Essì, vabbè che poesia fa rima con malinconia e bellezza con tristezza, ma non bisogna neanche esagerare. Tanto per cominciare il vero nome di Zucchina è Icare, il nome mitico di chi ci prova a volare, ma cade e muore. E anche l’iconografia mette in sospetto: Zucchina ha intorno agli occhi delle occhiaie blu (il colore internazionale della tristezza) e ha un naso sottile e arancio-carne-viva piuttosto impressionante; gli alberi sono stati potati e i rami sono tronchi e senza foglie. E’ un mondo senza madri; il ricordo della mamma morta che Icare si porta dietro è una lattina di birra perché lei era un’abulica alcolizzata. I suoi compagni all’istituto hanno tutti alle spalle storie terribili (e molto poco da cartone animato): i tocchi umoristici sono infantili (il pistolino che esplode, i gavettoni in testa al poliziotto buono), ma le tragedie sullo sfondo sono molto precise. Lo stesso Icare ha provocato addirittura, se pur involontariamente, la morte delle sua mamma. Tranquilli: tutto finisce bene. Ma non per questo la tristezza diminuisce di un milligrammo. Tanto per dire, guardate la luce che illumina l’appartamento del poliziotto quando Icare e Camille vi fanno il loro ingresso, impacciati e imbarazzati. E pensare che tutto sta andando per il meglio! Senza contare che diventare fratello e sorella, per due innamorati, non è certo la soluzione a tutti i loro problemi. E giusto per uscire dal cinema inseguiti dall’ala lunga della malinconia, sui titoli di coda risuonano addirittura le note di Le vent nous portera. Vi dice niente? La canzone dei Noir Désir, il cui cantante e leader uccise a pugni la moglie Marie Trintignant (figlia di Jean-Louis, diventata muta da bambina dopo la morte della sorellina), e la cui moglie precedente si è impiccata... Mmh. Natale si avvicina: al cinema dovreste trovare sicuramente anche qualcosa di più allegro. Leggi l'opinione di Mauro Caron in HOLLYBLOOG
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ANIMALI NOTTURNI di Tom FordTom Ford stratifica il suo film (adattamento del romanzo Tony e Susan, di Austin Wright) su due piani contrapposti. Uno fatto di immagini eleganti, levigate, dove l'esistenza del male, del dolore, della violenza è stata rimossa e sublimata in opere d'arte appese alle pareti delle gallerie - dove danzano nude mostruose donne obese, esibendo grottescamente la propria carne flaccida, le proprie cicatrici, la propria deformità, come nello scioccante prologo sotto i titoli di testa, o dove campeggia come un monito la parola “REVENGE”, grondante colore che cola come sangue – o messe sotto teche di vetro che racchiudono animali trucidati. L'altro sporco di polvere, di sangue, di escrementi, di malattia, di sudore, sputi e vomito. Il primo ambientato in luoghi chiusi ed esclusivi (si veda la sala della riunione, di forma circolare, in cui un consiglio di amministrazione discute appunto dell'espulsione di una collaboratrice), abitato da personaggi vestiti di abiti altrettanto esclusivi; l'altro ambientato per le strade, nel deserto, in luoghi aperti ed esposti. Si veda il diverso ruolo esemplare che assumono i punti di passaggio tra interno ed esterno nei due diversi film, l'uno dentro l'altro, che compongono Nocturnal Animals: nel primo le finestre (come le grandi vetrate della casa di Susan) sono barriere apparentemente fragili ma impenetrabili, che separano e proteggono dall'esterno (il luogo dove la morte esiste: un uccellino morto oltre il vetro, sotto lo sguardo della donna), come un acquario che ripara ma che imprigiona; nell'altro porte e finestre sono sempre permeabili, vulnerabili, aperte all'intrusione, all'irruzione del pericolo e del male: come i finestrini della macchina della famiglia di Edward, abbassati a mezz'asta, che non possono fermare l'irrompere della tragedia, o le porte sfondate, o le finestre senza vetri intorno cui volano le mosche. Perfino la defecazione avviene all'esterno delle case, sotto gli occhi degli estranei. Come Edipo, consumata la tragedia, Tony nel finale arranca cieco, in un luogo aperto e come sempre senza nascondigli, ma dove il male è finalmente fuori dalla vista. Dunque un film si svolge in un luogo che confina il male al proprio esterno; il secondo nell'esterno, dove il male regna. Apparentemente. Perché i due piani, l'uno dominato dall'infelicità, l'altro dal dolore, alla fine comunicano: dal passato di Susan, resuscitato dalla vorace lettura del libro che l'ex-marito Edward le invia senza alcuna spiegazione, affiora al di sotto della superficie senza scalfitture e graffi il peccato originale del tradimento, dell'abbandono, della morte. Il film si conclude con un incontro mancato: ora sia Susan che Edward sono nel mondo al di fuori, come animali notturni accecati dal dolore, destinati a non incontrarsi più. Leggi i dubbi di Mauro Caron su HOLLYBLOOG |
Dr. Caron e Mr. NoracRicordate quel film di John Woo in cui Travolta e Cage si scambiavano le facce e così il buono aveva la faccia del cattivo e il cattivo aveva la faccia del buono? e poi il cattivo si sfregia la faccia da solo in modo che il buono non possa più riavere la propria faccia e poi il buono colla faccia da cattivo uccide il cattivo colla faccia da buono e così via? Archivi
Novembre 2023
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