GAVINO MURGIA BLAST QUARTET al Palazzo della TriennaleIl nostro slalom tra architettura milanese e musica jazz, nell’ambito di Jazzmi, una rassegna che ci fa sentire piuttosto newyorkesi, prosegue al Palazzo del Triennale, casa e tempio del design internazionale. Siamo sempre negli anni ’30 come epoca di costruzione e nel solco del classicismo, ma se il planetario visto qualche giorno fa interpretava la classicità come un modello da riprodurre, qui la stessa diventa repertorio e citazione, come nelle arcate monumentali esterne disegnate da Mario Sironi. Per arrivare alla sala Agorà dove si tiene il concerto, dopo aver attraversato il gigantesco atrio e salito la grande scalinata, bisogna passare su una passerella aerea che per l’occasione, grazie all’allestimento grafico della parete di fondo, si è trasformato nel lungo naso di Pinocchio. Tra le altre mostre, infatti, la Triennale ne ospita una dedicata al design rivolto ai bambini, e bisogna ancora passare per una sala semibuia dove emergono alla luce strani pupazzi o oggetti vivacemente colorati e di grande formato. Particolare anche la sala da concerto, affollatissima, le cui pareti sono rivestite da sezioni irregolari di tronchi d’albero, con la zona palco elegantemente illuminata da colori caldi. Calda è anche la musica eseguita (ma il termine “eseguita” è riduttivo) sul palco, dove si esibisce il Gavino Murgia Blast Quartet. Tutte le mie diffidenze preventive (mi aspettavo a torto una sperimentazione originale ma ostica) vengono spazzate via fin dal primo trascinante brano. Il Blast Quartet è formato da musicisti eccellenti e straordinariamente affiatati, e Murgia riesce a fondere in maniera inedita ma assolutamente persuasiva la tradizione jazz con la musica e i suoni della sua terra d’origine, la Sardegna. Complice perfetto del progetto risulta Mauro Ottolini (originario del Garda), che asseconda la vena etnica di Murgia alternando il trombone (con l’uso di varie sordine) a conchiglie marine utilizzate come veri e propri strumenti musicali, mentre Murgia, che lascia da parte gli strumenti etnici per i più tradizionali sassofoni, alterna lo strumento all’uso della voce, ad evocare suggestivamente paesaggi ancestrali che sanno di montagne, di vento, di pecore, di cielo. Il jazz si sposa con i richiami alla tradizione sarda dei tenores, la musica colta si colora di echi aborigeni, in una sintesi di grande fascino e bellezza. Brani di energia fiammeggiante si alternano ad altri di carattere lirico-melodico (come I danzatori delle stelle, una definizione del popolo sardo dovuta allo scrittore Sergio Atzeni, il cui sito dedicato ha per colonna sonora proprio la musica di Gavino), o più introspettivi come Luna in Aggius + Sad Day, che pure non escludono accelerazioni e crescendo entusiasmanti. Di grande talento e fascino anche la sezione ritmica, affidata ad Aldo Vigorito al contrabbasso e Pietro Iodice alla batteria, che non si limita all’accompagnamento dei due mattatori ma partecipa con creatività, personalità e passione al risultato complessivo. Splendido concerto, salutato dall’entusiasmo del folto pubblico presente, tra cui abbiamo riconosciuto Enrico Intra e l’ex-sindaco di Milano Carlo Tognoli.
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AutoreMauro Caron possiede, tra i suoi molti talenti, quello della culturagenerale. Tra gli altri suoi pregi, è superficiale, non sa parlare in pubblico (intendendosi per pubblico assembramenti di persone da una in su) - ecco perché la scelta del blog -, è pigro ed incostante - ecco perché il blog non durerà. Archivi
Febbraio 2024
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