Tra cayo e puerto; dove la spiaggia non è tanto bonita, il pesce è bonito ma asciutto, la strada è decisamente mala, e l'erba buena è finita. Facciamo una buona colazione, poi, su consiglio della famiglia che ci ospita, non andiamo a Cayo Levisa come avevamo pensato, ma puntiamo invece su Cayo Jutias. La strada molto bella attraversa la valle di Viñales con viste sui mogotes e le segnalazioni stradali per Cayo Jutias sono stranamente nuove e assidue. Raccogliamo un autostoppista, che ci guida all'ingresso del molo. La guida dice che l'entrata costa 1$, lì invece se ne pagano 5. Diffidiamo del nostro passeggero, che lasciamo sul posto, mentre noi giriamo cercando la spiaggia di Santa Lucia. Ma il paese è brutto e tutti quelli a cui chiediamo informazioni ci indirizzano verso Cayo Jutias, dicendoci che è una spiaggia “da turisti” e che è l'unica playa bonita nei dintorni. Quindi alla fine cediamo, paghiamo, evitiamo di riprendere lo stesso autostoppista di prima, e imbocchiamo una strada che corre sull'acqua e a fianco delle mangrovie. Non si capisce se il cayo sia effettivamente un'isola oppure no, in ogni modo arriviamo al parque, dove Josè saluta, si presenta, chiede un altro dollaro per il parcheggio, informandoci però che nel prezzo è compreso un refresco. Raggiungiamo infine la spiaggia, che è stretta, con una bassa vegetazione alle spalle, una folla di cubani e niente ombra. Ci spostiamo più in là, sotto i rami della vegetazione, dove c'è un po' meno gente. Facciamo un bagno, ma l'acqua non è trasparente come a Maria La Gorda. Io e Enzo passeggiamo per una mezza dozzina di chilometri, fino alla punta del cayo, poi torniamo e facciamo un altro bagno. Andiamo al bar della spiaggia, ma non si resiste per le zanzare (“solo oggi?” chiede ironicamente un avventore svizzero). Non ce la facciamo e scappiamo. Dopo un po' di esitazione, ci dirigiamo verso Puerto Esperanza. Raccogliamo una signora che fa l'autostop. La strada è pessima, asfaltata a singhiozzo e piena di buche. Mala, la definisce la nostra passeggera; le diamo ampiamente ragione le chiediamo se non ci sia una strada alternativa, ma lei risponde di no; le chiediamo se è tutta così e lei senza esitazione risponde affermativamente, ma ci sprona a continuare: “Estamos llegando!”. Il paesaggio comunque è piacevolmente bucolico, con una campagna alberata popolata da animali, cavalieri, giocatori di pelota (il baseball cubano) in mezzo ai campi. Chiediamo informazioni a un posto di controllo, dove una coppia è intenta a baciarsi. Scendiamo, piove, risaliamo, non sappiamo cosa fare. Un bambino ci chiede di tutto, poi tenta di aprirci la macchina. Enzo si mette a parlare pedagogicamente con i bambini. Arriviamo al molo, in una strana atmosfera meteorologica, elegiaca e fosca insieme. Un ragazzo butta in mare un cane dal molo. Ripartiamo, mentre scoppia un acquazzone. Al bivio raccogliamo un autostoppista e ci dirigiamo verso casa. A cena mangiamo un pesce bonito, forse “proibito”, buono ma un po' troppo asciutto. In tv seguiamo un discorso di Fidel, o parte di esso, poi si passa ai mondiali di atletica e Alessandra si piazza sul divano accanto al padrone di casa a tifare per i salti in alto del mitico Sotomayor. Al “Tres vasos” è finita la yerba buena, e quindi beviamo rum coli (quello che da noi si chiama Cuba libre) al posto del mojito. Può succedere anche questo...
