EGILSSTADIR – DETTIFOSS – VITI – HVERIR – JARDBODIN – DIMMUBORGIR - SALTVIKTanto per non abituarci troppo bene oggi la giornata è grigia. Dopo aver fatto colazione lasciamo Egilsstadir senza troppi rimpianti. Oggi il programma prevederebbe di visitare la cascata di Dettifoss, di raggiungere il lago Mytvan e farci un bagno nelle piscine termali e poi puntare su Husavik, ma in realtà faremo diverse deviazioni non previste. Seguiamo la 1 attraverso un paesaggio gradevole e poi deviamo sulla … per raggiungere la cascata di Dettifoss. Scegliamo questa che è una strada asfaltata; un'altra strada sterrata condurrebbe sull'altro lato della cascata. Credo di individuare in lontananza un rovescio di pioggia ma in realtà non è acqua che scende dal cielo, ma che sale dalla terra: il vapore alzato dalla cascata. Parcheggiamo e camminiamo su alcuni saliscendi, in un paesaggio piatto, pietroso e desolato, dove è difficile immaginare la presenza della cascata. Dettifoss è in realtà la cascata più potente d'Europa e quando arriviamo in vista ne rimaniamo stupiti: da un salto alto una quarantina di metri e largo un centinaio, che si apre nella pianura, una gigantesca cateratta si riversa fragorosamente dentro una nuvola bianca di vapore; enormi quantità d'acqua (si parla di 200 tonnellate al secondo) color grigio fango che cadono tra pareti di basalto grigio sotto il cielo altrettanto grigio. Se la Cascata Nera era art nouveau, la Cascata che Rovina è di un pesante barocco: nell'immobilità delle foto, è quasi difficile distinguere tra le frastagliate creste di acqua che precipitano e le rocce tormentate sulle scarpate di sfondo. Tornati sulla 1 puntiamo verso il cratere di Viti, appartenente al vulcano Krafla. Sopra il panorama scuro, nel cielo bigio, vediamo alzarsi una colonna di fumo biancastro, e mi chiedo se non sia un'eruzione. Se pensate che le eruzioni vulcaniche siano un pittoresco fenomeno del passato più o meno lontano, non è così: credo che l'Islanda, insieme all'Indonesia (e l'abbiamo constatato di persona), sia una delle aree del pianeta più attive. Ma per stavolta i vulcani stanno tranquilli, e lungo la strada scopriamo che il fumo proviene dalle ciminiere di una centrale geotermica che occupa buona parte della valle. Il panorama è abbastanza fantascientifico, con gli impianti industriali che sputano fumi, le montagne macchiate di neve innervate dalle condutture, i fiumiciattoli dove scorre acqua lattiginosa e fumigante, le misteriose bolle di lamiera rossa che punteggiano la vallata. Ci fermiamo in un punto “panoramico” rialzato oltre la centrale, dove il teschio giallo coperto da un cappuccio viola di Skeletor, dipinto sulla fiancata di un furgoncino, osserva dall'alto la vallata fumigante. Poco più in su parcheggiamo la macchina e saliamo in breve sull'orlo del cratere di Viti: anche qui come al Kerid il fondo del cratere è occupato da un laghetto, mentre le pendici sono ancora macchiate di neve. Eravamo scettici sul fatto che oggi l'acqua potesse essere turchese, come previsto dalla guida, visto il grigiore del cielo, eppure il colore ci sorprende. Non è possibile fare tutto il giro del cratere, ma salendo sul punto più alto si può vedere un altro laghetto più sbiadito, adagiato in un altro cratere (con una foto panoramica potete prenderli entrambi). Tornati alla 1 ci fermiamo subito di nuovo dove abbiamo visto diverse macchine parcheggiate e la terra che fuma: è l'area delle zolfatare di Hverir. Ci aggiriamo in un paesaggio totalmente alieno: nella terra gialla, arancione, verdastra e biancastra si aprono bocche rotonde dove fanghi neri ribollono come in pentoloni infernali. Da molti punti colonne di fumo si alzano dalla terra e dai fianchi delle montagne brunastre di fronte, mentre rivoli di acque sulfuree e puzzolenti scorrono sul terreno. Vedere le persone che si aggirano immerse in questa atmosfera è un po' surreale; se dovessi immaginarmi un paesaggio marziano o di un pianeta alieno, sarebbe più o meno così. Risaliti in macchina, basta scavallare le alture di fronte sulle sinuosità della 1 per trovare quasi subito l'indicazione per Jardbodin, le piscine termali del lago Mytvan. Lasciamo la macchina nell'ampio parcheggio e ci rechiamo alla reception. Non abbiamo prenotato ma non ci sono problemi. In effetti finora non abbiamo mai trovato particolare affollamento – complice questa estate di nuovo complicata -, e gli ammonimenti delle nostre guide, che raccomandavano di andare nei luoghi più turistici al mattino presto o nel pomeriggio tardi per evitare le folle e i torpedoni dei turisti, si sono rivelati del tutto superflui. L'ingresso costa una quarantina di euro a testa (che è tanto ma pur sempre meno che alla Blue Lagoon); la gentile signorina alla reception ci raccomanda di fare la doccia prima di entrare in piscina – ci tiene a sottolineare – “naked”. L'avevamo già letto: le acque delle piscine sono naturali e non trattate con cloro, quindi chi ci entra deve essere ben pulito. Pertanto ci si deve togliere tutto, riporre le proprie cose negli appositi armadietti individuali, fare una bella doccia (bagnoschiuma, shampoo e balsamo per capelli sono a disposizione), lavarsi in grandi locali doccia comuni privi di divisori (non fatevi venire delle idee: gli scompartimenti per uomini e donne sono separati), e poi, una volta reindossato il costume si è