NUOVI AUTORI, OGGETTI NON IDENTIFICATI E CINEMA DI GENEREI NUOVI AUTORI (TRA SORPRESA E SCONCERTO) Parlo qui di due registi che avrebbero potuto benissimo essere inseriti nel capitolo dedicato agli autori con la A maiuscola, ma che metto qui perché mi sembra che con i loro ultimi film abbiano fatto un salto reputazionale, ottenendo un'attenzione critica e mediatica che finora gli era mancata, almeno in Italia. Si tratta dello spagnolo Rodrigo Soroyen, già molto stimato in patria (Il regno era stato candidato a 13 Goya, 7 dei quali vinti), che gira con AS BESTAS uno scabro e intenso dramma rurale (con un soggetto molto simile a Il vento fa il suo giro, del nostro Giorgio Diritti), e Justine Triet con la sua radiografia di un matrimonio già in pezzi, e ricostruito seguendo diverse prospettive in un coinvolgente e calibratissimo giallo psicologico e giudiziario dalla sceneggiatura esemplare. ANATOMIA DI UNA CADUTA ha già vinto a Cannes e agli Efa, ma sorprendentemente non è stato candidato dalla Francia ai premi Oscar. Avendo apprezzato moltissimo il suo esordio nel lungometraggio, Una donna promettente, sono rimasto abbastanza deluso dall'opera seconda di Emerald Fennell, SALTBURN, storia di un parassita piccolo borghese che erode dall'interno una ricca famiglia. La storia ne riecheggia altre e la descrizione dell'ambiente dei ricchi (omosessuali, bisessuali, ninfomani, alcolisti, drogati, che prendono il sole nudi e giocano a tennis in smoking, con la racchetta in una mano e la bottiglia nell'altra) mi è sembrata piena di cliché. Per Barry Kehogan, che si era già fatto positivamente notare in ruoli borderline di coprotagonista, potrebbe essere il salto di livello. Un caso giudiziario, ispirato a fatti reali, è al centro de LA VERITA' SECONDO MAUREEN K., con un titolo italiano (quello originale è La syndacaliste) che già mette in dubbio la veridicità dei fatti. Isabelle Huppert si fa carico con la sua suprema naturalezza dell'ambiguità del personaggio, ma il film di Jean-Paul Salomé non è memorabile. Anche TAR di Todd Field è imperniato su un ritratto femminile controverso e conflittuale: la parabola discendente di un'affermata direttrice d'orchestra è l'occasione per una riflessione sui rapporti di potere, professionali e interpersonali da una prospettiva non comune. Impostazione rigorosa, grande interpretazione della Blanchett, ma finale un po' eccessivo nell'illustrare il degrado del personaggio. Un'altra regista in un'annata ricchissima di firme femminili: Sarah Polley, che vanta una carriera da attrice più nutrita di quella da regista, realizza con WOMEN TALKING un rigoroso pamphlet femminista, dove tutto rimane fuori dallo schermo tranne le parole di un lungo dibattito tra donne che scaturisce dal verificarsi di una serie di violenze all'interno della comunità. Messa in scena punitiva per lo spettatore e, se posso permettermi di contraddire la giuria che gli ha assegnato l'Oscar per la miglior sceneggiatura, anche l'impianto dialogico e dialettico mi sembra discutibile. Interessanti e riusciti anche alcuni film dedicati a bambini e adolescenti, tra definizione dell'identità sessuale, rapporto con il padre e famiglie in (ri)formazione, come il belga CLOSE di Lukas Dhont (Girl), l'inglese AFTERSUN, bella opera prima di Charlotte Wells, e l'irlandese THE QUIET GIRL, di Colm Bairéad, primo film irlandese ad ottenere la candidatura all'Oscar come miglior film straniero. Lieve fino all'inconsistenza e produttivamente modesto mi è sembrato invece l'italiano I PIONIERI, con cui Luca Scivoletto esordisce nel lungometraggio di finzione, con un gruppo di bambini aspiranti scout comunisti nella Sicilia nel 1990; MyMovies lo colloca giustamente a cavallo tra Cosmonauta e Moonrise Kingdom. In Italia intanto molte attrici e attori hanno deciso di debuttare