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Dove i cani volano in mare, ci parlano della storia del mondo, ci ricordano che non siamo Dio e ci annacquano i mojitos. Partiamo dopo colazione e grandi saluti con la famiglia che ci ha ospitati. Raccogliamo un autostoppista con macchina in avaria, che ha un fratello in Italia, e lo lasciamo poco dopo da un fratello che ha la macchina in avaria. Puntiamo verso Pinar del Rio, poi imbocchiamo l'autopista per l'Avana. La strada è scorrevole, poco interessante, in un paesaggio piuttosto piatto, con gruppi di autostoppisti che aspettano sotto i ponti. A L'Avana ce la caviamo abbastanza bene sulla tangenziale, ma riusciamo ad arrivare all'altra autopista, non segnalata, solo grazie alle indicazioni di un'altra signora cui abbiamo dato un passaggio. Ci fermiamo in un autogrill (chiamiamolo così), dove mangiamo pizza, beviamo Cuba libre, e nutriamo un cagnolino affamato. Ma a questo punto esitiamo, incerti se dirigerci verso la penisola di Zapata, la Baia dei porci, o in qualche altra direzione. Alla fine decidiamo di puntare su Cienfuegos. Abbiamo un indirizzo che ci ha dato Rosa a l'Avana: da Osvaldo e Nieves in calle 54. Osvaldo è un uomo affabile, forse fin troppo; la camera dà su un cortiletto interno. Usciamo per una passeggiata verso la Plaza Mayor, lungo una via pedonale. Arriviamo in una bella piazza con edifici coloniali imponenti, ma stanno arrivando anche nuvole nere-bluastre che esplodono poi in acquazzone. Ci rifugiamo sotto i portici del Prado; un uomo intanto vende frutti rotondi chiamando “Chupa! Chupa!”. Andiamo verso la zona portuale, in un quartiere squallido, sotto un cielo spiacevolmente fosco. Sul molo, un ragazzo in pantaloncini rossi, con la collaborazione di una ragazza, afferra un cane per le zampe posteriori e dopo averlo roteare in aria lo scaglia in mare il più lontano possibile, per divertirsi poi a vederlo annaspare verso riva e arrancare per risalire. Lo fa una volta, poi quando risalito il cane è faticosamente risalito lo riprende e lo fa volare in mare una seconda volta. A questo punto non riusciamo più a trattenere Alessandra, che lo copre di insulti. La trasciniamo via a forza, schiumante di rabbia. Un po' più in là c'è un albero gigantesco, con radici aeree, e pescatori: un anziano ci attacca bottone parlando via via di Garibaldi, Macchiavelli, Fouchet, della Rivoluzione francese, della storia del mondo e così via. Più di quanto ci aspettassimo. Poi si ferma a parlare con noi anche Manolo, un giovane pescatore, accompagnato da due bambini. I suoi sono discorsi amari: il sogno della fuga verso gli Usa, l'impossibilità di muoversi e viaggiare, la povertà come situazione e come prospettiva. Quando Alessandra gli dice che noi abbiamo deciso di non mangiare cibi che a loro sono proibiti, lui disapprova, le dice: “No, cosa c'entra, tu fai la tua vita; desfrutela, fallo divertire; tu non puoi cambiare le cose, tu non sei Dio”. Gli regaliamo qualche soldo, inadeguatamente. Riflettiamo su Angelo, che ci aveva parlato della spensierata allegria del popolo cubano, sempre allegro e pieno di voglia di cantare e di ballare. Noi stiamo facendoci un'idea molto ma molto diversa. Dopo cena usciamo; al Parque mangiamo una coppa di gelato a prezzo ragionevole, poi passeggiamo lungo il brutto Malecon, prolungamento del Prado, come ci ha consigliato Osvaldo in modo un po' balordo. Ci fermiamo ai chioschi, tentando di avere un mojito, ma facendoci – chissà perché - ridere dietro. Alla fine torniamo su una carrozzella a cavalli (con lo sconto: 1$ per tutti e quattro, invece di 2). Infine, su idea di Simona, andiamo a bere qualcosa alla Cafeteria Venecia: ma l'ambiente è sgarrupato, un uomo senza un orecchio prende le ordinazioni con fastidio, i mojitos fanno schifo (gli ingredienti sembrano essere acqua, qualche goccio di rum, e qualche nocciolo di lime), l'acqua con gas è servita nella bottiglia dell'acqua senza gas, e la birra non è buona. Il conto è di 7$; discutiamo con il cameriere e alla fine gliene diamo 5. Andiamo via abbastanza irritati, ma almeno la notte è senza zanzare. Dove Eulalia giudica le nostre ragazze ben conservate e finiamo poi nella casa delle mummie; dove visitiamo una bella città coloniale e assistiamo allo spettacolo delle saette. Dopo colazione salutiamo i nostri ospiti e partiamo. L'autostoppista di oggi ha una voce strana, scoprirò poi che si chiama Eulalia (che sarebbe però il suo secondo nome), e fa la dentista all'ospedale di Trinidad, dove guadagna 13$ al mese e dove è di turno