Dove incontriamo scocciatori e vediamo bei fondali; dove ci preparano una cena a sorpresa e tra uno zapote e l'altro parliamo del senso della vita con una farmacista e un professore. La cioccolata della colazione di oggi è meno densa e buona di quella di ieri. Rispetto a ieri decidiamo di esplorare il lato opposto. Un ragazzo incontrato ieri da Enzo e Simona ci ha consigliato di andare a Boca de Rio Yumurì, ma all'arrivo siamo assediati da parcheggiatori, procacciatori e bambini vari. Paghiamo due dollari a testa per un giro in barca, ma la distanza percorsa sarà sì e no di duecento metri; poi si cammina sul greto insieme a due tizi, alcuni bambini e varia umanità. Ci bagniamo nel fiume, ma l'atmosfera è un po' rovinata e non parliamo d'altro che di soldi e seccatori. La barca per il ritorno devono andare a prenderla a nuoto, poi andiamo avanti con una discussione col parcheggiatore e alla fine diamo qualche dollaro agli accompagnatori. Torniamo indietro verso Playa Manglito, che è una spiaggia stretta con palme e mangrovie ma dotata anch'essa di un anziano scocciatore. I bagni in mare però sono veramente belli, con fondali bellissimi: i pesci non sono molti ma il fondo ospita coralli, anche in forma di albero, e spugne, e colori che vanno dal viola al verde, al giallo zafferano e così via. Passeggiamo, facciamo bagni, scattiamo foto e poi torniamo verso casa. La cena è – di nuovo - “a sorpresa”: William evidentemente ha possibilità e voglia di stupire che gli altri nostri precedenti ospiti non possedevano: ci hanno preparato addirittura carne di tartaruga; buona, ma – non c'è bisogno di dirlo – è l'occasione per l'ennesimo dibattito sul politicamente corretto. La sera usciamo per una passeggiata; non c'è niente da fare o da vedere e la serata sembra finita, invece la sosta a un chiosco per bere uno zapote diventa lo spunto per una conversazione con i due gestori, una bellissima coppia di una certa età, lei (un ex-farmacista ospedaliera) simpatica e carina, lui (un insegnante di storia in pensione) che la mattina, alla stessa ventana, aiuta nella vendita di pizza e la sera vende batidos insieme alla moglie. Intanto il ghiaccio finisce, un ciclotaxista si ferma ad ascoltare la nostra conversazione, una signora con una brocca ci saluta passando, e si crea una strana atmosfera di intimità. Ma io come spesso succede parlo troppo poco; quando ci chiedono se abbiamo figli diciamo di no e i due dicono che è un peccato: “si lotta per i figli”. Si insinua una nota di malinconia, ma siamo stati bene, in un'atmosfera naturale e spontanea di simpatia e di cordialità. Un breve incontro da ricordare.
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Dove conosciamo i camping cubani ma alla fine finiamo dai bigotti e dormiamo in una camera proibita. E' arrivato il momento di lasciare anche Baracoa. La zona è molto bella: con una vegetazione rigogliosa, il paesaggio movimentato dalle ondulazioni del terreno, le capanne di legno con il tetto di paglia e le scene di vita rurale. Anche le spiagge dei dintorni sono molte belle. Telefoniamo, facciamo benzina e partiamo: la strada da Baracoa a Moa è molto brutta, venti chilometri di strada dissestata con buche e tratti non asfaltati, pur in un paesaggio molto bello; seguiamo una Daewoo rossa che ci fa da apripista. Dopo Moa si attraversa una brutta zona industriale con cave e ciminiere, ma la qualità della strada, percorsa anche da camion, migliora. L'ultimo tratto per Banes peggiora di nuovo, ma ci rallegra un autostoppista in uniforme verde che ci grida indicazioni praticamente metro per metro. A Banes sembra che ci siano solo sei casas particurales: in una c'è una cicciona (“adelante, que el sol esta picante!”), che ha una camera legale e un'altra no, per ciascuna delle quali chiede 20 dollari. Va all'Ufficio Immigrazione a chiedere il permesso di utilizzare anche la seconda stanza, ma non glielo concedono; alla fine ci arrangiamo: pagheremo 30 dollari per entrambe le camere, alloggiando clandestinamente. Ci sdraiamo e ridiamo immaginando di dormire tutti nello stesso letto. Poi proviamo comunque a chiedere in tutti gli hotel, i motel e i camping dei dintorni: all'Oasis, lì vicino, dove mi distraggo per una bella lucertola dalla coda arricciolata, non hanno camere per divisas (cioè per stranieri che pagano in valuta), al Brisas (con una collinetta e un laghetto) hanno un plano vacacionales, penso riservato ai locali, e non c'è posto; al campeggio Puerto Rico (secondo la guida a 3 chilometri, che a noi sembrano molti di più, lungo una strada con buche, acqua e fango) sapranno se avranno delle camere libere solo domani (non hanno docce e ci si lava con i secchi). Facciamo una camminata fino alla spiaggia e poi lungo il mare, ma c'è sporcizia, il cielo è nuvoloso, il mare agitato. Ma dopotutto troviamo una spiaggia che non è male, e ritorna anche il sole, già basso. Io passeggio, Enzo fa il bagno, Simona legge, Alessandra si dedica all'enigmistica. Mangiamo un ananas, ma poi Simona comincia a non sentirsi bene. Rientriamo col buio, ma Simona ha disturbi intestinali e vomito. Io, Alessandra e Enzo mangiamo in clandestinità e senza infamia né lode in un locale poco illuminato, dove occhieggiamo scritte e adesivi del tipo “Solo Cristo salva”, “Jehova es mi pastor”, “Cattolicesimo una fede in crisi” e via così. La signora oltre che bigotta è anche maneggiona e antipatica, e suo marito il giorno dopo ci offre benzina “nera”. Facciamo un giretto nella strada principale, ma l'animazione del giorno è sparita; beviamo una bibita in un chiosco e poi io e Ale andiamo a dormire nella nostra stanza proibita. Dove pedaliamo sul mare, beviamo ron coli sulla spiaggia e vediamo un altro Carnevale; ma dove Enzo si ustiona una spalla. |
AutoreTutta Cuba in 33 giorni, da Maria La Gorda a ovest a Baracoa all'est, da L'Avana a nord a Santiago a sud, attraversando tutte e 14 le provincie dell'isola (tranne la quindicesima, l'appartata Isla de la Juventud). ArchiviCategorie
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