSENDEN TEMPLE - MAGILLIGAN POINT – DERRY
Dopo un’abbondante colazione all’irlandese sperimentiamo quanto faccia freddo (anche se c’è il sole) da queste parti. La strada piega all’interno verso Coleraine per superare una profonda insenatura, poi torna verso il mare e verso la White Rocks Strand. Come dice il nome, alle spalle della bella spiaggia si ergono da una parte dune di sabbia, dall’altra una scogliera di roccia bianca, con falesie che ci ricordano - più in piccolo - il Pizzomunno di Vieste. Bella passeggiata al sole, con pochissima gente in giro, praticamente un manipolo di giapponesi e alcuni proprietari di cani che si godono la spiaggia scorrazzando in lungo e in largo. Ci fermiamo per una passeggiata sul lungomare a Portstewart, schierata davanti al mare con le sue case georgiane. Intorno molti villaggi turistici (con villini e bungalow), ora deserti. Poi raggiungiamo il sito di Mussenden Temple. Si paga l’ingresso (5 sterline e 60 a testa) per visitare una tenuta di campagna con le rovine di un palazzo, qualche edificio di servizio sopravvissuto, e soprattutto per affacciarsi dal tempietto neoclassico in bilico sulla scogliera, con le grandi spiagge di Portstewart sulla destra e di Downhill sulla sinistra. Il tutto era di proprietà del vescovo Bristol, un buontempone probabilmente ateo e materialista che amava le donne, l’abbigliamento eccentrico e i bei viaggi (a lui si deve la denominazione di moltissimi alberghi in giro per il mondo, che così aspirano a qualificarsi per lusso e confort). Bella passeggiata, panorami amplissimi e quattro chiacchiere in spagnolo con una bigliettaia galiziana. Proseguiamo fino a Magilligan Point, sulla punta di terra che quasi chiude l'imboccatura dell’amplissima insenatura del Lough Foyle. Il cielo si è annuvolato; una torre solitaria tra l’erba giallastra sorveglia l’accesso al lough e le dune costiere.
Un ultimo tratto della Causeway Coastal Road ci porta infine a Derry. Scarichiamo i bagagli all’Amore b&b (130 sterline in 4), gestito dall’affabile Joy, e usciamo a visitare la città. Siamo nel Bogside, la zona cattolica di Derry, e prima di raggiungere il centro visitiamo la galleria di murales che occupano molte facciate di case sulla Waterloo Street, dopo la lapide che introduce alla Free Derry. Vittime della violenza della polizia e dell’esercito inglesi, immagini di combattenti molotov alla mano, ritratti di prigionieri politici, colombe della pace e diritti civili. Dall’altra parte della strada, un grande murales pubblicitario della Spaghetti Junction: la Loren sulla Vespa, acquedotto romano, fiasco di Chianti e tricolore. Nel West Bank, che vedremo poco dopo, dove i lealisti si dichiarano sotto assedio e promettono di non arrendersi mai, invece sono le bandiere britanniche a predominare e anche i cordoli dei marciapiedi sono dipinti in bianco rosso e blu. Derry è una cittadina vivace, con molti locali lungo il primo tratto della Waterloo, e una bella piazza dove sorge la Guildhall, un edificio neogotico con belle vetrate. E’ la sala del Consiglio, visitabile gratuitamente; quando chiedo di che epoca sono le vetrate, l’addetta mi risponde che sono recenti, poiché le originali sono andate distrutte o danneggiate da un attentato dinamitardo. Il punto forte di Derry è la cerchia di mura del ‘600, perfettamente conservate (non ne troverete di eguali in tutta l'Irlanda), alte 6 metri e larghe nove nei tratti più ampi, e interamente percorribili a piedi con bastioni, cannoni e belle viste sulla città e su parecchi edifici storici. Il fulcro del centro storico è il Diamond, sul quale si affaccia quello che si dichiara essere stato il primo grande magazzino d’Europa. Il museo di Derry si trova in una torre falso antica vicino a Waterloo Place. La città è inoltre bagnata dal fiume Foyle, che poco dopo sfocia nell’omonimo lough, sul quale vicino al centro è stato costruito uno scenografico ponte pedonale: il Peace Bridge, le cui guglie bianche si stagliano contro il cielo violaceo, che porta ad un grande centro culturale sull’altra sponda. Cena da Badgers, tipico pub in cui mangiamo uno stufato cotto nella Guinness (56 sterline in 4). Nei locali non suona (ancora?) nessuno e andiamo a dormire.