nella regia; a parte il caso dei casi, il C'è ancora domani della Cortellesi, ispirato creativamente al cinema italiano tra neorealismo e (ri)nascita della commedia, tra i debutti più notevoli dell'anno annovererei PALAZZINA LAF, in cui Michele Riondino racconta un pezzo del travagliato rapporto tra la sua città (Taranto) e l'acciaieria che ne condiziona il destino, la vita e la morte. Un film politico di nero umorismo, che rimanda alle sulfuree commedie all'italiana di Petri, Monicelli o Scola. Generoso anche il tentativo di Micaela Ramazzotti, che però con il suo FELICITA' si tiene troppo ancorata al suo cliché interpretativo. Anche Rocco Papaleo mantiene la sua congeniale immagine dimessa e malinconica; lo SCORDATO del titolo del suo ultimo film allude appunto alla dimensione esistenziale (e anagrafica) di chi non si sente più in armonia con la realtà e con il presente. Il protagonista si sdoppia del suo alter ego giovanile in un film non memorabile. Metto infine qui, non so quanto a proposito, tre film che pur avendo ottenuto, almeno nei primi due casi, ampi consensi da parte della critica mi hanno suscitato un sincero sconcerto, probabilmente dovuto ad una totale incomprensione da parte mia. Tre “oggetti non identificati”, a cominciare dalla forma filmica (dalle foto che inserisco qui sopra è evidente che tutti si sono persi...). Cominciamo dall'argentino TRENQUE LAQUEN, firmato da Laura Citarella, un film di quattro ore ondivago e inconcludente, che sembra scritto giorno per giorno su un canovaccio che ondeggia tra generi e interessi; poi c'è GIGI LA LEGGE, di Alessandro Comodin, ritratto bizzarro di un vigile urbano di provincia, vicino al grado zero del cinema (e dell'interesse, per quanto mi riguarda), ma premiato a Locarno; e poi c'è forse il film (se così lo si può chiamare) più brutto dell'anno, LA PRIMAVERA DELLA MIA VITA, inspiegabile, inqualificabile e ingiustificabile (neppure come bravata tra amici) avventura cinematografica di Colapesce e Di Martino, firmata da Zavvo Nicolosi. CINEMA DI GENERE Raggruppo qui un po' di film di genere giallo e noir, horror e avventura (non ho visto film che si possano classificare come pura fantascienza quest'anno e non vado di norma a vedere film di supereroi, commedie italiane, ecc.). Tra i noir spiccano almeno un paio di titoli italiani. Il primo è il sorprendente e notturno L'ULTIMA NOTTE DI AMORE di Andrea Di Stefano, con l'ottima coppia Favino-Caridi; il secondo (con un cast che comprende di nuovo Favino, e poi Mastandrea, Servillo, Giannini, oltre all'esordiente Gianmarco Franchini) è ADAGIO, dell'esperto Stefano Sollima, di ritorno dalle trasferte hollywoodiane; un pò programmatico ma con bravi attori, buone metafore, ottime location, visionarietà e uno spirito forse più vicino al noir francese che a quello americano. Più leggero (qui il crimine è la duplicazione illegale di audiocassette nell'Italia anni '80), ma divertente e riuscito è MIXED BY ERRY, in cui Sydney Sibilia torna a raccontare le sue storie di imprenditori sui generis, sognatori che travalicano regole e leggi. Una storia nera è in fondo anche quella raccontata da Ivano De Matteo in MIA, storia della relazione tossica di un'adolescente, vista però con gli occhi del padre. Più inserito nei canoni del genere ma decisamente meno riuscito dei precedenti è COME PECORE IN MEZZO AI LUPI, firmato da Lyda Patitucci. Visto il primo episodio e lette le sconsolanti recensioni confermative dei successivi, ho evitato di seguire la trilogia di Diabolik, un'occasione creativa e produttiva per il cinema italiano clamorosamente sprecata dai fratelli Manetti. Per quel che ho visto, e visti gli esiti di film come The Killer, di cui ho già parlato altrove, l'Italia la fa insomma da padrone in un genere che non pareva il suo più congeniale. Un