Dove di fianco a noi vediamo sfilare i cactus e la spazzatura del deserto; dove mangiamo i migliori hot dog della nostra vita; dove non vediamo balene, né vecchie missioni, né incisioni rupestri, ma dove incrociamo inaspettatamente Gustav Eiffel e la sua passione per il ferro; dove tutto è polvere, ma noi mangiamo Fettuccini all'Alfredo della Kraft in un posto pulito, illuminato bene.17 luglio, giorno 7 Ensenada – GUERRERO NEGRO Partenza in bus per Guerrero Negro. Scenderemo lungo l'affusolata penisola desertica della Baja California lungo la Carretera Federal n. 1, che la percorre tutta da nord a sud, e da sud rientreremo poi in continente. L’anno scorso abbiamo scoperto che i trasporti su strada in Mexico sono abbastanza buoni. Innumerevoli compagnie private percorrono il territorio con bus in generale confortevoli e ben tenuti, spesso Mercedes, e a bordo spesso ci sono televisori dove vengono trasmessi film videoregistrati. Per raggiungere le località minori ci sono bus locali, che vanno un po’ dovunque; ovviamente la qualità dei mezzi è più modesta; nei centri urbani o per i collegamenti con stazioni di autobus o ferroviarie o aeroporti in genere i mezzi più usati sono colectivos, furgoncini con percorsi più o meno fissi ed orari abbastanza variabili, che in genere partono solo quando sono pieni (e talvolta lo sono troppo). Intanto dai finestrini del bus si vede un paesaggio brutto e sporco, poi da El Rosalito comincia il deserto vero e duro, lungo mille chilometri, che arriva fino ai Cabos. Colline pietrose, cactus di tutti i generi, forme e dimensioni (alcuni alti svariati metri), la strada bordata da cordoni di spazzatura, evidentemente lasciati o gettati dagli automobilisti di passaggio. Poi carcasse di automobili, qualche croce, qualche colorato e surreale cartellone della Tecate (la birra locale) sullo sfondo del nulla, qualche rapace che volteggia nel cielo. Facciamo una sosta di mezz’ora, ma il bus se ne va e lo aspettiamo per un’ora. Il paesaggio ha un suo fascino brutale, ma dopo dieci ore di viaggio diventa decisamente monotono. Quando arriviamo a Guerrero Negro cala il buio. Siamo su uno stradone senza punti di riferimento. Prendiamo per 120 $ una camera al Motel San Ignacio, ma prima facciamo una cena memorabile davanti a d un baracchino sui bordi dello stradone desolato: preparati con amore e professionalità, i più succulenti hot dog (o meglio perros calientes) che la nostra memoria ricordi. 18 luglio, giorno 8 Guerrero Negro – SANTA ROSALIA Camminata per cercare una banca. Guerrero Negro ha un nome suggestivo, ma non è migliorata alla luce del giorno: attraversata da stradoni senza senso sotto il sole del deserto. Non è stagione di passaggio delle balene, che ogni anno tornano da queste parti per le loro storie migratorie e riproduttive, e perciò i voli per Isla Cedros sono sospesi e non c’è niente da fare né da vedere. Cominciamo già a sospettare che la traversata della Baja California non sia stata un’idea brillante. Aspettiamo in motel, poi ci imbarchiamo sul bus per Santa Rosalia. Attraversiamo il Desierto de Vizcaino; il paesaggio è più o meno come quello di ieri, con in più forse delle alture vulcaniche. A parte le balene – che non ci sono -, da queste parti ci sarebbero da vedere dei siti con incisioni rupestri, vecchi missioni spagnole, e ambienti naturali particolari; ma spostandosi con il bus da un centro all’altro senza poter disporre di un mezzo proprio è difficile fare e vedere qualsiasi cosa. L’arrivo a Santa Rosalia è sufficientemente western: luce del tramonto, capannoni delle miniere, case di legno, strade non asfaltate, polvere dovunque. E intendo dovunque: le strade sono polverose, le auto e i furgoni alzano nugoli di polvere che oscurano la vista e si depositano poi dappertutto strato su strato. Prendiamo una camera all’Olvera, 120 $. Usciamo ma il caldo è terribile. Santa Rosalia è infilata in un piccolo canyon tra alture rocciose, una sorta di rovente fornace, e il mare è brutto. Vediamo una chiesetta in ferro costruita da Eiffel, lo stesso della torre parigina, assistiamo ad una partitella di basket, poi ci rifugiamo nella pizzeria Fabula. Una pizzeria, sì: un posto pulito, illuminato bene (per citare il vecchio Hemingway), dipinto a colori vivaci. Con fuori e intorno Santa Rosalia, sembra un bel sogno. Queso fundido e fettuccini all’Alfredo con Parmesano (prodotto dalla Kraft negli Stati Uniti). Un bel momento; ma poi in albergo una notte orribile con ventilatore a manetta e, nonostante questo, caldo insopportabile.
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