Giorno 4: DERRY – GREENCASTLE - KINNAGOE BAY - INSHOWEN HEAD - MALIN HEAD – CARDONAGH –KILLYBEGS
Partiti da Derry manchiamo la Grianan of Aileach (la fortezza circolare preistorica) e imbocchiamo la Wild Atlantic Way Route, una lunghissima strada che serpeggia lungo tutte le tormentate coste della penisola dell’Irlanda settentrionale. Senza accorgercene siamo già nel territorio della Repubblica irlandese: ce ne accorgiamo dopo un po’ vedendo che le distanze sui cartelli stradali ora sono indicate in chilometri anziché in miglia (anche la signorina del navigatore si adegua alla razionalità del sistema metrico decimale abbandonando le favolistiche indicazioni in mezze miglia, decine di iarde o millepiedi). A Greencastle le rovine di un castello fronteggiano la solitaria torre di Magilligan sull’altro lato del Foyle; nei pressi di Inishowen Head, col sole, scendiamo alla bella piccola spiaggia accanto al faro di Shrove, incastonata tra gli scogli, dove individuiamo un cucciolo di foca in ozio e poi, sul cocuzzolo di uno scoglio isolato poco distante dalla riva, in una posa da sirenetta, un esemplare più adulto. Sono le prime foche per Mirko e Doriana; per noi invece sono l’occasione per rispolverare una serie di aneddoti, dalle decine di migliaia di foche, sparse letteralmente a perdita d’occhio sulla costa namibiana, all'indimenticabile bagno in mezzo alle foche e ai leoni marini guizzanti nei pressi di un isolotto vicino alla costa della Baja California. Proseguiamo tra spruzzate di pioggia e bassi arcobaleni, lungo prati vista mare e ginestre, fermandoci a fotografare pittoresche pecore con agnellini. Ancora qualche bella spiaggia prima di raggiungere Malin Head, che costituisce la punta più settentrionale dell’Irlanda. In corrispondenza della torre isolata della Banba’s Crown la vista è praticamente a 360° gradi, sul triangolo di terra che si protende nell’oceano. Passeggiamo lungo la scogliera fino a Hell’s Hole, una fenditura nella scogliera, ma il mare non è abbastanza drammatico per rendere onore al fosco toponimo. Poiché la distanza per raggiungere la nostra destinazione serale è piuttosto lunga, abbandoniamo la strada costiera (che riserverebbe ancora bei panorami) e tagliamo verso l’interno del Donegal, tra nuvole squarciate dalla luce del sole e piovaschi lontani. Tiriamo abbastanza dritti, con una breve divertente sosta a Cardonagh, dove alla ricerca di una croce celtica (che poi era sulla strada, seminascosta da una tettoia), imbocchiamo un viottolo e finiamo in un cortile privato, tra lo stupore della famiglia, e una signora che ci chiude la catena alle spalle. Nel tardo pomeriggio raggiungiamo Killybegs, verso l’estremità occidentale del Donegal. Killybegs, in fondo a un’insenatura, ha un porto piuttosto importante, con pescherecci anche di grande stazza, ma tutto appare placido e immobile. L’acqua della baia è ferma e il paese e le bianche nuvole soprastanti si riflettono con precisione come in uno specchio. Ceniamo al ristorante del Bayview Hotel (86 euro in 4), dove ci fermiamo anche a bere qualcosa dopo cena perché sembra che stiano per suonare. In realtà sono due ragazzi che cantano su basi registrate e la quantità di Baileys che ci servono è davvero esigua. L’atmosfera delle strade rimane sonnolenta, ma ci sono almeno un altro paio di locali dove suonano, e non è poco, considerate anche le dimensioni del paesino. Dormiamo al Seawind, vicino al fronte del porto, ma noi abbiamo la finestra che contempla praticamente un muro cieco. La stanza comunque (126 euro per 2 camere) è confortevole (come sempre) e dotata di piumone e generi di conforto. Il proprietario ci fornisce una dettagliata cartina disegnata a mano con la descrizione delle possibili escursioni nei dintorni.
