REYKJAVIKE ultimo giorno a Reykjavik. Il nostro volo parte nel tardo pomeriggio per cui abbiamo ancora una buona parte della giornata per continuare a visitare la capitale. Facciamo colazione nell'affollata sala seminterrata della guest house e poi sgombriamo la stanza mettendo in macchina tutte le nostre cose. Purtroppo il cielo è ancora plumbeo. Entriamo nella Hallgrimkirkja, che, per uno abituato alle chiese cattoliche, è di una spiazzante nudità. C'è la statua di un tizio in un angolo e un grande organo (con più di 5000 canne) sulla parete d'ingresso; il resto è un capannone bianco e spoglio arredato solo con le sedie per i fedeli. Uno dei progetti è salire sulla torre (un incrocio tra un razzo sulla rampa di lancio e il Chrysler di New York) per vedere il panorama, ma il tempo è troppo brutto e decidiamo di rinviare. Il tempo rimarrà quello che è e rinvieremo la salita di volta in volta, fino a lasciar perdere del tutto. Scendiamo lungo la Skolavordustrigur, la strada dipinta con i colori dell'arcobaleno che porta dalla chiesa alla solita Laugavegur, tra case dai colori squillanti dipinte di rossi, azzurro, blu, giallo, verde e perfino nero. Ci accorgiamo presto che Reykjavik, dopo le visite di scorcio dei giorni scorsi e sotto il grigiore del cielo, non ha molto altro da offrirci e che non sappiamo bene come occupare il tempo. Ci dirigiamo prima verso il Vecchio porto, una zona urbanisticamente un po' disordinata con un po' di altre case tipiche a colori vivaci e un po' di locali. In giro non c'è molta gente. Visitiamo qualche negozio di souvenir giusto per passare il tempo. Poi seguiamo il consiglio della Lonely Planet e saliamo lungo la Sudurgata, dalla quale la guida sostiene si può godere di una delle migliori vedute di Reykjavik. Fossi in voi non lo farei; forse non avremo trovato il punto giusto (?), ma in realtà non si vede nulla e non capiamo le ragioni del consiglio. Scendiamo sulle sponde del Tjornin, un grande stagno adiacente al centro città. Anche qui non c'è quasi nessuno in giro, sono di più gli uccelli dello stagno che le persone in vista. Oltre lo specchio d'acqua si delinea il profilo della città, ma - mi spiace ripetermi - il cielo grigio smorza l'interesse per il panorama. All'inizio del Tjornin si affaccia sull'acqua il grigio palazzo razionalista del Municipio, che non incontra molto il nostro gusto. Puntiamo allora al lungomare. L'Harpa, il grande e moderno (ma non tanto bello) centro culturale costruito in faccia al mare è chiuso per ristrutturazione. Proseguiamo fino alla nave solare, una reinterpretazione artistica stilizzata, in acciaio, di una nave vichinga, che tutto sommato ha un suo perché, e torniamo verso il centro. I musei della città saranno anche belli e/o interessanti, ma non suscitano in noi un interesse sufficiente a superare la resistenza a pagare i rispettivi biglietti d'ingresso. Ci sarebbe un bel giardino botanico ad ingresso gratuito ma abbiamo visitato giusto ieri quello di Akureyri. Torniamo quindi in centro (io proseguo la mia opera di documentazione della street art rejkiavikiana – ormai penso di aver sviluppato una sorta di sesto senso per scovare i murales) e andiamo a mangiare. Alessandra aveva puntato un locale dove facevano delle zuppe interessanti, ma deviamo invece sul Lebowski Bar, sempre sulla Laugavegur. Come si potrà intuire il locale è dedicato al mito del film cult dei fratelli Coen: così tutta l'iconografia del locale è americaneggiante e ispirata a Il grande Lebowski film: foto di scene dei film appese ai muri, segnaletica ispirata ai personaggi del film, riferimenti al mondo del bowling e così via. Perfino le porte dei bagni di maschi e femmine sono decorati da dipinti con i personaggi del film. Sul grande schermo televisivo vicino al nostro tavolo, invece, danno un altro cult, Pulp Fiction (molto arduo seguire i dialoghi nei sottotitoli in inglese, fitti e densi di riferimenti), e così mi ritrovo a tirare a favore di una non-so-quanto-interessata Alessandra il bilancio del mio controverso rapporto con il cinema di Tarantino. Adeguandoci allo spirito del luogo, mangiamo ottimi hamburger accompagnati da una generosa dose di patatine, e beviamo Pepsi Cola. Alessandra è sempre più sconvolta nel constatare che neppure i dipendenti del locale sembrano rivolgersi la parola tra di loro. Più o meno finisce qua: risaliamo verso l'Hallgrimkirkja, rinunciamo per l'ultima volta a salire sulla torre e andiamo a recuperare la macchina. Riattraversiamo il tristissimo paesaggio tra la città e l'aeroporto, in un un'atmosfera climatica che si fa sempre più uggiosa. Facciamo l'ultimo pieno al distributore OB più vicino all'aeroporto, indicato sulla mappa, e andiamo a riconsegnare la macchina. L'impiegata la controlla e ci inorgoglisce dicendo che “tutto è perfetto”. L'impiegata della WizzAir invece insiste nel farci compilare un modulo, già inviatoci via mail, in cui dovremmo dichiarare delle cose su tamponi e cose simili, probabilmente superato dalla normativa attuale. All'arrivo a Milano in realtà nessuno controllerà niente. Mentre aspettiamo l'imbarco infine una signorina della Gallup ci chiede un'intervista sulle nostre vacanze in Islanda e accettiamo, giusto per far passare il non-tempo stagnante degli aeroporti. Partiamo, con un po' di ritardo e con una visibilità quasi nulla. Bambini piccoli e meno piccoli piangono, dandosi i turni, praticamente per tutta la durata del viaggio. Tento lo stesso di dormire un po'. Rivediamo il buio, che non vedevamo più da otto giorni, e atterriamo di notte, tra fulmini e nubi temporalesche. E rieccoci qui.
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AutoreIl diario di viaggio di Mauro e Alessandra: un runtur di otto giorni intorno all'isola, nel luglio 2021. Troppo pochi? Forse, ma abbastanza per farsi un'idea del fascino e dei motivi di interesse del Paese. Categorie
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