Dove parliamo con un asino che non sa l'italiano, alloggiamo in un una bijou posada, si esibiscono mimi e mariachis, passeggiamo tra morti urlanti e nelle viscere della città, ceniamo da una gallina aristotelica, assistiamo a una serenata e ci baciamo per portarci fortuna.3 agosto, giorno 24 San Luis Potosì - GUANAJUATO Prendiamo un bus che da San Luis Potosì va a Guanajuato. All'inizio e alla fine del viaggio siamo praticamente i soli passeggeri dell'autobus, nei posti davanti con la vista migliore, il tavolino portabibite e la rosa acquistata a Zacatecas. Il tratto centrale è invece lentissimo, pieno di saliscendi di passeggeri e fermate esasperanti a ogni piè sospinto. Facciamo una sosta con merenda a base di fichi a Dolores Hidalgo, dove parliamo con Alberto, che lavora nel turismo a Merida; dice che l'italiano è facile; pur tuttavia lui non l'ha imparato perché è “un burro”. L'autista ha una brutta tosse, comunque ci porta a Guanajuato, lungo una strada che nel tratto finale si arrampica sulla sierra, stretta, tortuosa e panoramica. All'arrivo prendiamo un bus per Mercato Hidalgo e poi alloggio alla Posada Juarez, che Alessandra definisce “un bijiou”, forse riferendosi anche, con un pizzico di ironia, al fatto che avremo il pavimento del bagno allagato per sempre. Questo insieme all'arredamento spartano del bagno implica qualche difficoltà di gestione, e Alessandra mi invita con sarcasmo a passarle anche una palla da tenere in equilibrio sul naso mentre si destreggia. Nel pomeriggio facciamo un giro per Guanajuato, una delle più belle città coloniali, famosa per i tunnel che la attraversano nelle viscere della montagna e per le sue mummie. Al Jardin Union tutto insieme la banda ufficiale della città suona nel gazebo, i mariachi fanno una gara davanti ai tavolini dei bar e un mimo si esibisce davanti al teatro Juarez. Visitiamo il teatro storico; l'atmosfera della città è fantastica. Ceniamo in un ristorante sulla piazza: buon pollo ai funghi e una jarra de lemonada. Per finire una tequila reposada, ma ho qualche difficoltà a capire come la si beve. Ad un certo punto si spengono le luci. Black out; prima c'è un buio più o meno assoluto, poi arrivano i camerieri con le candele. Ce ne andiamo col buio, in un'atmosfera involontariamente romantica. 4 agosto, giorno 25 GUANAJUATO Facciamo una gita in minibus ($ 30). Io sono quasi seduto sul cruscotto, Alessandra in mezzo e poi in fondo, nella folla. La prima tappa è al famoso Museo delle mummie: il terreno di Guanajuato ha delle caratteristiche minerali che ha fatto sì che i corpi lì sepolti abbiano subito una sorta di imbalsamazione naturale. I messicani, nel loro rapporto confidenziale con la morte e con il loro peculiare gusto del macabro, hanno dissepolto i cadaveri e li hanno esposti in teche di vetro in questo museo. E' peggio di quanto mi aspettassi: ci sono cadaveri di tutte le età, adulti e bambini, con ancora i vestiti o i loro brindelli addosso, i capelli che penzolano dai crani mummificati. Il rilascio della mascella dopo la morte fa sì inoltre che la maggior parte abbia la bocca spalancata in un muto eterno grido di orrore e di disperazione. Alessandra vuole uscire al più presto possibile; i visitatori messicani invece si soffermano compiti davanti alle teche a contemplare le salme, forse con un vago senso di riconoscimento e di familiarità; ci sono donne incinte, famiglie con bambini; fuori all'ingresso del museo si vendono caramelle-mummia e caramelle-scheletro. Poi di nuovo in pulmino, su una strada panoramica. Ci scaricano in una tienda per venderci non so cosa; noi veniamo redarguiti perché invece scappiamo e andiamo a vedere di corsa la bellissima chiesa de La Valenciana. L'accompagnatore e l'autista, Julio, peraltro, sono antipaticissimi. Si continua nella visita della Guanajuato ctonia: nella subterranea (parte traforo, parte catacombe), poi nella vecchia miniera (dove Alessandra acquista un quarzo) e infine al Pipila, un punto panoramico. Dopo un riposino facciamo un giretto in centro. Guanajuato è una città dal fascino intenso e bizzarro. Ceniamo alla Gallina aristotelica (come resistere ad un'insegna così?), con un menù di quattro portate a $ 28. Per dessert gelatina e capirotada (una sorta di pudding di pane e frutta secca). Poi risaliamo col buio al Pipila. Ci imbattiamo giustamente in una callejoneada (sono bande musicali, in origini composte da studenti, che percorrono i callejon, cioè i vicoli di Guanajuato, cantando, suonando e raccontando storie; una tradizione storica cittadina che non potevamo esimerci dall'incontrare casualmente sulla nostra strada), i cui componenti ci danno indicazioni per la salita. Uno dei vicoli si chiama callejon del beso, e la tradizione prescrive in modo un po' pedante gli anni di fortuna/sfortuna che aspettano quelli che si baciano/non si baciano qui. Tradizione comunque positivamente rispettata: il sentiero che sale alla Pipila è costellato di coppie di innamorati abbracciati. Non resta che adeguarci.
0 Commenti
|
|