E’ strano. All’apparenza le donne sembrano libere. Giovani e vecchie, bellissime nei loro sari variopinti e sgargianti e nei loro sorrisi dalle dentature smaglianti. Ragazze sfrecciano in motorino, magari in tre sullo stesso sellino. I veli, portati a volte liberamente sul capo, a volte sulla metà inferiore del viso, a volte a coprire in trasparenza colorata tutto il volto, a volte con un lembo trattenuto tra i denti, sembrano servire di più a proteggere dalla polvere onnipresente e dal sole che ad altro. Ma è vero che davanti a un parente anziano le donne sono tenute a coprirsi il capo in segno di rispetto, e poi ci sono le donne mussulmane che devono coprirsi per precetto coranico.
Vediamo tante mamme con bambini per mano, o con teneri fantolini tra le braccia, donne impegnate nei lavori dei campi o con gli animali di allevamento, occupate nei mercati e nei commerci, a volte con voluminosi carichi portati in equilibrio sulla testa. In effetti ci è difficile capire quanto contino realmente le donne nella società indiana. A parte le catene internazionali, il personale al servizio del pubblico in alberghi e ristoranti (receptionist, camerieri, facchini, personale di sala) è esclusivamente maschile. La guida ci dice di aprire le tendine da sole quando il nostro pulmino viaggia in città. Così dicono le nuove leggi: dietro ogni tendina potrebbe nascondersi uno stupro di gruppo, e quindi meglio lasciarle aperte. La legge è stata emanata dopo numerosi casi di violenza sessuale, avvenuti addirittura anche su bus pubblici. Per associazione di idee, mi viene in mente una foto, questa buffa, ma non costruita, che gira su Internet, con un bus rosa con la scritta “Women Special”, dai cui finestrini si affacciano tutti uomini baffuti. In una città pressoché priva di turisti, Merta, visitiamo un tempio hindu dedicato a non mi ricordo quale divinità femminile (faccio un po’ fatica a seguire i lunghi e ingarbugliati racconti mitico-religiosi della nostra guida). C’è un cortile dalle piastrelle a scacchi bianchi e neri e coperto da teli verdi che sotto il sole spandono un’assurda luce da torbido acquario. Nel tempio vero e proprio ci sono tante donne sedute a terra, coloratissime nei loro sari, che cantano e suonano. Le osserviamo, tento di scattare qualche foto in una luce che non è proprio il massimo. Le nostre ragazze si siedono accanto loro a suonare piccoli strumenti che vengono loro offerti. Una donna si alza per ballare. Quando tolgo gli occhi dal mirino della macchina, mi accorgo che una delle nostre si è alzata e sta ballando anche lei. Le donne sono coperte da capo a piedi dai sari. La nostra compagna è in canottiera rosa fucsia e short di jeans. Provo un brivido. Mi immagino che ci taglieranno a pezzi per sacrilegio verso qualche tabù religioso e getteranno i nostri resti in qualche discarica (cioè in qualsiasi posto, vista la quantità di immondizia che affligge l’India). Non è così. Altre donne si alzano a ballare, altre nostre compagne si uniscono alla danza. Tutto bene. Rimangono dei video di questa bizzarra compagnia danzante. Non c’è male come tolleranza. Prima di fotografare in genere facciamo un cenno per chiedere il permesso. Qualcuno dice di no, a volte con una smorfia infastidita. Molti lasciano fare; tante donne si mettono in posa davanti all’obiettivo, serie ma più spesso sorridenti. Qualcuna con le mani sui fianchi, qualcuna sorridendo sotto carichi imponenti che le grava sulla testa, qualche ragazza con gli occhi illuminati dal riso, qualcuna mostrando orgogliosa il bambino che regge tra le braccia, altre da sotto il velo colorato che lascia intravedere il volto in trasparenza, o reggendo il velo tra i denti bianchi. A Fatehpur, davanti ad un emporio, incontriamo una ragazza vestita ed addobbata come una principessa della steppa, bella e aliena, che si lascia fotografare con passività, lo sguardo remoto e triste che non si incrocia mai con il nostro, che d’altronde è egoisticamente nascosto dietro l’obiettivo. Ma il racconto sulle donne in India sarebbe incompleto senza un accenno alle foto fatte a noi. Se noi vogliamo fotografare gli indiani, anche loro spesso vogliono fotografare noi. Dobbiamo essere esotici ai loro occhi più o meno come loro ai nostri (io e Alessandra, poi, coi i capelli più ricci dell’India...). Diverse volte siamo noi a metterci in posa davanti agli obiettivi indiani, qualche volte soli ma più spesso in loro compagnia. Ma la più richiesta e desiderata per gli scatti ricordo con straniero è decisamente la nostra compagna cui già accennavo prima a proposito della danza nel tempio. Se le donne locali sono coperte da capo a piedi, fasciate nei sari (che però qualche volta lasciano scoperta una striscia di pelle tra la vita e il seno), lei affronta con disinvolta e allegra sfrontatezza buona parte del tour in canottiera e short; spesso e volentieri è la donna più nuda, o meno vestita, in circolazione nei luoghi che visitiamo. In più è bionda e ha gli occhi azzurri. I ragazzi fanno la fila per farsi fotografare con lei, le pose insieme a lei vanno a ruba. Immagino i racconti con gli amici rivedendo le foto con la bella straniera. Perfino chi non ha la macchina fotografica si fa fotografare insieme a lei; perché la loro immagine viaggi e arrivi fino in Italia, dicono. Per stare un attimo al suo fianco, per lasciare da qualche parte nel mondo una testimonianza di quell’attimo. Il suo passaggio lascia una fatale scia di foto, e forse di cuori spezzati...
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AutoreMauro e Alessandra fanno un giretto in India. Aprile 2017. ArchiviCategorie |