stanotte. E' sposata e ha un bambino piccolo, terribile. Lei ha 30 anni; saputa l'età di Alessandra e di Simona dice che sono “ben conservate”. E' una compagna di viaggio petulante ma simpatica; parla in continuazione, finché non si addormenta. In direzione di Trinidad il panorama è abbastanza bello, ondulato. Una volta in città puntiamo verso il centro storico per cercare un alloggio. Lo troviamo in Calle Guinart, al limite dell'area pedonale, in una delle rare case coloniali a due piani. Prendiamo una camera unica, con due letti matrimoniali, per 20$. Le padrone di casa sono anziane, e un po' strane, e altre ancora più anziane si aggirano per la casa. Tra noi ne parliamo inventandoci epiteti e storie poco cortesi (chiamiamo la casa l'ostello della gioventù, le donne sono di volta streghe, mummie, zombi, iguane); detto così sembriamo cattivi, ma in realtà c'è sempre una sfumatura di benevolo affetto nelle nostre cattiverie. Di fronte a loro ci sentiamo giovani, spregiudicati, e ben conservati. La casa è stata costruita nel '700, ha altissimi soffitti in legno, architravi intarsiate; per salire al piano superiore c'è una scala a chiocciola di pietra, scolpita e dipinta con tenui colori pastello. C'è anche un bel balcone affacciato sulla Guinart, piena di turisti. Visto che fa caldo, decidiamo di passare le prime ore del pomeriggio puntando verso la montagna. Saliamo a Tope de Collantes su una strada ripida e tortuosa, spesso con la macchina in prima. Facciamo una sosta al mirador, da cui si vede la penisola Ancon, la laguna e le montagne. Facciamo passare uno scroscio di pioggia, poi arriviamo a Tope, dove c'è un albergo terapeutico, qualche casermone, un ufficio informazioni chiuso, una cafeteria dove è in corso una riunione politica, e quindi non ci servono, un chiosco dove si paga, salato, in dollari. La vegetazione intorno è bella , ma non troviamo nessuna escursione possibile, e poi piove di nuovo. Torniamo e lasciamo la macchina al parcheggio degli autobus, pagando 2$; una signora simpatica ci spiega la tradizione dei compleanni collettivi, che si festeggiano sul luogo di lavoro, mettendo insieme più anniversari che cadono nello stesso periodo. Al mirador mi sono accorto di avere ancora in tasca le chiavi della casa di Cienfuegos, che purtroppo mi sono scordato di restituire: così io e Alessandra andiamo all'ufficio postale per spedirle al proprietario. Osserviamo divertiti le due impiegate che confezionano un pacchetto creativo. Giriamo per Trinidad, che è una città assai carina, con un centro coloniale ottimamente conservato, dalle strade lastricate e con le belle case coloniali, in genere non porticate come in altre città che abbiamo visitato. Alcune case si visitano come musei; le chiese invece non mi sembrano particolarmente belle rispetto ad altre già viste, ma le recinzioni in ferro battuto verniciate di bianco risplendono sotto il sole. Raggiungiamo Enzo e Simona in Plaza Mayor e con loro visitiamo il museo municipal e saliamo sulla torre, da cui godiamo del panorama della città. Andiamo alla Rumbos per prenotare un'escursione a Cayo Blanco; abbiamo qualche incertezza, poi prenotiamo un'uscita, forse in catamarano, per 20$, senza pranzo incluso, ma solo per me Ale e Enzo, perché Simona non si sente bene. La tipa della Rumbos è simpatica, ma ci spiega che a lei, come a tutti i cubani, sono vietate le gite in mare. Prendiamo un mojito al bar di fronte (2,5$), carino, che ha anche un servizio Internet. Questa sera non mangiamo in casa come d'abitudine, ma da Sol y Son, in un grazioso cortile interno, dove sia il pappagallo che il cameriere parlano da soli. E' un ristorante nominato da entrambe le nostre guide, dove mangiamo abbastanza bene. Dopo cena facciamo un giro in centro; in diversi locali suonano, ma noi ci fermiamo all'aperto, sulla scalinata di fronte alla cattedrale. Il gruppo che suona lì davanti non è un granché, ma lo spettacolo dei fulmini che solcano il cielo senza soluzione di continuità è assolutamente superbo. Dove facciamo un incontro inaspettato, nuotiamo sopra la barriera corallina, nutriamo un iguana a cetrioli e non salviamo una donzella in pericolo domando un cavallo imbizzarrito; dove poi ci sentiamo un po' a casa, ci facciamo prendere dalla ridarola e concludiamo con son y mojitos. |
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Tutta Cuba in 33 giorni, da Maria La Gorda a ovest a Baracoa all'est, da L'Avana a nord a Santiago a sud, attraversando tutte e 14 le provincie dell'isola (tranne la quindicesima, l'appartata Isla de la Juventud).
