LA TRILOGIA di Guido Buzzelli: LA RIVOLTA DEI RACCHI, I LABIRINTI, ZIL ZELUBCoconino Press ha ripubblicato qualche mese fa, in un grande formato cartonato, bello da vedere, un po’ impegnativo da maneggiare (per vari motivi, logistici e psicologici, ne sconsiglio la lettura a letto prima di addormentarsi), la Trilogia che raccoglie tre delle più note opere grafico-narrative (massì, graphic novel! anche se ai tempi non si chiamavano così) di Guido Buzzelli, e cioè La rivolta dei racchi, I labirinti e Zil Zelub, scritte e disegnate nei cinque anni che vanno dal 1967 al 1971. E’ l’occasione per riscoprire (o per conoscere, per chi non le ha mai lette prima) tre storie rivoluzionarie, apprezzate prima in Francia che in Italia, che hanno ascendenza nella grande letteratura utopica e apocalittica (i richiami più diretti sono al Gulliver di Swift, ma l’incipit di Zil Zelub arriva fino alla Metamorfosi kafkiana), ma che si confronta direttamente con i fermenti politici e rivoluzionari del suo tempo. Buzzelli scrive e disegna in anarchica libertà, senza committenti e senza contratti prestabiliti. Il suo segno grafico, sporco, graffiato e sovraccarico, è colto e brutale insieme: capace di citare quei veri e propri manifesti della rappresentazione del corpo umano che sono l’uomo vitruviano di Leonardo e il Cristo morto di Mantegna, o la teatrale organizzazione dello spazio della pittura barocca (sempre con una sorta di ghigno irridente), ma dominato dall’iconografia dei capricci di Goya e dalle morbose e teratofile fantasmagorie di Hyeronimous Bosch, fino alle deformazioni espressioniste di un Grosz; capace di citare la raffinata eleganza fumettistica di un Alex Raymond eppure continuamente tentato dalla prospettiva e dal segno volgare, brutale ma anche ludico del fumetto pornografico. L’universo allucinato di Buzzelli rivela anche ascendenze ascrivibili al cinema coevo: se la cattiveria può essere quella di Marco Ferreri, a volte i tratti onirici rimandano al Fellini più grottesco, o all’Antonioni che nel ‘66 fa esplodere la società dei consumi a Zabriskie Point. Le metafore profondamente, pervicacemente politiche di Buzzelli, si radicano d’altra parte tutte nella rappresentazione del corpo umano. Il popolo succube e sottomesso de La rivolta dei racchi ha fattezze brutte e deformi; I labirinti parla di un mondo post-apocalittico popolato da cadaveri carbonizzati e da atroci mostruosità; Zil Zelub parte dal presupposto di un corpo (quello del protagonista) anarchicamente disarticolato e grottescamente smembrato. E come le membra di Zil Zelub si dividono e si rimescolano, così anche le lettere del suo nome, anagrammate, formerebbero il cognome del suo autore. Buzzelli in effetti, o un personaggio con le sue sembianze, è sempre presente da protagonista nelle tre storie: ma lungi dall’esserne l’eroe è al contrario un protagonista inetto e inadeguato; simbolo stesso dell’impossibilità di accedere ad una dimensione utopica, sia essa pragmaticamente politico-rivoluzionaria che fantastica. I finali dei racconti si accaniscono in maniera crudele sui protagonisti: Spartak se la cava a buon mercato, adeguandosi al ruolo di utile idiota, strumento di un potere che lo sovrasta; ma Sforvo finisce divorato su una squallida spiaggia, sotto un cielo nero, dai mostri direttamente generati dal sonno della ragione, e una sorte altrettanto atroce toccherà a Zelub, imprigionato con le membra mutilate costrette alla rinfusa in un corpetto, su una spiaggia contaminata, sbeffeggiato da orribili uccellacci puzzolenti, parte organici e parte sintetici (mentre il più sinistro dei potenti si avvantaggerà, presentandosi come istanza di ripristino dell’ordine, degli inconsulti atti di terrorismo e violenza cui Zelub è stato indotto). L’analisi anarchica e nichilista di Buzzelli è precisa e circostanziata: nell’andamento concitato e farsesco de La rivolta dei racchi si riconoscono l’arte e l’estetica, la religione e la politica, la scienza a la tecnologia, l’apparato produttivo e quello militare, la seduzione edonistica e le tecniche pubblicitarie, tutte indistintamente asservite ad un potere strutturale che di qualsiasi sovrastruttura fa strumento per i propri cinici scopi. La lettura della Trilogia, lo si sarà capito ma ci tengo a ribadirlo, non è delle più semplici ed è tutt'altro che consolatoria. Rivolte di popolo, utopie collettiviste-razionaliste, gesti anarchici e luddisti: nulla serve a cambiare una realtà fosca, dove a dominare, anche graficamente, è il nero (perfino nelle tavole dove paradossalmente sembrano prevalere le campiture bianche) e il negativo (a volte in senso anche letterale, come nel memorabile prologo e nelle sequenze più allucinate de I labirinti). L’ironia è sempre presente (si vedano nelle stesse terribili pagine iniziali de I labirinti la distruzione dei simboli della moderna civiltà nella seconda pagina, o il gioco del protagonista terrorizzato e sgomento con una prescrittiva segnaletica stradale ormai priva di senso all’interno di una catastrofe generale, nella quarta pagina): ma quello di Buzzelli non è mai un sorriso sereno, né una complice strizzata d’occhio, bensì un ghigno irrisorio che non risparmia niente e nessuno. Nemmeno i lettori. Nemmeno voi, noi. Nemmeno Buzzelli.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Aprile 2024
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