SPAGHETTI GONGFUPIAN

LA CITTA' PROIBITA di Gabriele Mainetti

Dove eravamo rimasti? Al primo lungometraggio del 2015, Lo chiamavano Jeeg Robot, Gabriele Mainetti aveva fatto rinascere la speranza per un cinema di genere italiano, glocal, cioè ben radicato nel territorio e nella cultura italiana ma con un'ampiezza di sguardo sul cinema internazionale, con un film superomistico all’amatriciana, a basso budget ma pieno di fantasia, violenza, umorismo, tenerezza ed umanità. Atteso alla seconda prova, compie un mezzo passo falso: il budget lievita, ma Freaks Out (2021) non funziona. Non si può non dare ragione alla critica americana (negli Usa esce con il titolo Freaks vs the Reich): troppo lungo, personaggi mal disegnati, narrazione sfilacciata, un uso maldestro della Storia (partigiani, nazisti, deportazione), al punto da suscitare qualche irritazione; Mainetti poi si era innamorato degli effetti speciali che poteva permettersi, e vi indulgeva in maniera decisamente esagerata e anche un po’ puerile.
Con La città proibita si torna con i piedi per terra (o quasi, visti i salti acrobatici della protagonista), ovvero ad una variazione della formula Jeeg Robot. Il che vuol dire: ambientazione romana ruspante (tranne brevi prologo ed epilogo cinesi), uso del dialetto romanesco, stilemi del film di genere (qui il kung fu movie, o meglio il gongfupian), resa umanistica dei personaggi, cattivi compresi.
Al posto dei superpoteri di Jeeg Robot ci sono quindi le arti marziali praticate con strabiliante abilità dalla giovane Mei (Yaxi Liu), arrivata dalla Cina senza parlare una parola di italiano (comunicherà per tutto il film con il traduttore dello smartphone) per ritrovare la sorella, finita in un giro di prostituzione sino-romana e poi a quanto pare scappata con Alfredo (Luca Zingaretti, che non recita solo da morte come sembra per gran parte del film), titolare di un ristorante nel quartiere multietnico dell’Esquilino. La sua ricerca incrocerà il frustrante percorso esistenziale di Marcello (Enrico Borello), figlio di Alfredo, che aiuta la madre nella conduzione del ristorante dopo la sua dipartita. Anche qui i cattivi, come in Jeeg Robot (memorabile lo Zingaro di Marinelli ma anche la Nunzia di Antonia Truppo), sono due: quello “istituzionale”, Mr. Wang, boss cinese del racket della prostituzione, basato in un ristorante cinese che si chiama “La città proibita”, e l’”irregolare” Annibale (Marco Giallini), criminale di borgata che si accompagna con due energumeni chiamati Cip e Cioppe, amico di famiglia che ora corteggia la bella Lorena (Sabrina Ferilli), “vedova” del fedifrago Alfredo.
Tutto un po’ come in Jeeg Robot, ma un po’ meno: prima di tutto manca l’effetto novità e sorpresa (Annibale che canta alla tastiera riecheggia lo Zingaro con la passione per il canto del prototipo, ma appunto ne è la copia, e per giunta un po’ sbiadita). E poi manca la buffa tenerezza del personaggio della Pastorelli, qui divisa ma depotenziato tra i personaggi di Marcello e di Lorena.
Ma bisogna dare atto a Mainetti che le scene di azione e di combattimento sono girate con grande perizia, insolita in un regista italiano (le spettacolari coreografie sono comunque state curate da Liang Yang, un esperto nel campo). In particolare ci si sbizzarrisce con un classico dei film di arti marziali orientali, ovvero il combattimento con armi improprie, come nella prima travolgente scena di battaglia al ristorante, dove piastre di cottura, padelle, piatti e perfino grattugie diventano strumenti letali. Forse ci si fa prendere un po’ la mano nel finale, quando il duello tra Mei e Wang, in un fumoso capannone industriale, assume un tono eccessivamente manieristico. Riuscita anche l’ambientazione all’Esquilino, dove tutti sono in qualche modo stranieri eppure tutti si conoscono e si salutano con cordialità. Bello è poi il personaggio di Annibale, un Giallini incanutito e incarognito, portabandiera della mala sovranista, e funziona anche quello della Ferilli; più insipidi i caratteri principali, affidati ad Enrico Borello che, per rimanere nella terminologia della ristorazione, non è né carne né pesce, e a Yaxi Liu, stuntwoman e artista marziale, indemoniata nei combattimenti ma calata in un personaggio un po’ monocorde.
Ci si diverte, con un po’ di Tarantino e un po’ di Bruce Lee; ma all’amatriciana (come diceva il titolo di lavorazione): e cioè con quel gusto e quel sapore sanamente nostrani, quello scetticismo e quella disincantata ironia romanesca che in Freaks Out erano un po’ venuti a mancare.