paio di film di ambientazione esotica ma di produzione europea, con differenti esiti: LA COSPIRAZIONE DEL CAIRO mi ha convinto decisamente meno del precedente Omicidio al Cairo dell'egiziano Tarik Saleh, mentre è uno dei film migliori dell'anno a mio parere HOLY SPIDER, dell'iraniano Ali Abbasi. Un serial killer movie cupo e spietato (ma in realtà molto più di questo) ambientato nella città santa di Moshhad, che getta una luce cruda sulla società iraniana maschilista ed ipocrita. Passiamo invece nel regno della fantasia con un terzetto di personaggi mitici in trame giallo-avventurose. Piuttosto trascurabile THE PALE BLUE EYE, giallo ottocentesco che ha la particolarità di mettere in scena come personaggio Edgar Allan Poe; francamente abbastanza brutto ASSASSINIO A VENEZIA, del veterano Kenneth Branagh, che trascina Poirot e il giallo di Agatha Christie nell'improbabile ambientazione di un Halloween veneziano d'epoca e in una mistura tra giallo e atmosfere gotiche e orrorifiche. Sostanzialmente inutile e fuori tempo massimo, anche se si tratta di un dignitoso divertissement, l'avventuroso INDIANA JONES E IL QUADRANTE DEL DESTINO, che poteva sfruttare meglio l'invecchiamento del personaggio, la tematica del tempo e le possibilità delle nuove tecnologie. In campo horror il titolo migliore (anche non sono per niente sicuro che possa essere annoverato tra le uscite del 2023) mi è sembrato SPEAK NO EVIL, dell'esordiente Christian Tafdrup: nessuna entità sovrannaturale ma un male ordinario, inesorabile e senza spiegazione; inquietante e con una frase da ricordare: quando una delle vittime chiede ad uno dei carnefici il perché delle loro azioni, questi risponde “Perché ce lo avete permesso”. Con un titolo assonante, non è male neppure TALK TO ME, esordio dei fratelli australiani Philippou. M. Night Shyamalan propone un'altra delle sue visioni apocalittiche in BUSSANO ALLA PORTA, un invasion movie dove l'orrore irrompe nella dimensione domestica, innescando un meccanismo alla Il sacrificio del cervo sacro; qualche suggestione, ma il film sembra tirare un po' troppo una corda narrativa non troppo robusta. Assolutamente trascurabile M3GAN, prodotto Blumhouse con una sorta di cugina cattiva di Barbie, e piuttosto dimenticabile anche THE OFFERING, horror ebraico ambientato in un obitorio chassidico. C'è anche una commedia nera, che però si annacqua ben presto con le (pretese) lacrime di commozione dei migliori sentimenti: NON COSI' VICINO, che è un non così necessario remake dello svedese Mr. Ove, che sembra costruito su misura per un Tom Hanks naturalmente un po' imbolsito dall'età. Come ho già detto non sono un appassionato di biopic; bene il film su Troisi, LAGGIU' QUALCUNO MI AMA, dedicatogli da un concittadino autorevole come Mario Martone; meno appassionanti EMILY, dedicato all'autrice di Cime tempestose dall'attrice Frances O'Connor che esordisce alla regia, o DALILAND, ispirato alla vita eccentrica del pittore surrealista e diretto da Mary Harron, specialista di film biografici.
L'unico lungometraggio di animazione che ho visto quest'anno è MANODOPERA, del francese Alain Ughetto, storia di emigrazione raccontata a passo uno, poetica ma un po' rigida. Leggi anche:
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GLI AUTORI, I MAESTRI E THE BIG THREE, |
Mauro CaronAppassionato di cinema da sempre, in maniera non accademica. Amo il cinema d'autore, ma quello che spero sempre, accingendomi a guardare un film, è di divertirmi ed emozionarmi, e poi di avere di che riflettere. Dal 2002 collaboro regolarmente con la bellissima rivista "Segnocinema"; ho pubblicato anche articoli di cinema su "Confini", sul sito "Fuorischermo", e nel volume collettivo "Tranen" dedicato a cinema e deportazione. Categorie
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