BARBABLU' di Amélie NothombQuando don Elemiro - Grande di Spagna autoesiliatosi a Parigi, dove vive una vita agiata e completamente solitaria in un lussuoso palazzo dell'aristocratico VII arrondissement – entra nella sala d'aspetto dove aspettano una quindicina di candidate, non ha un attimo di dubbio: la prescelta è Saturnine. E' lei ad aggiudicarsi l'affitto di una stanza di 40mq in quella principesca dimora nel centro di Parigi, con ampia cucina attrezzata a disposizione, al modico prezzo di 500€ al mese. Ad attirare le altre candidate, però, non è stato tanto l'affare immobiliare quanto il sinistro fascino di don Elemiro, nella cui casa sono già state alloggiate in precedenza altre otto donne, tutte apparentemente scomparse nel nulla. Un mistero e un segreto. Don Elemiro lo enuncia fin da subito: nel palazzo c'è una porta, che non è chiusa a chiave, che porta alla stanza nera. Un mistero, un segreto e una regola: quella porta Saturnine non dovrà mai aprirla. E' la vecchia storia di Barbablù, che la Nothomb però attualizza e problematizza, arricchendola di allusioni e di significati. L'impianto del libretto è estremamente teatrale, e si presterebbe a meraviglia per essere portato in scena, essendo incentrato su una sequenza di conversazioni che l'uomo e la giovane donna intavolano (letteralmente) nel corso delle cene cui don Elemiro invita ogni sera Saturnine, cercando di affascinarla con le proprie raffinatissime preparazioni culinarie e con la propria peculiare eloquenza. A un capo e all'altro della tavola siedono due visioni opposte del mondo e della vita: l'uomo arrogante, compreso nella propria nobiltà di sangue, bigotto, misantropo, solitario, pieno di idee astratte e astruse; la ragazza vivace, arguta, disincantata, pragmatica, coraggiosa, cosmopolita, ben decisa a tenere testa al suo aspirante seduttore (viene alla mente, con le debite differenze, la dialettica tra il maschile grottescamente prescrittivo e normativo e il femminile disastrosamente istintuale che innerva molto del cinema di Lars von Trier). Eppure qualcosa cambia nel corso delle serate: l'uomo cerca di disarmare Saturnine con una sua pretesa disarmante sincerità, cercando di convincerla dell'amore che quasi immediatamente prova per lei, concedendole favori dialettici e materiali (primo tra tutti lo champagne, di cui la ragazza è ghiotta e che quindi presto riempie un apposito frigorifero con bottiglie delle migliori marche); la ragazza cominciando passo dopo passo a cedere terreno al fascino bizzarro del proprio ospite, sedotta dalla sua stravagante eloquenza e dai piaceri fisici del lusso, del cibo e delle bevande, o dell'ineffabile morbidezza di una gonna colore dell'oro cucita con le sue proprie mani dal suo amorevole anfitrione. Ma fino a quando è possibile eludere la domanda sul destino delle otto donne sparite nel nulla in quelle stesse stanze, dopo aver seduto a quella stessa tavola? E fino a quando sarà possibile resistere alla necessità di mettere piede nella proibita stanza nera? E il duello intellettuale tra don Elemiro e Saturnine si trasformerà in un duello amoroso o in una sfida per la vita e per la morte? Raccontare di nuovo una storia già sentita come quella di Barbablù (messa in bella copia da Perrault che non era ancora il 1700, e portata sullo schermo dal cinema neonato nel 1901) avrebbe potuto trasformarsi in un esercizio manieristico a forte rischio di déjà vu. Non è così, grazie soprattutto alla scrittura della Nothomb, che con una sola ambientazione, con uno sviluppo narrativo basato sulla reiterazione, in una situazione in cui a dominare è la parola a scapito dell'azione, riesce a creare e mantenere una costante attrazione grazie al suo stile fresco, arguto, scherzoso in superficie ma capace di gettare sprazzi di luce anche in profondità (come l'effervescenza nel corpo dello champagne, verrebbe da dire). Anche quando parla di traffico di indulgenze, o di come si cuoce un uovo, o della tassonomia dei colori, o del grottesco incidente che fa di Elemiro un orfano solipsista, grazie all'identificazione con la frizzante e curiosa Saturnine la tensione narrativa e dialogica non viene mai meno, introducendo altre riflessioni sull'amore e il potere, la seduzione e la parola, il mutuo rapporto tra arte e natura (la fotografia come negazione della vita, o meglio la morte come espediente con cui la natura tenta di imitare l'arte), l'innocenza e la colpa, la fiducia e il rispetto del segreto. La Nothomb, che sottolinea l'origine belga della sua eroina, quasi fosse un modo di introdurre una lieve sfasatura, un leggero decentramento del punto di vista, intreccia nel suo divertissement almeno due linee che lo innervano e che si intrecciano sul canovaccio della fiaba. La prima è quella della tradizione della letteratura libertina francese, in cui l'eros era indissolubilmente legato ad un'attitudine intellettuale e a una vocazione dialogica o narrativa (vengono alla mente i dialoghi di de Sade, o l'espediente epistolare de Le relazioni pericolose, anche se Barbablù mantiene le schermaglie tra i contendenti su un livello molto più platonico); la seconda è quella della tradizione alchimistica, cui il testo si richiama con numerosi riferimenti. Lo stesso nome della protagonista – fatale, rispetto a quello delle donne che l'hanno preceduta nelle stanze di don Elemiro – rimanda al pianeta che per gli alchimisti simboleggiava il piombo, o la materia prima e bruta la cui trasformazione in oro era il fine ultimo della ricerca alchemica. Oro che torna continuamente come tema nei dialoghi tra i due, e che si può materializzare via via in un uovo (altro simbolo alchemico, simbolo di nascita e di rinascita), in una gonna, nello champagne che innaffia generosamente i convivi serali. Se è difficile prevedere in anticipo quale esito avrà il duello, e se si tratterà innanzitutto di un esito romantico o letale, sarà proprio la presenza dell'elemento alchemico a impregnare le ultimissime due righe, imprimendo ancora una volta un cambiamento di senso che istilla un dubbio su chi sia il vero vincitore e su quale fosse la vera posta in gioco. Nota del (non) traduttore: Ho letto Barbablù nell'edizione originale francese. Confesso che coltivo questo vizio - iniziato con la lettura delle riviste di fumetti francesi come Charlie o L'echo des savanes, proseguito con la lettura in lingua dei Maigret di Simenon o con le avventure del petit Nicolas – con un certo piacere narcisistico e perverso, non avendo mai studiato francese in vita mia. Ne ricavo un piacere ancora più intenso, un godimento più profondo, nel raddoppiamento della sfida dell'interpretazione, che non è solo del testo ma anche della lingua. E poi, ci sono cose che si possono sentire solo in francese. A volte mi è capitato di non riconoscere più un film di Rohmer o di Sautet, visto prima in lingua originale e poi rivisto doppiato in italiano; così, un jaune asymptotique, forse, può esistere solo nella lingua di Pascal o di Monet.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Aprile 2024
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