Giorno 5: KILLYBEGS – BA FHIONNTRA’ BEACH – SLIEVE LEAGUE – GLENGESH PASS – ARDARA – DONEGAL – BOA ISLAND – DRUMSKINNEY STONE CIRCLE – ENNISKILLEN
Dopo aver adempiuto a una colazione un po’ ritardaria partiamo alla ricerca delle Slieve League, ma prima facciamo una sosta alla spiaggia di Ba Fhionntrà, e camminiamo (con le scarpe) sull’acqua della bassa marea. Poi al momento cruciale nessuno di noi quattro vede la deviazione per Slieve League, così ci addentriamo nella brughiera e dobbiamo tornare a Teelin. La strada sale, superiamo un parcheggio aprendo una sbarra che chiude la strada e, malgrado le perplessità del guidatore Mirko, continuiamo a salire fino al parcheggio superiore, superando bellissime vedute sulla costa. Lasciamo la macchina lungo la strada e proseguiamo verso il punto panoramico, dove volendo potete bere un espresso o mangiare un sandwich al piccolo chiosco a forma di botte, e magari dare gli avanzi al grosso corvo nero che bazzica lì intorno. Siamo in alto sulla costa, e la veduta sulla Slieve League, illuminate da squarci di sole prima che il cielo si chiuda completamente, è suggestiva. Le Slieve sono le scogliere più alte d’Europa (almeno tra quelle accessibili) e le rocce a strapiombo, alte 600 metri sull’acqua, sono striate da varie sfumature di colore. Sicuramente il panorama apparirà più drammatico con il mare mosso, ma oggi, come sempre, il mare è relativamente tranquillo. Saliamo ancora, seguendo il sentiero, con nuove vedute e la rivelazione di uno specchietto d’acqua. Qui c’è qualche turista, e sentiamo anche qualche voce italiana, e scambiamo qualche frase in inglese con un fotografo munito di una bella e complicata macchina dall’aspetto vintage. Ridiscendiamo, fotografiamo pecore e montoni in bilico sul precipizio, ripercorriamo la strada già fatta in parte, verso il Glengesh Pass, tra una brughiera ondulata e brulla dal fascino aspro. Puntiamo verso Ardara, la città giusta dove portarsi a casa un utile souvenir dall’Irlanda. Dicono infatti che sia il posto giusto per acquistare i maglioni (ed altri accessori) fatti con la lana di Aran e con le tecniche irlandesi. Alessandra da Molloy’s, un negozio isolato alle porta della città, riacquista un maglione analogo a quello che comprò anni fa durante la nostra precedente visita in Irlanda; festeggiamo quindi nella caffetteria del negozio con un cream tea e ottimi scones con panna e marmellata, mentre la pioggia imperla le finestre. Il sole fa capolino per qualche istante dal cielo coperto quando raggiungiamo Donegal, che appare come una città vivace, che potrebbe valere una sosta, con un centro gradevole e turistico (negozi di souvenir, pub, ecc.), con un bel castello con torrette sul fiume, le suggestive rovine di un monastero in posizione panoramica sul lough e un pittoresco cimitero dove Mirko come un novello Amleto si intrattiene a scambiare due chiacchiere con i due becchini che stanno scavando una fossa. Nella piazza principale a ravvivare ulteriormente l’atmosfera c’è un colorito raduno di motociclisti. Lasciata Donegal facciamo un paio di visite a siti preistorici sulla strada verso Enniskillen: la prima a Boa Island (è un’isola sul lago Erne, ma raggiungibile e attraversabile in macchina), dove in un cimitero isolato in una campagna popolata da tori e umida di pioggia si trovano alcune sculture famose, tra cui un cosiddetto Giano bifronte. Si tratta ovviamente di sculture rozze, ma scolpite con un certo estro, accanto alla quale visitatori ignoti hanno depositato delle monetine. La seconda implica una breve deviazione, su divertenti strade a saliscendi attraverso prati e pascoli, fino a un cerchio di pietre non particolarmente impressionante. Per un momento la mia competenza e autorevolezza come tour manager viene messa per la prima volta (ma benevolmente) in discussione.