Nel 2001: un viaggio off line di Mauro e Alessandra.
Nulla se non quello che abbiamo visto, sentito, incontrato e vissuto di persona.
Un racconto, me ne rammarico, senza illustrazioni: la macchina fotografica aveva un problema di sovraesposizione che rende inutilizzabili la maggior parte delle foto fatte sulle spiagge, e le diapositive giacciono in qualche scatolone in cantina, in attesa che dei posteri volonterosi le digitalizzino...
Tutti
01 - L'AVANA
02 - L'AVANA
03 - L'AVANA
04 - L'AVANA-PINAR DEL RIO
05: LA BAJADA-MARIA LA GORDA
06: MARIA LA GORDA
07: MARIA LA GORDA
08: MARIA LA GORDA-VINALES
09: VINALES E Dintorni
10: VINALES- CAYO JUTIAS-PUERTO ESPERANZA-VINALES
11: VINALES-CIENFUEGOS
12: CIENFUEGOS-TRINIDAD-TOPE DE COLLANTES-TRINIDAD
13: TRINIDAD-CAYO BLANCO-TRINIDAD
14: TRINIDAD-VALLE DE LOS INGENIOS-SANCTI SPIRITUS-CAMAGUEY
15: CAMAGUEY-BAYAMO-BARTOLOME' MASO
16: BARTOLOME' MASO-SIERRA MAESTRA-SANTIAGO DE CUBA
17: SANTIAGO DE CUBA E Dintorni
18: SANTIAGO DE CUBA-BARACOA
19: BARACOA-PLAYA MAGUANA-RIO TOA-BARACOA
20: BARACOA-RIO YUMURI'-PLAYA MANGLITO-BARACOA
21: BARACOA-BANES
22: BANES-GUARDALAVACA-HOLGUIN
23: HOLGUIN-MORON
24: MORON-CAYO COCO-MORON
25: MORON-SANTA CLARA
26: SANTA CLARA-PLAYA GIRON
27: PLAYA GIRON-LAGUNA DEL TESORO-PLAYA GIRON
28: PLAYA GIRON-CALETA BUENA-PLAYA GIRON
29: PLAYA GIRON-MATANZAS-GUANABO
30: GUANABO-L'AVANA
31: L'AVANA
32: L'AVANA
33: L'AVANA
AGUADA DE PASAJEROS
ALTO DE NARANJO
Auomobili
Autostop
Ballo
BANES
BARACOA
BARTOLOME' MASO
BAYAMO
CALETA BLANCA
CALETA BUENA
CAMAGUEY
Carnevale
CAYO BLANCO
CAYO COCO
CAYO JUTIAS
Che Gueavara (mausoleo)
CIENFUEGOS
Cucina
CUEVA DEL INDIO
Economia
GUAMA'
GUANABO
GUARDALAVACA
HOLGUIN
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LA BAJADA
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SANTA CLARA
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SIERRA MAESTRA
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VEDADO
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VINALES