pronti ad entrare belli puliti nelle piscine. Consiglio di portarvi un accappatoio o un asciugamano (vengono forniti anche sul posto, a pagamento) e magari un paio di ciabattine da piscina. Ci sono diverse vasche a cielo aperto, con acqua calda (sui 38°) e lattiginosa; in basso si intravede il lago Mytvan e intorno le terre vulcaniche, ma devo dire che, forse anche per effetto del cielo bigio, il panorama non ci sembra un granché. Sceso qualche gradino ci si immerge nell'acqua dalla temperatura accogliente, che arriva più o meno all'altezza del torace; dopodiché non c'è molto altro da fare che crogiolarsi nel liquido tepore, osservando gli altri bagnanti: nuotare è improbabile, al limite se ci si vuole dare un'aria più cool si può prendere un drink al bar (uno è accessibile direttamente dalla vasca) e passeggiare o oziare a bordo piscina (il muro fa una sorta di scalino che può essere utilizzato come sedile) con un calice o un bicchiere tra le dita. Esperienza gradevole, ma a nostro parere sovrapprezzo. Con il sole, o forse con il freddo fuori e magari la neve intorno avrebbe fatto più effetto. Impossibile non ricordare il nostro bagno nella Calera di Chivay, in Perù, a oltre 3600 metri di altitudine, dove siamo arrivato con giacca a vento sciarpa e guanti per poi spogliarci e immergerci nelle tiepide piscine a cielo aperto. In breve raggiungiamo l'area del lago: dovrebbe essere una zona per passeggiate e birdwatching (Mytvan significa “lago dei moscerini”, che costituiscono la dieta di molti uccelli) ma il piatto panorama sotto il cielo uggioso non è molto invitante. Siamo in una zona che ancora negli anni '70-80 ha registrato una decina di eruzioni vulcaniche. Dimmuborgir è un'area, trasformata in un parco visitabile, in cui è possibile aggirarsi tra i “castelli neri”, torri di pietra scura formate dalle colate laviche e che formano pinnacoli, archi, caverne in mezzo a una boscaglia di betulle nane. Ci sono sentieri contrassegnati da diversi colore che portano alle formazioni più bizzarre. Noi seguiamo in particolare quello che porta in un po' più di un chilometro alla Kirkja, la chiesa, una grande caverna; in una grotta abitata dai troll ci sono anche alcune loro suppellettili, come sgabelli e pelli di montone. Torniamo mentre cadono gocce di pioggia e malgrado le indicazioni rischiamo di perderci ad un bivio. Ci allontaniamo dalla 1 verso nord, puntando verso Husavik, in un bel paesaggio di piccole ondulazioni coperte da erba verde e gialla e grandi distese viola di lupino artico. Un montone e due pecorelle attraversano la strada deserta e in salita davanti a noi, e scatto una bella foto attraverso il parabrezza della macchina, in un controluce smorzato. Ci fermiamo in realtà qualche chilometro prima di raggiungere Husavik, nella località di Saltvik, dove abbiamo prenotato il pernottamento di oggi. Il Saltvik è una farm house, cioè una fattoria con alloggi, con alcuni bassi edifici bianchi in un paesaggio rurale, circondati dai grandi recinti degli allevamenti di cavalli. Scarichiamo la nostra roba e veniamo sistemati in una bella stanza, bianca anch'essa, dotata di un inaspettato e comodissimo bagno privato, che capita proprio al momento opportuno, visto che dobbiamo far asciugare i costumi e gli accappatoi usati oggi. L'accoglienza è sempre all'islandese, cioè sobria e laconica. Una signora dalla faccia dura alla Frances McDormand (di quelle che cambiano totalmente aspetto quando sorridono, ma raramente sorridono) ci consegna le chiavi e le informazioni essenziali. Eppure la mucca disegnata sul vetro satinato della nostra porta ha un'aria simpatica e allegra. Nella bella sala comune c'è una cucina attrezzata e alcuni tavoli per consumare i pasti. Sono già quasi tutti occupati da una coppia e da due gruppi interamente femminili, con età diverse, probabilmente qui per turismo equestre. La fattoria organizza gite ed escursioni a cavallo anche di più giorni, ma la padrona non ce ne fa minimamente cenno. Per le ospiti è stato preparato un bel buffet con carne, patate e dessert. Ci aspettiamo che ci venga proposto, invece no; quando intuisce che le donne stanno finendo di mangiare la signora si affretta a spazzolare via gli avanzi e ricoverarli in contenitori di plastica senza lasciare nemmeno una briciola. Ci prepariamo quindi la nostra cena (in Italia abbiamo trovato perfino delle confezioni di lasagne e di cannelloni che non hanno bisogno di essere conservati in frigo). L'unico abitante per così dire simpatico è un botolo che si aggira per la sala di tavolo in tavolo, fissando tutti con malinconici occhi a palla. Il posto è bello. Intorno ci sono praterie e brughiere fino alle alture circostanti e dovunque ci sono cavalli al pascolo, che si possono vedere anche da vicino. Perfino dal letto, guardando dalla finestra di fronte, si vede il panorama, immerso nell'eterna luce di crepuscolo delle serate islandesi sotto il grigio cielo incombente, e i cavalli sparsi nella prateria. Domani andremo in cerca di balene. Speriamo nel tempo.
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AutoreIl diario di viaggio di Mauro e Alessandra: un runtur di otto giorni intorno all'isola, nel luglio 2021. Troppo pochi? Forse, ma abbastanza per farsi un'idea del fascino e dei motivi di interesse del Paese. Categorie
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