Infine, rientrati impercettibilmente in territorio britannico, costeggiando il Lough Erne, raggiungiamo Enniskillen, che si trova al suo estremo meridionale. La cittadina è un buon punto di partenza per esplorare la regione dei laghi del Fermanagh, e possiede alcune chiese e un castello sul fiume, ma la cosa più bella è l’appartamento dove alloggiamo. Ce lo conquistiamo dopo un’altra sorta di caccia al tesoro, con istruzioni dettagliatissime che conducono ad un registratore di cassa in un supermercato dove si nasconde una busta con altre istruzioni dettagliatissime. L’appartamento è splendido, grande, perfetto, ben arredato, attrezzatissimo, (non so, ci sono lavapiatti, lavastoviglie, asciugatrice, forno a microonde, lettore cd e ogni cosa potreste desiderare), con biblioteca, videoteca, discoteca, libri fotografici sulla regione, ecc., ma soprattutto un soggiorno con un’ampia vetrata dove troviamo un tavolo imbandito con scones, burro, marmellata e un vaso di fiori freschi, e una terrazza pieds dans l’eau, come piace dire ai francesi. Inoltre è esposta verso ovest, e il tramonto si sta preparando. Dopo la visita della cittadina, decidiamo che nessun ristorante può competere con il nostro soggiorno: facciamo la spesa al supermercato e ceniamo a base di lasagne, stufato, contorni vari, accompagnati da un Gato Blanco (uno Chardonnay cileno che avevo apprezzato in Lettonia ma non avevo più ritrovato), estasiati davanti al tramonto che colora il cielo e lo specchio d’acqua davanti a noi, solcato pigramente dai cigni. Imbrunisce, si accendono le luci, ascoltiamo un po’ di musica, andiamo a dormire.
Giorno 6: ENNISKILLEN – LOUGH ERNE – ARMAGH – WARRENPOINT - SILENT VALLEY – ARDGLASS
Quando Alessandra si alza, la mattina presto, e getta un’occhiata alla vetrata, va a prendere il cellulare e scatta una foto. Dal bordo della ringhiera in là, tutto il mondo è inghiottito e reso invisibile dalla nebbia. Quando mi alzo io la nebbia si è dileguata, il sole si è alzato e l’amabile paesaggio è ricomparso. Dopo una colazione autogestita lasciamo a malincuore lo splendido appartamento e risaliamo un tratto verso il Lough Erne. Deviamo all’altezza della piccola indicazione che conduce a Trory, da dove abbiamo letto che partono i traghetti per Devinish Island. Trory in realtà semplicemente un cartello affacciato sul lago, in corrispondenza di diversi moli di legno e piccole banchine di pietra protese verso l’acqua, e di traghetti non c’è neppure l’ombra. Il servizio funziona solo in alta stagione. Guardiamo pertanto Devinish Island dalla sponda del lago: su un prato distinguiamo la torre rotonda, una croce celtica e le rovine del monastero. E’ probabilmente un luogo affascinante che meriterebbe una visita. Passeggiamo comunque lungo il lago: l’acqua è come uno specchio che riflette la sponda opposta e le nuvole bianche nel cielo; i moli di pietra sull’acqua sembrano delle croci stagliate contro il cielo. Sembra di essere in un poster new age. Oggi il sole ci accompagna, una volta tanto, per tutta la giornata, mentre sezioniamo la parte meridionale dell’Ulster in direzione della costa orientale sull’Irish Sea. Sosta più o meno a metà strada, nella cittadina di Armagh. Leggendo sulle guide ci aspettavamo di più, anche se riguardando le foto non era poi male: c’è un grande mall erboso e ellittico, grande come un ippodromo, circondato da edifici georgiani; una casa dipinta di nero e rosa