BLONDE di Andrew DominikForse Blonde avrebbe potuto essere un capolavoro. Forse, se ci fosse stato un enorme correttore di bozze.
Dominik imbastisce una serie di sequenze fulminanti, come quell'incipit ipnotico e vertiginoso in cui madre e figlia attraversano l'aria dove danza la cenere, si dirigono verso il fuoco attraverso le fiamme, per approdare alla ricerca della morte sott'acqua; o le diverse sequenze in cui si passa fluidamente dalla realtà all'allucinazione onirica; o quella in cui in un secondo una disperata Norma Jeane si trasforma, davanti allo specchio del camerino, nella diva pervasa di luce Marilyn Monroe; e l'interpretazione di Ana de Armas, Marilyn/non Marilyn, è di quelle che lasciano segno e memoria nello spettatore. Dominik, sulla scorta del romanzo della Oates, preleva la Monroe dal caldo sogno hollywoodiano e la immerge nel bagno gelido dell'incubo. Ma due cose, forse, lo fregano: il partito preso e l'ambizione. Quello di Dominik è un racconto in chiaroscuro dove il chiaro è sparito, inghiottito dal buio di una negatività senza scampo. Da sceneggiatore, Dominik sposa senza dubbi e reticenze un'interpretazione edipica della fragilità della Monroe: che non conobbe mai suo padre e continuò a cercarlo negli uomini per tutta la sua vita; che non riuscì a superare il trauma rendendosi madre a sua volta; che non si sentì mai veramente amata e scelse di esserlo trasformandosi in un doppio di se stessa, un'irresistibile immagine di sensualità disponibile a qualsiasi intimità. Ma non c'è situazione descritta dallo Dominik regista, nel racconto della vita di quella che fu la diva più amata e più desiderata dello schermo, che non sia corrotta da una visionarietà che distorce e guasta, che non sia invasa da nefaste premonizioni sonore che inquinano anche le situazioni apparentemente più tranquille, quando anche ritirare un pacco alla porta diventa un incubo lynchiano. Dominik ripercorre metodicamente l'iconografia che è nella nostra mente e nei nostri cuori solo per allargare lo sguardo al di là dei margini della fotografia o del fotogramma, e mostrarci quanta infelicità, quanto squallore, quanta brutalità la circondino. Non sarebbe forse ancora di per sé un peccato mortale, non fosse che Dominik dilata il racconto a dismisura (rincorrendo le oltre mille pagine del romanzo cui si ispira), reiterando le situazioni e gli effetti lungo i 167 minuti del film; così si ripetono i fish eye e le allucinazioni; i suoi cinici amanti (gli junior di Chaplin e Robinson) tornano a tormentarla qua e là con incomprensibile crudeltà; i formati dell'immagine e l'alternanza colore/bianco/nero si succedono continuamente senza che se ne capisca sempre il motivo; le lettere del padre fantasma inseguono reiteratamente la protagonista lungo tutta la seconda parte del film; i feti che stanno dentro l'utero si moltiplicano tanto che alla fine acquistano addirittura il diritto alla parola; il padre che parlava alla figlia dalla propria fotografia, come se fossimo ne Il favoloso mondo di Amelie, alla fine accoglie in persona Norma Jeane tra le nuvole dell'aldilà. In molti hanno rimproverato al film il feto parlante, il padre angelico, la lunga fellatio in primissimo piano (che diventa proiezione nella proiezione – schermo nello schermo – tanto dell'autocoscienza infelice e dello sdoppiamento di personalità della protagonista che del voyeurismo dello spettatore); in meno hanno notato la soggettiva sull'occhio del dottore dall'interno della vagina della protagonista dilatata dallo speculum ginecologico (va bene voler indagare l'interiorità della donna e diva, ma quando è troppo è troppo...). Alla fine l'impressione è quella di un regista abilissimo e capace di soluzioni anche visive raffinate, ma sopraffatto dall'ansia di stupire, di disturbare, di scioccare, di épater les borgeois, di ingrassare lo sguardo dello spettatore anche a costo di servirgli palate di junk food insieme a pietanze ricercate. Lo stesso finale ne è un esempio, capace di accostare le pietose e limpide sequenze intorno al corpo di Marilyn esanime nel letto (una sorta di ultimo beffardo e lugubre commiato da tutti gli uomini che la sognavano nuda tra le lenzuola), mentre le luci del mattino penetrano dalle finestre e ne accarezzano pietosamente le estremità senza vita, alla grottesca immagine del padre tra le nuvolette - in perfetta tenuta da seduttore anni '30, con tanto di cappello in testa, baffetti assassini e sorriso malizioso. No, ci voleva un produttore di quei tempi lì, di quelli con le forbici in mano. O semplicemente un correttore di bozze. Ma uno bravo. Ma non tutti la pensano così: Mauro Caron ad esempio è molto più indulgente: clicca qui per leggere la sua recensione in Hollybloog.
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Dr. Caron e Mr. NoracRicordate quel film di John Woo in cui Travolta e Cage si scambiavano le facce e così il buono aveva la faccia del cattivo e il cattivo aveva la faccia del buono? e poi il cattivo si sfregia la faccia da solo in modo che il buono non possa più riavere la propria faccia e poi il buono colla faccia da cattivo uccide il cattivo colla faccia da buono e così via? Archivi
Novembre 2023
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