Lasciate ogni speranza, voi che entrate in Titane. abbandonate qualsiasi speranza di logica, di coerenza, di verosimiglianza. Titane non è e non ha nulla di tutto questo. Titane racconta di una donna che prima è una ballerina sexy, poi un'assassina, poi l'amante di un'automobile, poi una serial killer, poi un ragazzo scomparso dal viso scomposto e tumefatto, poi un figlio ritrovato, poi un apprendista pompiere, poi una creatura gravida, poi una madre aberrante. Alexia è fatta di carne e della placca di titanio che ha in testa, parte donne e parte uomo, parte assassina efferata e parte salvatrice e datrice di vita, parte umana e parte macchina, i cui capezzoli e la cui vagina secernono un liquido scuro come olio motore anziché latte e sangue. Come il film che racconta di lei, è' una creatura fluida, ibrida, incompleta, transgender, transumana o oltreumana. Come il film che la racconta, forse è solo un punto di passaggio, verso un'umanità e verso un cinema che già oggi sono in gestazione. Alexia e Titane (i Titani sono i proto-dei della mitologia greca, forze primordiali e mostruose che vengono prima dell'intervento regolatore e ordinatore degli dei olimpici) vivono entrambi di opposizioni: maschile e femminile, padri e figli/figlie, infanzia ed età adulta, assassini e soccorritori, carne e metallo, esibizione e occultamento, seduzione e ripugnanza, violenza e ricerca di amore, vita che viene tolta e vita che viene data, freddezza del metallo e calore delle fiamme e del desiderio carnale, canzonette ed echi solenni di musica barocca. Ma il gioco degli opposti conduce alla fine ad una composizione che sana tutte le dicotomie: attraverso un percorso delirante il punto finale sancisce la paradossale unità di una trinità blasfema che porta all'accettazione del diverso anche nelle sue forme più estreme, della com-passione di anime perdute in un atto estremo di ri-generazione. La Ducornau azzarda una narrazione giocata sull'eccesso e sul deragliamento, accumula tematiche cronenberghiane (la nuova carne commistione di umano e di artificiale, l'erotismo delle macchine, la maternità mostruosa), impagina immagini fiammeggianti, dall'impatto onirico e disturbante, pompa il film di steoridi anabolizzanti come il suo disperato protagonista maschile, e mette in scena un corpo estraneo e letale che non ha più nemmeno la consolazione della bellezza e del fascino che Scarlett Johansson conferiva alla propria altrettanto ferale aliena assassina in Under the Skin. Mentre Alexia sfonda il cranio e il palato di una delle sue vittime con la gamba di uno sgabello, Caterina Caselli canta “Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu”. E sembra che lo stesso monito la Ducornau lo rivolga a noi spettatori, mentre lei scardina senza paura e senza pudore le regole del “buon cinema” e partorisce, come la sua antieroina, una creatura strana e aliena, che non tutti saranno disposti ad accettare. Mauro Caron è per l'appunto dalla parte di quelli che non sono disposti ad accettare: leggi qui la sua recensione di Titane. Mettete un like o un commento per farmi capire quale vi convince di più?
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Dr. Caron e Mr. NoracRicordate quel film di John Woo in cui Travolta e Cage si scambiavano le facce e così il buono aveva la faccia del cattivo e il cattivo aveva la faccia del buono? e poi il cattivo si sfregia la faccia da solo in modo che il buono non possa più riavere la propria faccia e poi il buono colla faccia da cattivo uccide il cattivo colla faccia da buono e così via? Archivi
Novembre 2023
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