E' stata una serata particolare, da ricordare, quella dell'ultimo concerto di Michele Di Toro (venerdì 1 febbraio) al centro culturale Sergio Valmaggi. Il Valmaggi, per chi non lo conoscesse, è un locale seminterrato nell'estrema periferia di Sesto San Giovanni, sotto un grande condominio costruito da una cooperativa edilizia e vicino all'inceneritore e all'imbocco della tangenziale. Non proprio il posto dove uno si immaginerebbe un piccolo tempio musicale. E invece, grazie all'infaticabile, indefessa, umile tenacia di Domenico Palmiotto, alla collaborazione con l'associazione Gas e alla direzione artistica del contrabbassista Stefano Scopece, il centro culturale si è costruito con costanza e pazienza una propria fama di jazz club, grazie ad una rassegna ormai decennale che propone ogni anno una decina di concerti, di norma tra gennaio e marzo. In qualche modo, ma soprattutto grazie alla presenza di un pubblico non oceanico ma fedele, attento, rispettoso, curioso, non necessariamente colto (parlo per me), ma sicuramente con un orecchio allenato, il Valmaggi si è conquistato negli anni anche l'affetto dei musicisti, che spesso tornano ad esibirvisi, trovando non la clientela di molti locali, distratta e rumorosa, chiacchierona e connessa, bensì un uditorio da sala da concerto, attento a seguire ogni assolo, prodigo di applausi, voglioso di musica e di bis. Uno dei musicisti più affezionati e fedeli è sicuramente Michele Di Toro, che ormai da molti anni non si perde una sola edizione della rassegna. Pescarese di origine, per qualche anno milanese d'adozione, poi rientrato nella sua città natale, Di Toro si è sobbarcato lo scorso 1° febbraio un viaggio di andata e ritorno di 1300 chilometri, nelle giornate più fredde e nevose dell'anno, pur di non mancare all'appuntamento annuale con il pubblico sestese. Michele Di Toro, dalle sue prime già notevolissime esibizioni al Valmaggi, ha accresciuto la propria fama. Virtuoso del piano e compositore, di formazione classica, jazzista per vocazione, è un contaminatore per natura, capace di mescolare senza soluzione di continuità (a volte nell'arco di uno stesso brano) ballad e fughe bachiane, canzoni pop e colonne sonore, Mozart e Scott Joplin. Determinato a stanare l'anima romantica della musica dovunque si trovi, anche stavolta Di Toro ha dato prova della sua stupefacente, affascinante poliedricità offrendo al pubblico un programma che passava dalle proprie composizioni originali (la celebre La favola continua), all'inesorabile passionalità di Libertango, dalle melodie di Battisti alle colonne sonore di Morricone, dai preludi di Chopin al drammatico Concerto di Varsavia di Addinsell, fino al brioso bis con Puttin' On the Ritz. Quello che ha reso ancora più speciale la serata è stato però il fatto che Michele Di Toro, disponibile a colloquiare con il pubblico, a presentare i propri brani spiegando le proprie scelte e le proprie predilezioni, ha fatto ad un certo punto deragliare in modo imprevedibile, in primo luogo per lui stesso, il concerto verso una sorta di improvvisato concerto-conferenza, in cui ha spaziato a tutto campo dalle dissertazioni sulle tonalità del pianoforte ai rapporti tra la musica classica e quella jazz e pop, mostrando sulla tastiera ad un pubblico incantato come una fuga di Bach possa saltare nel tempo e nello spazio e ricomparire trasfigurata in una melodia jazz, ma anche annunciandoci che alcuni suoi brani sono stati inseriti nella playlist che si può ascoltare sui voli Alitalia. Una cosa mi ha colpito: che quando Di Toro parla della ricerca e della scelta dei brani da proporre poi in concerto non dice che li ha “provati”, ma che li ha “studiati”. La musica per lui non è evidentemente come un abito da “provare”, da mettere e togliere secondo l'occasione e il capriccio, ma un testo significante da capire, da interpretare e da fare proprio, cui Di Toro si accosta con umiltà, con curiosità, passione e dedizione, oltre che con un insopprimibile gusto ludico (non dimentichiamo che Playing with Music era il titolo del suo primo album, e Playing a la Turque uno dei suoi brani più famosi, dove Mozart e ragtime dialogano e si rincorrono con meravigliosa naturalezza). Lo ricordo nelle sue prime apparizioni al Valmaggi, già sorprendente per le sue capacità musicali - sia per la tecnica che per la capacità di suscitare emozioni - e per le sue scorribande tra generi musicali apparentemente lontanissimi: nerovestito, schivo, laconico al punto da non pronunciare neppure i propri ringraziamenti, espressi con taciti inchini a mani giunte. Ora Michele è cambiato, ha acquistato una nuova voglia di comunicare, animata dalla propria passione, dalla profonda cultura musicale, da una curiosità inesausta, che ne farebbe (anzi, che ne fa già, vista la serata al Valmaggi e la fervida attenzione con cui il pubblico l'ha seguito lungo sentieri imprevisti, in un'atmosfera intima e concentrata), un fantastico ed esemplare divulgatore oltre che un eccellente musicista.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Aprile 2024
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