dedicata al Giro d’Italia 2014; due cattedrali, una cattolica e una protestante, che si guatano da due colline contrapposte. Scambiamo due chiacchiere col prete cattolico, che si presenta come nientedimeno che l’arcivescovo. E’ stato anche in Italia, naturalmente; quando gli chiedo se gli è piaciuta risponde di sì come se non fosse possibile altra risposta. Ci fermiamo poi a Warrenpoint, nella parte più profonda del Carlingford Lough che arriva fino al mare. Non abbiamo prenotato nulla per questa notte, giriamo la cittadina ma, come sempre in questa vacanza, i bed&breakfast sembrano molto meno numerosi che in altre zone dell’Irlanda, della Scozia e dell’Inghilterra visitate in precedenza. Dopo qualche tentativo fallito prenotiamo ad Ardglass, sulla costa un po’ più a nord. Warrenpoint ha case basse, e la solita atmosfera un po’ sonnolenta. Al Genoa, sulla piazza principale, ben poco genovese, facciamo una merenda robusta e ripartiamo senza troppo rimpianti. Da qui la strada corre tra il bordo del mare e le Mourne Montains, una piccola catena di montagne brulle nell’interno. Il mio itinerario prevede una visita alla Silent Valley, che però non è segnalata sulla strada principale; la strada giusta è segnalata come scenic loop, ma noi non ci fidiamo di una scritta che vediamo su un edificio, proseguiamo oltre ma poi chiediamo ad una passante che ci rimanda indietro. Per l’ingresso nella Silent Valley si pagherebbe un biglietto d’ingresso, ma l’addetto vista l’ora tarda ci fa entrare gratis e ci dà un’ora di tempo. Ma non ci dà la cartina, così sbagliamo sentiero (considerato il poco tempo a disposizione) e scendiamo in mezzo ai boschi, invece di salire verso il lago artificiale. Alla fine ci arriviamo lo stesso, ma dopo una sorta di marcia forzata. Si cammina sulla diga che forma un grande bacino incastonato tra le montagne, che fornisce acqua potabile a Belfast e a tutto il Down. Bel paesaggio. Affatto male anche quello al di fuori, con montagne, pascoli erbosi ondulati, muretti a secco traforati come merletti di pietra, fattorie, pecore e agnelli e il mare sullo sfondo.
Riguadagnata la Mourne Mountains Route raggiungiamo Ardglass in prossimità del tramonto. E’ un paesino in fondo a una baia che ospita un porticciolo peschereccio, con qualche edificio interessante e le rovine di una torre. Per mangiare la padrona di casa ci snocciola una rosa di scelte che comprende: un ristorante cinese (secondo lei very nice) e un fish and chips senza birra. Fine. Sarà anche la luce calante, ma l’atmosfera è abbastanza deprimente. C’è perfino il negozietto che vende articoli per la pesca e un po’ di tutto, con le vetrine ingrigite dalla polvere, come i negozi di montagna di una volta. Ma la passeggiata sul molo rivela una notevole sorpresa: nella cabina di un peschereccio alla luce elettrica stanno pulendo il pescato e gettando gli scarti da un oblò: e sotto, al livello dell’acqua, si scatena una lotta frenetica tra gabbiani, vari uccelli marini e foche in attesa. Spettacolare; nell’attesa alcuni gabbiani stanno in piedi sulle schiene emerse delle foche e diversi aironi sulle tolde e sui pennoni cercando di ingurgitare il pesce conquistato. Il ristorante cinese (un genere che non amo in generale, tanto meno in Irlanda) non è granché (so and so, riferiremo a richiesta alla padrona di casa), poi non c’è altro da fare che andare a dormire nella nostra bella stanza con bovindo sul porto.
