AKUREYRI – OSAR - HVITSERKUR - REYKJAVIKLa mattina dopo il tempo si presenta ancora discreto; dopo i preparativi e la colazione partiamo ma ci fermiamo quasi subito per visitare il giardino botanico (Lystigardur) di Akureyri. L'ingresso è gratuito e gli accessi sono su diversi lati. Non solo ci sono gli alberi (nei pressi di Akureyri hanno perfino piantumato una foresta), ma anche una profusione incredibile e coloratissima di fiori, molti dei quali mai visti prima; anche i semplici papaveri, molto ricercati da calabroni forse in cerca di esperienza lisergiche, hanno enormi corolle di petali scarlatti grandi come un piccolo tegame. Un po' di donne fanno yoga in un prato, in semicerchio; è un luogo davvero bello. Oggi ci aspetta una lunga tirata di quasi 400 chilometri verso Reykjavik (il nostro itinerario non include per motivi di tempo i fiordi nordoccidentali), e compulsando la guida non ho trovato molto che mi convincesse per una tappa intermedia, tanto che mi chiedo se non fosse stato più conveniente fare questa tratta meno interessante all'inizio, impostando il giro in senso contrario. Alla fine se la giocano due possibili deviazioni, entrambe a nord della 1: una di una cinquantina di chilometri verso le piscine di Hofsos (che sembrano essere panoramicissime ed economiche) e una più breve verso Osar, dove staziona una colonia di foche. Decidiamo per la seconda. Lungo la strada ancora fiumi, praterie e campi coltivati, fattorie isolate dai tetti rossi o azzurri, montagne scure dalle creste aguzze. Rimaniamo un po' perplessi scoprendo che la strada che dovremo percorrere verso la penisola di Vatnsnes non è asfaltata. Abbiamo qualche incertezza (l'assicurazione non copre i danni subiti sulle gravel road, le strade di ghiaia), ma poi la strada si rivela una pista di terra battuta piuttosto liscia e scorrevole, percorribile ad una sessantina di chilometri all'ora; solo, ogni tanto, ci si deve fermare agli slarghi per far passare le rare macchine che arrivano nell'altro senso. Arrivati all'ostello di Osar, punto di riferimento indicato dalla guida, non si vede l'ombra di una foca. Proseguiamo poco oltre, dove vediamo delle macchine parcheggiate. Da qui un breve sentiero conduce a Hvitserkur, una località isolatissima ma molto fotografata. Qui, ai piedi della ripida scogliera, su una lingua di sabbia nera scoperta dalla bassa marea sorge uno scoglio basaltico alto una quindicina di metri, con guglie in cima e aperture in basso (con un po' di fantasia potrebbe assomigliare ad un bufalo gibboso che si abbevera nell'acqua di mare), con la roccia scura sbiancata dalle striature del guano degli uccelli marini. Valutiamo la scarpata che scende ai suoi piedi un po' troppo ripida (un tipo la fa con disinvoltura con le mani in tasca, mentre gli altri si arrampicano faticosamente sulle rocce) e ci accontentiamo di guardarla dall'alto della scogliera. Torniamo davanti all'ostello e chiediamo indicazioni per la colonia delle foche ad un tizio, che ci risponde seccamente che è lì sotto e che bisogna camminare, come se noi dessimo l'impressione di volerci scaraventare giù dalla scogliera in auto o gli avessimo di portarci giù in braccio. Scendiamo quindi (non c'è nessun altro) lungo un sentiero tra la brughiera, superando dei cancelletti che dividono chissà cosa da non si sa cosa. Arrivati in basso avvistiamo la colonia di foche al di là dello stretto braccio d'acqua che si insinua in questo punto della costa: sono tutte sdraiate e immobili sulla scura spiaggia di fronte. Noi a proposito di foche abbiamo vissuto avventure spettacolari (abbiamo visitato una colonia sulla costa della Namibia: solo noi e decine di migliaia di esemplari che coprivano la spiaggia, punteggiavano il mare e riempivano l'aria di odore nauseabondo, mentre gli sciacalli dalla gualdrappa si aggiravano in caccia; e abbiamo nuotato in mezzo a foche e leoni marini di fronte a un isolotto disabitato della Baja California), mentre queste sono a malapena distinguibili da immoti massi grigiastri. Scatto comunque qualche foto con il teleobiettivo, che vengono meno male del previsto. Risaliamo la china, percorriamo una variante sempre in terra battuta