ARRIVAL di Denis VilleneuveVillleneuve ci ha abituato a storie involute, piene di segreti e di agnizioni, basando le proprie narrazioni su sceneggiature sempre interessanti ma che spesso sembrano fallate in qualche loro elemento. Qui parte da un racconto fantascientifico (leggi la mia recensione di Storie della tua vita, l'antologia di Ted Chiang da cui è tratto, in Blog Notes)per imbastire una storia apparentemente semplice (atterrano gli alieni; si cerca di comunicare con loro) ma in realtà complessa (problemi di interpretazione che si sommano a quelli di comunicazione; il tempo va a gambe all'aria e si avviluppa in paradossi). Non si può disconoscere l'abilità sopraffina di Villeneuve, forse uno dei migliori registi della sua generazione, a usare immagini e suoni, musica e luce per creare delle atmosfere profondamente suggestive. Ma, appunto, in questo film, tutto è troppo semplice e nello stesso tempo troppo complicato. Semplice il film nella sostanziale monotonia (nel senso che utilizza un solo tono, basso e cupo); nella ristrettezza del parco personaggi (una+2+qualche altro semianonimo+2seppie giganti aliene: ma possibile che tutta la squadra scientifica statunitense sia costituita da un paio di persone più qualche portaborse?!); nella facilità di decifrazione della scrittura action painting degli alieni che si esprimono a macchie di Rorschach; nella rappresentazione degli alieni, due seppie giganti sparainchiostro che vengono battezzate Tom & Jerry (avrebbero dovuto essere Gianni e Pinotto per rispettare l'originale Abbot e Costello), e delle astronavi, degli ovoidi scuri che sembrano alludere al sempiterno monolite di 2001 Odissea nello spazio. Complicato invece nelle spiegazioni non date, lasciando lo spettatore ad arrangiarsi a ricomporre gli indizi buttati lì, mentre esce dal cinema un po' interdetto. Se il contatto con gli alieni buoni deriva da Incontri ravvicinati del terzo tipo, per andare un po' più nel profondo le metafore sulla nascita e sulla rigenerazione si erano già viste da poco in Gravity; e Arrival in più adotta uno stile punitivo, rigido, grigiastro, spegnendo la fotografia e negandole qualunque sprazzo di sole. Certo, bello il fuoco corto della fotografia nelle scene più intime, suggestiva la colonna sonora; brava la Adams (ma se non fosse tormentata da sprazzi di flashback o flashforward rischierebbe l'effetto maestrina zitella); Renner è un dignitoso cavalier servente ma Withaker fa sempre un po' la figura del bambolone, anche con i gradi di colonnello. Gli altri sono solo sagome. Sulla recitazione delle seppie giganti per il momento consentitemi di sospendere il giudizio, incompetente come sono a valutare gli stili di recitazione non terrestri. Pensi che Oruam Norac sia stato un po' ingeneroso? che le cose sono un tantino più complesse di così? Allora magari ti troveresti più d'accordo con la recensione di Mauro Caron...
0 Commenti
|
Dr. Caron e Mr. NoracRicordate quel film di John Woo in cui Travolta e Cage si scambiavano le facce e così il buono aveva la faccia del cattivo e il cattivo aveva la faccia del buono? e poi il cattivo si sfregia la faccia da solo in modo che il buono non possa più riavere la propria faccia e poi il buono colla faccia da cattivo uccide il cattivo colla faccia da buono e così via? Archivi
Novembre 2023
Categorie
Tutti
|