Giorno 7: ARDGLASS – TYRELLA BEACH – NEWCASTLE – BELFAST: il quartiere universitario, il giardino botanico, West Belfast, Belfast Castle, Great Victoria Street
In compenso la colazione del mattino è buona e insolita, una sorta di breakfast del marinaio in versione raffinata, con salmone e haddock affumicati su panini con uova strapazzate, varietà di frutta, ecc. Ci fermiamo a vedere Tyrella beach, una bella, ampia e lunga spiaggia sabbiosa dietro a un cordone di dune; ma fa freddo e tira vento. Ridiscendiamo un poco lungo la costa fino a Newcastle, e qui è proprio pioggia, che ci accompagnerà per tutta la giornata. Newcastle sarebbe una bella cittadina turistica, schierata verso il mare, con belle case, il lungomare, spiagge nelle vicinanze, un bel centro di informazioni turistiche, e un Lidl che sembra un castello (in realtà è la vecchia stazione). Ma tutta la passeggiata per la main street la facciamo sotto la pioggia. Puntiamo quindi dritti su Belfast. La seconda visita della città ci rivela aspetti completamente inediti rispetto alla prima. Nel quartiere universitario (belle case) visitiamo la Queen’s University dalla facciata in mattoni rossi e con un ampio cortile interno, costruita sul modello del Magdalen College di Oxford, e poi il giardino botanico, con magnifiche aiuole fiorite e una grande serra di ferro verniciato in bianco e vetri curvati la cui costruzione precede quella più famosa di Kew. Il giardino scende fino al fiume; accanto la costruzione mista antica e moderna dell’Ulster Museum (ad ingresso libero).
Ripresa la macchina ci spostiamo a West Belfast, un luogo da visitare assolutamente. Qui sono ancora presenti fisicamente le memorie dei troubles, importanti sia nella rievocazione come tragedia storico-politica, sia come rielaborazione estetico-artistico della stessa. Nella famigerata zona tra Divis Street, Falls Road, Alliance Avenue e Shankill Road si trovano infatti i muri di separazione tra i quartieri cattolici e protestanti di Belfast, che in gran parte sono oggi coperti di murales. La rievocazione delle battaglie, il ricordo delle vittime, i murales di solidarietà con altre lotte di liberazione nel mondo (da Cuba alla Palestina, ai campioni dei diritti civili – ma sul volto di Aung San Suu Kyi, prima perseguitata dal regime birmano, poi, come primo ministro birmano, colpevole di uno spregiudicato laissez-faire nei confronti della persecuzione della minoranza mussulmana dei Rohingyia , è tracciata una definitiva X rossa), si mescolano a graffiti più recenti e meno politici. Il muro è impressionante, di cemento, alto diversi metri, munito di doppi cancelli per i varchi. Chiamato eufemisticamente Peace Line, era meno famoso ma più lungo del muro di Berlino: una cicatrice nel cuore dell’Europa e un terribile monumento all’impotenza della politica. La lotta tra le fazioni unioniste e lealiste, durata un ventennio nella sua fase più cruenta, ha causato oltre 3000 morti e un numero enorme di feriti, tra repressione militare, attentati dinamitardi contro l’inerme popolazione civile, scioperi della fame in carcere arrivati fino alla morte. Oggi la situazione sembra tranquilla, ma per capire i rapporti tra l’Inghilterra e l’isola che le sta accanto, considerata non come parte integrante del Regno, ma una colonia ricca di terreni da espropriare e di risorse da sfruttare e depredare, è istruttiva la vicenda dell’epidemia della peronospera, la malattia che intorno al 1845 colpì le coltivazioni irlandesi di patate, principale alimento e sostentamento della popolazione locale. La patria matrigna continuò imperterrita a lucrare sugli sfratti degli irlandesi impoveriti dalle proprie proprietà, e a esportare quei prodotti locali che avrebbero potuto alleviare la terribile della carestia che colpiva la popolazione, messa di fronte alla tragica alternativa tra una disperata emigrazione e la morte. Tra quelli che non riuscirono o non vollero emigrare (un milione fuggirono all’estero) e quelli che non riuscirono a sopravvivere, si contò oltre un milione (!) di morti per inedia e stenti. E ora incombe la Brexit, con la preoccupante necessità di re-istituire confini tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda... I murales di West Belfast sono oggi (per fortuna) un’attrazione turistica oltre che un memoriale: ci sono taxi vintage che fanno fare il giro delle mura (Black Taxi Tour) e gruppi che arrivano con gli autobus (non immaginatevi però chissà quale affollamento). Ci sono dei moniti a non scrivere sui murales, ma alcuni sono letteralmente coperti di scritte (che entrano così a far parte integrante del dipinto, sovrapponendo una nuova trama a quella pittorica) e abbiamo visto scolaresche intere darci dentro di pennarelli sotto gli occhi benevoli degli insegnanti. A momenti piove di più, a momenti meno. Di nuovo in macchina raggiungiamo il castello di Belfast, in direzione nord ad una mezz’ora di distanza dal centro. E’ un castello baronale costruito nell’800 in stile scozzese, sul versante di una collina. Abbastanza scenografico dall’esterno, ha poco da vedere all’interno (comunque visitabile gratuitamente), ma è circondato da boschi, con un bel giardino all’italiana (dove sono disseminate in varie fogge effigi feline) e nella belle giornate (non è il caso di oggi) offre una vista sulla città e sul lough. Ancora migliore sarebbe la vista risalendo i sentieri sino alla cima della retrostante Cave Hill, ma ci vuole tempo, e piove piuttosto intensamente.
