Dove facciamo un'escursione con Bruce Lee e con un vikingo, dove si cattura un serpente, si cammina su una scogliera lunare, si evita una buca letale, si danno sei passaggi, ci si addentra nella campagna cubana; e dove Alessandra sembra uscita da un film dell'orrore. Sveglia elle 7.30, colazione alle 8, partenza alle 8.30. Telè recupera gli altri tre escursionisti del nostro gruppo, che sono un giapponese che ribattezza subito Bruce in omaggio a Bruce Lee (Enzo si presenta come Jean-Claude Van Damme) e una coppia inglese, lei una bionda cool e lui una sorta di macho in stile vichingo. Io mi sono equipaggiato puntigliosamente: pantaloni lunghi antigraffi e antizanzare, scarpe chiuse per camminare sulle rocce, cappellino contro il sole, fazzoletto da collo, che poi fisserò al capellino per proteggermi il collo, stile legione straniera, forse in versione leggermente fantozziana. Gli altri sembrano tutti molto più disinvolti. Camminiamo prima sulla spiaggia bianca, tra conchiglie e coralli, poi nella boscaglia. Telè ci mostra e ci nomina piante e uccelli (tra cui i diffusi avvoltoi a testa rossa), ma Enzo lo batte negli avvistamenti. I granchi sono uno spettacolo a sé: ce ne sono di piccoli, di giganteschi, di rossi. Io avvisto un serpente, lungo almeno un paio di metri; l'aitante vikingo in infradito lo cattura a mani nude, lo maneggia e lo usa come trofeo per le foto ricordo. Stessa sorte capiterà ad un granchio gigante. Attraverso un terreno paludoso, infestato da nugoli di zanzare, arriviamo ad una scaletta di ferro che ci permette di superare una paretina di rocce: al di sopra è una distesa frastagliata di roccia grigia, tagliente e metallica sotto il sole. Con un fondo di bottiglia di plastica beviamo dell'acqua dolce raccolta da una cavità dove si raccoglie naturalmente, poi affrontiamo la traversata della distesa lunare. Alla fine bisogna discendere un'altra piccola parete rocciosa a picco verso il mare. Non è abbastanza alto per darmi le vertigini, ma abbastanza per darmi la paura di cadere. Rimango ultimo e Telè mi istruisce alla discesa. Ci troviamo su una spiaggetta semi-deserta. Facciamo il bagno, abbiamo portato le maschere le maschere, ma non si vede quasi nulla di interessante. Arriva un gruppo di ragazzi e ragazze cubani: dicono che studiano le tartarughe; intanto pescano un bel pesce giallo, nero e azzurro. Risalire la paretina risulta più facile. Facciamo il percorso all'inverso, ma evitiamo la palude costeggiando il mare. La strada è comunque lunga e il sole cocente. Torniamo che è quasi la 1.30; per le 14 dobbiamo essere pronti per il check out. Il gruppo si disperde, noi facciamo la doccia, prepariamo i bagagli e usciamo. Paghiamo il conto, che per i (nostri) standard cubani è abbastanza salato: 40$ al giorno la stanza, 15$ per ogni cena, 5$ per ogni colazione e 10$ a testa per l'escursione. La macchina è rovente, ma si parte comunque, imboccando la strada verso Pinar. La strada è piena di buche (una è tremenda: ma anziché ripararla hanno impiegato le risorse per mettere un cartello stradale ufficiale che raccomanda di stare attenti, altrimenti si scassa la macchina), ma migliora progressivamente e mi sembra più interessante di quanto mi fosse parso all'andata, forse perché ora il tempo è migliore. La strada si snoda nella boscaglia, poi attraversa un lussureggiante paesaggio con prati, campi, palme reali e altri begli alberi, piccole colline, villaggi e case isolate, fienili col tetto di paglia, stagni e animali. Diamo altri sei passaggi. Una signora e poi un'altra, una ragazza carina con fratello (siamo in sei), un uomo, una nonna con nipotino foruncoloso che frigna quando deve stare in braccio ad Alessandra, e una signora distinta con capelli lunghi e grigi. Anche lei è un ingegnere agronomo, e le chiediamo se conosce Servilio (chissà se ha ritrovato i suoi occhiali; noi comunque non li abbiamo rubati). Ci parla della coltivazione del tabacco, che si coltiva proprio in questa zona, e per ringraziamento ci regala un avocado, che però per nostra negligenza marcirà in macchina e verrà mangiato dai maialini di Viñales, dove siamo diretti, in un entroterra bucolico. L'ultimo tratto di strada scorre in un bel paesaggio, tra pianure e montagne verdeggianti. Ci fermiamo all'inizio del paese e chiediamo ad una casa segnalata dalla guida: non ha posto, ma interviene la dirimpettaia che dice che c'è posto da sua madre. In effetti sembra che ci siano una cinquantina di affittacamere e non molte case in più. Ci accompagna. E' una camera unica, con due letti matrimoniali, due ventilatori, ecc.; il prezzo è di 15$ per tutti e quattro, più sei ciascuno per la cena e due per la colazione. Accettiamo, anche perché dobbiamo ammortizzare l'esborso per Maria La Gorda. E' una famiglia simpatica, composta da una signora schietta, un