che ci porta un po' più avanti sulla 1 e puntiamo verso la capitale. Facciamo una sosta tecnica ad un autogrill della Nr 1, dove mangiamo uno spuntino con salmone affumicato e un hot dog. Man mano che ci avviciniamo a Reykjavik il tempo si fa via via più rejkiavykiano, cioè grigio e coperto. Abbiamo visto la capitale in quattro giornate diverse (la sera dell'arrivo, il mattino dopo, questa sera e il giorno della partenza) senza mai vedere un raggio di sole o un angolo di cielo azzurro. Arriviamo nel tardo pomeriggio. La nuova sistemazione è in una sorta di guest house diffusa, l'Aurora, che oltre alla sede principale ha diverse camere nelle case vicine. Siamo nella zona alta di Reykjavik, a poche decine di metri dalla Hallgrimkirkja, ma anche qui parcheggiamo vicinissimo all'alloggio, gratis e senza problemi. Dopo una delle nostre cenette, attraversata la strada, visitiamo un giardino dove sono disseminate le sculture di Einar Jonssonar, cui è dedicato il museo lì a fianco. Nel piazzale davanti alla chiesa (la principale della città e la più grande d'Islanda), si erge la statua di Leifur Eiriksson, il navigatore vichingo (in realtà di origine norvegese) accreditato come lo scopritore del continente americano, sbarcato intorno all'anno 1000 tra le Terre di Baffin e il Labrador. Scendiamo verso il centro, tra case basse, fino a raggiungere la Laugavegur, con le sue case colorate, i suoi negozi e i suoi locali. Tutto sommato non mi dispiace ritrovare un po' di gente e un minimo di movimento dopo la settimana di tour in mezzo alla natura e attraverso piccoli villaggi. Alcuni locali hanno l'aria decisamente invitante; noi optiamo per il Mals og Menningar, dove è annunciata live music. Il locale è estremamente suggestivo: si tratta in realtà di una libreria su tre livelli (uno sotterraneo, uno al piano terra e uno al di sopra, con una lunga balconata aperta sul locale sottostante), dove, oltre a vendere tuttora i libri che affollano gli scaffali lungo ogni parete, dal pavimento al soffitto, dall'anno scorso si ospita una fitta attività di musica dal vivo. La formazione prevista per stasera in realtà è saltata, e sul palco c'è una ragazza sola, inerme e intrepida, con capelli biondi tirati indietro da un cerchietto, gilet a rombi, gonnellona a fiori e scarponi. Fa tutto da sola: manovra l'impianto audio con le sue basi registrate, canta e alle sue spalle ha sistemato delle grandi lettere che sono presumo il suo nome d'arte – Guguzar – e che alla fine smonta e si porta via in un sacchetto. Canta con una voce flebile ma decisa, su basi dai bassi profonde, in un'atmosfera sonora intrigante e suggestiva. Decidiamo di restare; al bar del piano di sopra prendiamo una cioccolata calda e una crema whiskey e assistiamo al concerto dall'alto. Come temevo, alle 10 tutto è finito e Guguzar si riprende le sue cose e abbraccia la proprietaria del locale per congedarsi. Curioso tra gli scaffali della libreria e tra le opere artistiche appese e guardo i quadri di Astridur Olafsdottir, un'artista islandese che ha studiato all'Accademia delle Belle arti di Bologna e che espone qui su pareti rosso carminio la serie “Panneggio”, con il titolo in italiano, con donne sospese acrobaticamente nell'aria su sfondi scuri, appese a lembi di tela che calano dall'alto.
Passeggiando in direzione del Vecchio porto vediamo ancora alcuni murales interessanti e incrociamo un paio di musei piuttosto bizzarri: il Museo del Punk, ovviamente in un sotterraneo, e il Museo del Pene, che si vanta di essere – non stento a crederlo – l'unico del genere al mondo. Risalendo verso il nostro quartiere visitiamo anche la galleria fotografica di Iurie Belegurschi: vedute della natura islandese (esposte per giunta con un'illuminazione suggestiva) che io posso solo sognare di poter fare. E - va bene - ultima notte nella luce d'Islanda.
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AutoreIl diario di viaggio di Mauro e Alessandra: un runtur di otto giorni intorno all'isola, nel luglio 2021. Troppo pochi? Forse, ma abbastanza per farsi un'idea del fascino e dei motivi di interesse del Paese. Categorie
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