Torniamo verso il centro, ci troviamo imbottigliati nel traffico e alla fine molliamo la macchina in un parcheggio coperto a pagamento (5,5 sterline per tutta la serata), e quindi porto i miei compagni a visitare il Crown Liquor Saloon, un pub storico in Great Victoria Street, di fronte all’Opera, talmente bello da essere tutelato e gestito dal National Trust. Andiamo però a cenare qualche metro più in là, dove si trova il Robinson, un pub quasi altrettanto bello e d’atmosfera. Si mangia al piano superiore: piatti buoni e abbondanti serviti in un ambiente più asettico da un cameriere gentiluomo e da una sua collega piena di malagrazia. Quindi ultima tappa al Crown; con un po’ di pazienza ci accaparriamo uno dei separè in cui è diviso lo spazio a sedere: sembra di essere nello scompartimento di un treno di lusso d’epoca: sedili imbottiti, pareti di legno, vetri istoriati, e perfino un interruttore che aziona un pannello luminoso in sala (non abbiamo provato se ancora funzionante), per richiamare i camerieri. Beviamo Baileys e Bushmill (un whiskey irlandese), tentiamo qualche foto, e poi è il momento di lasciare Belfast. Tornando verso il parcheggio, passiamo accanto al Municipio, che è suggestivamente illuminato e i cui colori di riflettono scenograficamente sull’asfalto bagnato. Abbiamo prenotato un accomodation il più vicino possibile all’aeroporto, visto che il nostro aereo parte alle 6.30 del mattino. Il navigatore ci guida verso strade sempre più strette, sempre più buie, prive di indicazioni, senza un distributore di carburante per riempire il serbatoio prima della restituzione. Alessandra guida spedita; alla fine il navigatore ci dice che siamo arrivati; intorno c’è la campagna buia e piovosa e una casa. Da una finestra illuminata a pian terreno una donna spia da dietro una tenda; poi la luce si spegne e la signora viene ad aprire alla nostra scampanellata. Ma non capisce cosa vogliamo: noi rivendichiamo la nostra prenotazione, ci ostiniamo a mostrarle a riprova il display imperlato di pioggia del nostro tablet, ma lei ci spia da dietro uno spiraglio di porta, non capisce, scuote la testa, ripete cose che non capiamo. Alla fine desistiamo scoraggiati, mentre lei va spaurita a ring the boss. Risaliamo in macchina e ci accorgiamo che poche decine di metri più in là c’è un viottolo che conduce ad una seconda casa. Anche questa totalmente priva di insegne, ma stavolta è quella giusta. Quando chiedo a Mirko se la signora della prima casa le era sembrata normale, risponde di no, e pur rendendoci conto di essere politically uncorrect e pur essendo dispiaciuti di aver fatto agitare la povera donna, non possiamo fare a meno di farci un sacco di risate al pensiero che forse abbiamo insistito per rivendicare la nostra prenotazione per due camere in quello che poteva essere un ricovero per persone con disturbi psichici. Ci sistemiamo; la padrona di casa è pratica e accogliente, la camera ampia, con una cabina armadio che ci basterebbe per vivere qui; il bagno è grande il doppio di molte camere d’albergo in cui abbiamo dormito e arredato con grande buon gusto. Ci aspetta qualche ora di sonno. Al risveglio troviamo un messaggio di Mirko, che dichiara di essere “up and running”. Ma è datato un’ora prima dell’ora concordata per il risveglio: aveva dimenticato infatti di non aver mai regolato l’ora sul fuso inglese. Comunque sia, è ora di partire...