marito serio ma simpatico, una figlia dall'aria in gamba, un genero cerimonioso (“vogliamo che vi sentiate come a casa vostra”) e un figlio più giovane. Alessandra rimane in camera, devastata dalle zanzare “come in un film dell'orrore” (espressione che fa ridere Simona, ma in effetti raramente le zanzare la pungono e io non l'ho mai vista così conciata); io esco con Enzo e Simona, passiamo per la piazzetta della chiesa, visitiamo la Casa della Cultura (ci sono quadri esposti, un teatrino, tavoli decorati con conchiglie), e poi ci fermiamo a bere mojito al bar “3 bicchieri”. Rientrati a casa, ci sediamo a tavola per la cena, con un menù ottimo, abbondante e vario con pescado, riso e fagioli, verdure e avocado, malangas fritte e cotte, e una quantità di frutta (polpelmo, ananas, papaya e un frutto dal sapore di amaretto di cui non ricordo il nome). Cominciamo a scoprire che la cucina casalinga cubana è inaspettatamente più ricca, varia e gustosa di quella che lasciavano sinistramente presagire le guide che avevamo letto - in cui si profetizzava che avremmo mangiato quasi esclusivamente riso e fagioli (spiritosamente ribattezzato dai cubani moros y cristianos, ispirandosi ai colori degli ingredienti) e carne di pollo e maiale – e migliore di quella dei paladar, cioè i ristoranti privati autorizzati dallo Stato, che sono risultati spesso deludenti. Alla tv danno notiziari con servizi della Cnn Espanol, ma tagliati al punto giusto. Facciamo ancora un giretto verso il centro, poi andiamo a dormire.
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Dove conosciamo i camping cubani ma alla fine finiamo dai bigotti e dormiamo in una camera proibita. E' arrivato il momento di lasciare anche Baracoa. La zona è molto bella: con una vegetazione rigogliosa, il paesaggio movimentato dalle ondulazioni del terreno, le capanne di legno con il tetto di paglia e le scene di vita rurale. Anche le spiagge dei dintorni sono molte belle. Telefoniamo, facciamo benzina e partiamo: la strada da Baracoa a Moa è molto brutta, venti chilometri di strada dissestata con buche e tratti non asfaltati, pur in un paesaggio molto bello; seguiamo una Daewoo rossa che ci fa da apripista. Dopo Moa si attraversa una brutta zona industriale con cave e ciminiere, ma la qualità della strada, percorsa anche da camion, migliora. L'ultimo tratto per Banes peggiora di nuovo, ma ci rallegra un autostoppista in uniforme verde che ci grida indicazioni praticamente metro per metro. A Banes sembra che ci siano solo sei casas particurales: in una c'è una cicciona (“adelante, que el sol esta picante!”), che ha una camera legale e un'altra no, per ciascuna delle quali chiede 20 dollari. Va all'Ufficio Immigrazione a chiedere il permesso di utilizzare anche la seconda stanza, ma non glielo concedono; alla fine ci arrangiamo: pagheremo 30 dollari per entrambe le camere, alloggiando clandestinamente. Ci sdraiamo e ridiamo immaginando di dormire tutti nello stesso letto. Poi proviamo comunque a chiedere in tutti gli hotel, i motel e i camping dei dintorni: all'Oasis, lì vicino, dove mi distraggo per una bella lucertola dalla coda arricciolata, non hanno camere per divisas (cioè per stranieri che pagano in valuta), al Brisas (con una collinetta e un laghetto) hanno un plano vacacionales, penso riservato ai locali, e non c'è posto; al campeggio Puerto Rico (secondo la guida a 3 chilometri, che a noi sembrano molti di più, lungo una strada con buche, acqua e fango) sapranno se avranno delle camere libere solo domani (non hanno docce e ci si lava con i secchi). Facciamo una camminata fino alla spiaggia e poi lungo il mare, ma c'è sporcizia, il cielo è nuvoloso, il mare agitato. Ma dopotutto troviamo una spiaggia che non è male, e ritorna anche il sole, già basso. Io passeggio, Enzo fa il bagno, Simona legge, Alessandra si dedica all'enigmistica. Mangiamo un ananas, ma poi Simona comincia a non sentirsi bene. Rientriamo col buio, ma Simona ha disturbi intestinali e vomito. Io, Alessandra e Enzo mangiamo in clandestinità e senza infamia né lode in un locale poco illuminato, dove occhieggiamo scritte e adesivi del tipo “Solo Cristo salva”, “Jehova es mi pastor”, “Cattolicesimo una fede in crisi” e via così. La signora oltre che bigotta è anche maneggiona e antipatica, e suo marito il giorno dopo ci offre benzina “nera”. Facciamo un giretto nella strada principale, ma l'animazione del giorno è sparita; beviamo una bibita in un chiosco e poi io e Ale andiamo a dormire nella nostra stanza proibita. |
AutoreTutta Cuba in 33 giorni, da Maria La Gorda a ovest a Baracoa all'est, da L'Avana a nord a Santiago a sud, attraversando tutte e 14 le provincie dell'isola (tranne la quindicesima, l'appartata Isla de la Juventud). ArchiviCategorie
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